dernier
|
sabato 29 ottobre 2011
|
un'avventura...esistenziale
|
|
|
|
Paolo Sorrentino si cimenta in un film di non facile realizzazione. Apparentemente la storia si incentra sulla figura di una rock star ormai finita, colpita da depressione, quasi anormale, che pare estraneatasi dal mondo reale. Si prefigura sullo sfondo una società in depressione, drammi familiari e perdita di senso, una società polarizzata dove è difficile trovare il proprio posto. Il film appare una lenta riconquista di uno spazio perduto fatta da piccoli gesti affettuosi e accidentali avvenimenti quotidiani. Il plot evolve poi in uno scontro con una realtà dimenticata, un confronto con il passato che non ci appartiene più (la tragedia dell'olocausto) e che non comprendiamo. Al fondo del film, però, c'è qualcosa di più.
[+]
Paolo Sorrentino si cimenta in un film di non facile realizzazione. Apparentemente la storia si incentra sulla figura di una rock star ormai finita, colpita da depressione, quasi anormale, che pare estraneatasi dal mondo reale. Si prefigura sullo sfondo una società in depressione, drammi familiari e perdita di senso, una società polarizzata dove è difficile trovare il proprio posto. Il film appare una lenta riconquista di uno spazio perduto fatta da piccoli gesti affettuosi e accidentali avvenimenti quotidiani. Il plot evolve poi in uno scontro con una realtà dimenticata, un confronto con il passato che non ci appartiene più (la tragedia dell'olocausto) e che non comprendiamo. Al fondo del film, però, c'è qualcosa di più. Attraverso una regia innovativa, termine che nel ventunesimo secolo appare inflazionato, Sorrentino ripercorre quello che è un percorso che ogni uomo deve affrontare nella propria vita. In alcuni tratti ricalca un andamento teatrale in cui le scene si susseguono legate da un significato profondo ma appena percepibile. In alcune inquadrature un film simbolista. Ciò che appare scavando al fondo dell'esegesi del film è però qualcosa di più. La profonda ricerca di identificazione di un personaggio che non è mai cresciuto. Il senso profondo che il film comunica e che lo rende particolarmente interessante è una sotterranea vena psicologica in cui il quadro artistico si trasforma in un messaggio di crescita. Ricorda "una storia vera" di Linch, ma oltrepassa quel messaggio in una direzione che implica il confronto con se stessi, che rilancia una maturazione da parte del personaggio con un passato che non gli appartiene ma che emerge prepotentemente in un confronto ineludibile con il proprio essere nascosto. Sorrentino si rivela brillante a narrare un'avventura dal sapore profondo in cui l'uomo di trova davanti ai nodi non sciolti della propria vita, all'azione interrotta, a qual processo di identificazione mai portato a termine. Attraverso la caccia ad un vecchio nazista il protagonista trova, invece che la vendetta, se stesso. Si identifica con un passato universale che lo rende veramente uomo, lo fa crescere e rende lo sconforto possibilità. Una nota pregevole di questo processo è la regia lenta e misurata che da il senso dello scorrere del tempo come evento interno, slegato da ogni logica lineare. Un plauso quindi ad un regista italiano che in un tempo di crisi di narrazione rende universale un messaggio che si era perso negli anni, che trova le sue radici del cinema italiano e nella nuovelle vague francese e in alcuni geniali registi americani.
This must be the place rende chi lo vede più vicino a se stesso.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a dernier »
[ - ] lascia un commento a dernier »
|
|
d'accordo? |
|
caligolaimperatormundi
|
domenica 30 ottobre 2011
|
lo stereotipo del "non stereotipato".
|
|
|
|
Finito il film ero a dir poco stranito dai commenti entusiasti dei miei amici. Per quanto mi riguarda sono del parere contrario.
Sean Penn in questo film incarna lo STEREOTIPO della persona "fuori dagli schemi". E' il cliché della persona che non vuole rientrare nei cliché. E'la perfetta omologazione del non-omologato.
Un personaggio piatto, che non ha davvero nulla da dire in una trama lineare in maniera imbarazzante, riassumibile sostanzialmente in due righe.
Perché è piaciuto tanto? Perché oggi va di moda credere di non essere stereotipati o di essere una voce fuori dal coro. Ed è così che tutta la massa di persone che credono di essere uniche e non appartenere alla massa (senza capire che sono loro stessi la massa) si è rivista in Cheyenne.
[+]
Finito il film ero a dir poco stranito dai commenti entusiasti dei miei amici. Per quanto mi riguarda sono del parere contrario.
Sean Penn in questo film incarna lo STEREOTIPO della persona "fuori dagli schemi". E' il cliché della persona che non vuole rientrare nei cliché. E'la perfetta omologazione del non-omologato.
Un personaggio piatto, che non ha davvero nulla da dire in una trama lineare in maniera imbarazzante, riassumibile sostanzialmente in due righe.
Perché è piaciuto tanto? Perché oggi va di moda credere di non essere stereotipati o di essere una voce fuori dal coro. Ed è così che tutta la massa di persone che credono di essere uniche e non appartenere alla massa (senza capire che sono loro stessi la massa) si è rivista in Cheyenne. Senza rendersi conto che questo personaggio è però costruito sullo schema stesso di colui che dovrebbe essere fuori dagli schemi - depresso, con un passato turbolento, strano nel modo di vestire, ecc...
Aldilà di questo personaggio creato ad hoc per far andare in visibilio radical-chic di ogni età, come detto, non c'è niente, se non un'ottima regia e una citazione gratuita all'olocausto che, anche qui, fa tanto moda (Benigni ci ha vinto un nobel con un film che io reputo un capolavoro - ed è un po' l'impronta del cinema italiano per l'americano medio).
Il mio personale voto è 5. Non è inferiore solo per la citata (ottima) regia e perché io credo che Sorrentino e gli ideatori di questo film sapessero bene cosa stavano andando a costruire. Detto questo, è un film prevedibile e stereotipato nel voler essere "non-stereotipato", anche nel fatto di essere a tratti volutamente noioso.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a caligolaimperatormundi »
[ - ] lascia un commento a caligolaimperatormundi »
|
|
d'accordo? |
|
taxidriver
|
giovedì 3 novembre 2011
|
un sorrentino made-in-usa
|
|
|
|
Diciamoci la verità, Sorrentino con questo film delude molto. L'arte di raccontare i sentimenti, così estrema e senza compromessi vista in "Le conseguenze dell'amore" è solo uno sbiadito ricordo. Sorrentino preferisce fare un film mainstream, rinuncia alla sua vera arte in nome di un compromesso hollywoodiano, che qui ha le sembianze di uno Sean Penn trasfigurato in uno dei suoi personaggi più grotteschi, e in fondo, più esilaranti, nonostante calchi un pò troppo la mano, fino a farlo apparire quasi un'auto-parodia dello stesso Cheyenne. E infilare nella trama l'abusatissimo quanto meno ruffianissimo riferimento al nazismo è la prova più palese della strizzatina d'occhio al blockbuster a stelle e strisce.
[+]
Diciamoci la verità, Sorrentino con questo film delude molto. L'arte di raccontare i sentimenti, così estrema e senza compromessi vista in "Le conseguenze dell'amore" è solo uno sbiadito ricordo. Sorrentino preferisce fare un film mainstream, rinuncia alla sua vera arte in nome di un compromesso hollywoodiano, che qui ha le sembianze di uno Sean Penn trasfigurato in uno dei suoi personaggi più grotteschi, e in fondo, più esilaranti, nonostante calchi un pò troppo la mano, fino a farlo apparire quasi un'auto-parodia dello stesso Cheyenne. E infilare nella trama l'abusatissimo quanto meno ruffianissimo riferimento al nazismo è la prova più palese della strizzatina d'occhio al blockbuster a stelle e strisce. Un film che non emoziona, che non coinvolge più di tanto, che sembra così perfettamente logico e lineare da suonare falso. Per carità, è un prodotto valido, guardabilissimo, girato ottimamente, ma appunto è solo forma, apparenza. Manca invece la sostanza, e non è cosa da poco. Certo, questo è il film d'esordio del regista italiano nel panorama hollywoodiano, ma avremmo preferito un Sorrentino più coraggioso, più sorrentiniano e meno made-in-Usa. Peccato, perchè lui è un grandissimo regista, e Sean Penn un grandissimo attore. Il risultato invece è mediocre. Ma ci auguriamo che il nostro Paolo torni ai livelli che lo hanno reso celebre, perchè da lui ci aspettiamo sempre dei capolavori. Sarà per la prossima volta.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a taxidriver »
[ - ] lascia un commento a taxidriver »
|
|
d'accordo? |
|
omero sala
|
venerdì 9 dicembre 2011
|
la maschera e il volto
|
|
|
|
La irritante lentezza del film non è casuale, così come non è incidentale l’esasperante inerzia dei movimenti da bradipo del protagonista, il suo eloquio pigro, il suo sguardo sempre patologicamente fisso, la sua indolenza caratteriale, la sua rilassata apatia.
Cheyenne, rockstar in disarmo, vive stancamente la sua decadenza nella campagna irlandese. Senza troppe illusioni frena il declino nascondendosi dietro la maschera quasi grottesca che ha connotato, negli anni Settanta, la sua immagine pubblica ed ha accompagnato la sua carriera. L’incapacità di essere autentico e la paura di scoprirsi (riconoscersi/rivelarsi) lo portano a truccarsi ogni giorno (cerone, rossetto, mascara) e a presentarsi mascherato a colazione, al supermercato e perfino per giocare alla pelota nella piscina asciutta.
[+]
La irritante lentezza del film non è casuale, così come non è incidentale l’esasperante inerzia dei movimenti da bradipo del protagonista, il suo eloquio pigro, il suo sguardo sempre patologicamente fisso, la sua indolenza caratteriale, la sua rilassata apatia.
Cheyenne, rockstar in disarmo, vive stancamente la sua decadenza nella campagna irlandese. Senza troppe illusioni frena il declino nascondendosi dietro la maschera quasi grottesca che ha connotato, negli anni Settanta, la sua immagine pubblica ed ha accompagnato la sua carriera. L’incapacità di essere autentico e la paura di scoprirsi (riconoscersi/rivelarsi) lo portano a truccarsi ogni giorno (cerone, rossetto, mascara) e a presentarsi mascherato a colazione, al supermercato e perfino per giocare alla pelota nella piscina asciutta.
Il processo di imbalsamazione non interessa solo l’immagine: anche la testa, il cuore, la memoria, le emozioni, gli affetti e le relazioni hanno subito un trattamento analogo. La vita si snoda in una quotidianità fatta di piccole consuetudini, di riti e gesti reiterati, di relazioni consolidate; e ovviamente di rimozioni più o meno consapevoli, di depressioni ed isterie contenute, di mediocrità accettate, di sconforto.
La vacuità emerge improvvisamente quando Cheyenne viene richiamato a NewYork per la morte del suo vecchio padre, fino ad allora ignorato, trascurato, cancellato.
Il cadavere gli pare quello di un estraneo. Rivede il tatuaggio dei sopravvissuti all’Olocausto. Si ritrova a scorrere gli appunti meticolosamente raccolti dal vecchio nella lunga e laboriosa ricerca del suo aguzzino; e resosi conto che la pignola indagine stava per raggiungere i risultati, decide di portare a termine l’investigazione e di cercare l’ufficiale nazista per vendicare le umiliazioni patite dal padre.
E parte.
Il suo viaggio diventa un viaggio metaforico attraverso la desolazione di una società in declino, un cammino di recupero della realtà (la sua e quella del mondo che lo circonda), un percorso verso l’autoconsapevolezza e la metamorfosi (anche se, in un passaggio, Sorrentino gli fa dire “Non sto cercando me stesso. Sono in New Mexico non in India”!).
Paesaggi desolati, strade che tagliano il deserto, campagne piatte, chiese vuote, armerie allucinanti, case isolate che si ergono nel nulla, bar che sembrano il set dei lividi quadri di Hopper.
Lungo il tragitto incontra un’umanità sofferente e smarrita: la vedova di guerra alla deriva col suo figliolo obeso e disadattato, il tatuatore triste e disorientato, il petulante inventore della valigia a rotelle, il nativo taciturno che torna alle sue montagne, …
Ed alla fine del viaggio trova un decrepito e patetico nazista che coltiva ricordi sereni e sa offrire giustificazioni ragionevolmente accettabili ai propri crimini.
Ma Cheyenne non si lascia abbindolare: conosce bene, per averli sperimentati su di sé, i meccanismi della inerzia autoassolutoria: non infierisce, ma nemmeno perdona. Costringe il vecchio a camminare nudo nella neve, mettendolo nella condizione di assaggiare la crudeltà di chi è più forte e di sperimentare l’umiliazione, la paura, il gelo.
Poi denuda anche se stesso: si toglie la maschera dietro a cui si è nascosto per tutta la vita e comincia ad confrontarsi con la realtà che ha sempre eluso e ad affrontare, senza trolley, la sua vita irrisolta.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a omero sala »
[ - ] lascia un commento a omero sala »
|
|
d'accordo? |
|
weach
|
domenica 10 giugno 2012
|
una grande finestra ricolma di aria fresca
|
|
|
|
definitivo
Una boccata di aria fresa
una storia scritta con Umberto Catorelli oltre alla stretta collaborazione di Sean Penn, attore sempre alla ricerca di nuove sfide.
Perché una storia nel Tennessee?Solo perche è terra lontana ?Un fliml dalla patina poco italiana che genera compiacimento per una nostra regista talentuoso dietra alla macchina da presa.
Ma le radici partenopee non le dimentica Paolo Sorrentino , basta pensare al primo dialogo del film ." quando ho fatto il bagno a Posillipo ti hanno rubato scarpe e vestiti"Napoli è una citta violenta"
Tutti alla ricerca di qualcosa che non quadra nel film ? Ma cosa non quadra?Eppure il film è un grande discorso esistenziale pieno del sentire della vita, della morte , del dolore ,dell'amore ,dell'amicizia ,della famiglia e della musica.
[+]
definitivo
Una boccata di aria fresa
una storia scritta con Umberto Catorelli oltre alla stretta collaborazione di Sean Penn, attore sempre alla ricerca di nuove sfide.
Perché una storia nel Tennessee?Solo perche è terra lontana ?Un fliml dalla patina poco italiana che genera compiacimento per una nostra regista talentuoso dietra alla macchina da presa.
Ma le radici partenopee non le dimentica Paolo Sorrentino , basta pensare al primo dialogo del film ." quando ho fatto il bagno a Posillipo ti hanno rubato scarpe e vestiti"Napoli è una citta violenta"
Tutti alla ricerca di qualcosa che non quadra nel film ? Ma cosa non quadra?Eppure il film è un grande discorso esistenziale pieno del sentire della vita, della morte , del dolore ,dell'amore ,dell'amicizia ,della famiglia e della musica.
the .must be the Place
di Paolo Sorrentino-anno di produzione 2011 è entrato nel mio cuore
Parliamo di sensibilità allo stato puro senza spazio per l'intelletto ?
Forse di un movimento energetico che ci rapisce nel suo inteso "rumore d'amore"?
Sono solo due ore armoniche, malinconiche, appassionate,struggenti?
Il protagonista è alla ricerca dell'amore che non ha potuto avere o dare mentre ascolta un silenzio esistenziale ricolmo di dolore fisco e materiale?
Si intravede sullo sfondo una società arida , senza ethos ne pathos , dove si contrappone una spiritualità battagliera che non accetta di essere fagocitata da un motu di dissoluzione ; una spiritualità che si aggrappa ad un valore non manipolabile “ la capacità di "sentire ". Alla fine del film qualcosa mi si è incollata all'anima; in quell' attimo, ho sentito sussurri e grida insieme ed un movimento energetico che mi a invitato a ricercare una risonanza con questa splendida opera.
Non tutto deve avere un senso ; si può anche essere semplicemente osservatori di accadimenti che ci capitano addosso.
Non tutto deve avere indirizzo, proposito,messaggio, magari può essere un semplice esercizio di stasi volta ad assimilare una profondità che si è persa.
La dilatazione dello spazio e del tempo nell'opera di Sorrentino confluisce in un luogo indeterminato dove tutto può evolvere verso una crescita.
Ma non basta .
Come non apprezzare la sinergia che si fa assaporare fra suoni ed immagini??
Questo film è contesto dove si ramifica idee e propositi; dove una metamorfosi dovrebbe procedere; mentre si snoda la pellicola"restano tanti lumicini"come delle bolle di idee ,pensieri abbozzati che potrebbero fruttificare ;queste bolle di idee, abbozzi, quando fruttificano possono divenire un bagliore di luce cristallina ed il sogno divenire vivida realtà.
Quando sono uscito dalla sala cinematografica ho detto: finalmente ho aperto una finestra grande che mi ha messo in armonia con il mondo.......non è poco.
grazie
buona visione
weach illuminati
[-]
|
|
[+] lascia un commento a weach »
[ - ] lascia un commento a weach »
|
|
d'accordo? |
|
giorpost
|
giovedì 11 ottobre 2012
|
sbalorditivo l'inedito sodalizio sorrentino-penn
|
|
|
|
Irlanda, oggi. Cheyenne (Sean Penn) è un’ ex rockstar americana in “pensione”. Ha scelto la tranquilla isola per trascorrere, insieme alla moglie, la seconda fase della sua vita, pur indossando ancora i panni dell’ eccentrico quanto apparentemente stralunato musicista quarantenne. La sua vita scorre lenta, tra la spesa al supermarket, una chiacchierata con l’ amica Mary, una puntata in borsa ed espressioni filosofiche sulla vita. Il tutto con un modo di parlare al quanto singolare ed accompagnato sistematicamente da un trolley da viaggio.
La sua quotidianità verosimilmente noiosa e cadenzata, viene sconvolta dalla notizia della morte del padre.
[+]
Irlanda, oggi. Cheyenne (Sean Penn) è un’ ex rockstar americana in “pensione”. Ha scelto la tranquilla isola per trascorrere, insieme alla moglie, la seconda fase della sua vita, pur indossando ancora i panni dell’ eccentrico quanto apparentemente stralunato musicista quarantenne. La sua vita scorre lenta, tra la spesa al supermarket, una chiacchierata con l’ amica Mary, una puntata in borsa ed espressioni filosofiche sulla vita. Il tutto con un modo di parlare al quanto singolare ed accompagnato sistematicamente da un trolley da viaggio.
La sua quotidianità verosimilmente noiosa e cadenzata, viene sconvolta dalla notizia della morte del padre. Cheyenne, dunque, decide di partire per l’ America, lasciandosi alle spalle la moglie (Frances McDormand, sempre efficace), la già citata Mary (amica oppure sorella?) ed una donna della quale allo spettatore, fino alla fine del film, non è dato conoscerne il ruolo.
Inizia a questo punto un viaggio non solo materiale, ma di introspezione, di conoscenza, di solitudine ed al contempo fatto di nuovi incontri, con il fine ultimo di scovare un gerarca nazista che ha umiliato suo padre in un campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale.
Tralascerò il proseguire del film ed il suo finale, lasciando spazio ad un’ analisi approfondita. Parto col dire che ormai è indiscutibile il talento artistico del regista Paolo Sorrentino, attualmente il migliore in Italia. In secondo luogo non si può non spendere qualche riga sulla prova sontuosa di Seann Penn, semplicemente straordinaria e meritevole di premi di ogni tipologia, Academy Award compreso. Il protagonista di Milk veste i panni dell’ ex star come lo fosse stato per davvero, ispirandosi alla figura di Robert Smith dei Cure. Faccio notare che val la pena vedere questa pellicola anche in versione originale in quanto Penn è autore di un falsetto incredibile, oltre che irripetibile, lungo tutta la durata del lungometraggio. La fotografia bellissima del veterano Enzo Bigazzi, unita ad una scelta delle location davvero azzeccata, fanno raggiungere all’ opera i crismi del capolavoro. Le frasi che pronuncia il nazista mentre un incedere ripetuto della camera indugia sullo stesso, rappresenta una delle cose più belle ed innovative del Cinema degli ultimi 30 anni. Ad accompagnare il tutto, una colonna sonora di gran livello capeggiata dal brano che dà il titolo al film, interpretato da vari artisti nonché riproposto dall’ autore David Byrne in una sequenza live davvero eccezionale. La frase cult è senza dubbio "non sto cercando me stesso…sono in New Mexico, non in India", ma ce ne sono due ripetute più volte, ovvero “non è vero, ma è bello che tu me lo dica” e poi “qualcosa mi ha disturbato, non so bene cosa, ma qualcosa mi ha disturbato..." le quali ci consegnano una caratterizzazione del personaggio fatta di debolezza, fragilità ma anche di sorprendente e spiazzante semplicità. Il colore che si vede più frequentemente in This must be the place è il verde, come la speranza. Esattamente come quella mai persa da Olwen Foere, alias la madre di Mary, la quale attende disperata qualcuno, un qualcuno andato via non si sa fino a che punto fisicamente oppure spiritualmente. La speranza mia e spero di tutti, invece, è quella che vengano prodotti più frequentemente film di questo calibro, meglio ancora se fatti da noi italiani, maestri cineasti che non dovremmo invidiare nulla a nessuno ma che per troppo tempo siamo rimasti aggrovigliati tra cine-panettoni ed inutili manuali amorosi.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a giorpost »
[ - ] lascia un commento a giorpost »
|
|
d'accordo? |
|
daniele frantellizzi
|
giovedì 24 gennaio 2013
|
un viaggio introspettivo
|
|
|
|
In fondo, era prevedibile.
Un regista dallo spiccato talento, i cui film sono fondati sullo spessore dei personaggi cui da vita più che sulle trame, incrocia il suo cammino con il più talentuoso tra gli interpreti contemporanei, ed il gioco è fatto: il risultato è un vero gioiello.
Paolo Sorrentino ama, da sempre, mettere in scena delle storie che facciano solamente da contenitore e da sfondo, tutt’al più da contorno, ai personaggi che le animano, che sono i veri perni delle sue pellicole. Basti pensare all’arbitro de L’uomo in più o al grottesco usuraio de L’amico di famiglia passando per il metodico Titta de Le conseguenze dell’amore.
[+]
In fondo, era prevedibile.
Un regista dallo spiccato talento, i cui film sono fondati sullo spessore dei personaggi cui da vita più che sulle trame, incrocia il suo cammino con il più talentuoso tra gli interpreti contemporanei, ed il gioco è fatto: il risultato è un vero gioiello.
Paolo Sorrentino ama, da sempre, mettere in scena delle storie che facciano solamente da contenitore e da sfondo, tutt’al più da contorno, ai personaggi che le animano, che sono i veri perni delle sue pellicole. Basti pensare all’arbitro de L’uomo in più o al grottesco usuraio de L’amico di famiglia passando per il metodico Titta de Le conseguenze dell’amore...per terminare con il Divo dei Divi, quel Giulio Andreotti rappresentato nella pellicola sinora più famosa, il cui titolo sintetizza meglio di qualunque commento l’essenza stessa dei film dell’autore napoletano, Il Divo, appunto, come a sintetizzare che della vicenda poco ce ne importa in confronto alle peculiarità intrinseche ed estrinseche dell’uomo che vi è calato.
Sean Penn è un attore dal talento straordinario,la cui ascesa è iniziata anni fa e non si è mai arrestata, forse in questo momento all’apice della forma più che mai e giunto alla definitiva consacrazione nell’Olimpo degli dei Hollywoodiani.
Il risultato del loro incontro, è questo This must be the place, un film geniale nella sua semplicità, irriverente, simpatico, camaleontico, buffo, profondo, indagatore, introspettivo, grottesco, a tratti surreale ma profondamente umano.
Al centro del palcoscenico vi è una ex Rock Star in crisi esistenziale, Cheyenne, che nel look ci ricorda molto da vicino il Robert Smith che fu leader dei The Cure. La scusa per metterlo in movimento è la ricerca di un ex criminale di guerra nazista, carceriere del padre... il risultato? Uno splendido ritratto dell’uomo - in senso lato - e delle sue psicosi, delle sue ansie, dei suoi rancori e delle sue ambizioni. Unito ad un ritratto altrettanto bello dell’America - intesa come zona geografica - dipinta con maestria tramite un viaggio che si snoda dal deserto del New Mexico alle montagne innevate dello Utah, ed evidenziato da una fotografia splendida.
Un viaggio, quello di Cheyenne, che serve a mostrare la ricerca del sé, della propria identità...un viaggio reale e metaforico al tempo stesso, surreale ma mai banale, splendidamente irriverente... intimamente profondo e grottescamente divertente al tempo stesso.
Il finale sta tutto in uno sguardo di uno Sean Penn da Oscar: recita quasi senza aver bisogno della parola, il cambiamento dell’uomo sta tutto nella differenza delle sue espressioni, ottimamente studiate in fase di sceneggiatura e superbamente messe in essere dall’attore Californiano.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a daniele frantellizzi »
[ - ] lascia un commento a daniele frantellizzi »
|
|
d'accordo? |
|
mystic
|
venerdì 1 febbraio 2013
|
sorrentino on the road in un'america idealizzata
|
|
|
|
Cheyenne (Sean Penn) è un'ex stella del rock annoiata e depressa. Alla morte del padre decide che è arrivato il momento di cercare il soldato nazista che lo aveva umiliato nel campo di concentramento di Auschwitz ponendo fine all'inseguimento iniziato dal genitore attraverso le immense regioni del Nord America, dove il criminale, da qualche parte, si è rifugiato.
Si dice che Sean Penn avesse tanto apprezzato il precedente lavoro del regista italiano (Il Divo) a tal punto che a Cannes, dove era stato presentato il film e dove l'attore era presidente di giuria, si fosse spontaneamente offerto di lavorare al suo successivo progetto, concretizzatosi con This Must Be The Place.
[+]
Cheyenne (Sean Penn) è un'ex stella del rock annoiata e depressa. Alla morte del padre decide che è arrivato il momento di cercare il soldato nazista che lo aveva umiliato nel campo di concentramento di Auschwitz ponendo fine all'inseguimento iniziato dal genitore attraverso le immense regioni del Nord America, dove il criminale, da qualche parte, si è rifugiato.
Si dice che Sean Penn avesse tanto apprezzato il precedente lavoro del regista italiano (Il Divo) a tal punto che a Cannes, dove era stato presentato il film e dove l'attore era presidente di giuria, si fosse spontaneamente offerto di lavorare al suo successivo progetto, concretizzatosi con This Must Be The Place.
Si tratta, finalmente e al di là dei gusti personali, di un film italiano moderno di cui andare orgogliosi. E nonostante il film sia di poche parole, è tanto ben scritto da evitare sviluppi narrativi scontati.
Il ritmo è lento, almeno nella prima mezzora, scandito dalla personalità di Cheyenne, ma allo stesso tempo costruisce un ritratto dettagliato del protagonista in nemmeno 2 ore.
Ci sono elementi che richiamano la stravaganza visiva dei Coen - un pistacchio gigante, un'enorme bottiglia di birra per passaggio a livello e molti altri - le cui allegorie richiamano forse l'american dream di Sorrentino. E a proposito di Coen, che non sia una coincidenza la presenza della McDormand nel cast (che peraltro si comporta molto bene)? O la presenza di un ambiente annoiato e paesaggi grandangolari? Ma, in fondo, sono le splendide musiche di David Byrne che, unite alle spettaccolari panoramiche degli States, ci accompagnano per gran parte del film. Ed è una strana sorpresa guardare un film sul rock e sul punk senza mai vedere Cheyenne esibirsi su un palco o ritornare nel mondo dello spettacolo.
E' un road-movie incentrato sui panorami spettaccolari di un America idealizzata e sugli sguardi in primo piano del protagonista, tanto intensi, sentiti e ispirati da far tremare. E il trucco non fa altro che accentuare il talento di un attore che non vuole porsi dei limiti, dando vita a un uomo, che rischiava di diventare una poco convincente caricatura o una sorta di mimo, in viaggio solo con il proprio trolley. Cheyenne è un bambino cresciuto, tanto che è semplicemente sconcertante (sia per lui che per il pubblico) la scoperta dell'olocausto di cui non era mai venuto a conoscenza (e lo spettatore ha come la percezione di riscoprire un dramma dimenticato) attraverso una carrellata di diapositive.
A molti non piacerà, ma rimane un'opera prima quasi perfetta.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a mystic »
[ - ] lascia un commento a mystic »
|
|
d'accordo? |
|
stefano bruzzone
|
giovedì 29 agosto 2013
|
piccolo capolavoro....mancato....
|
|
|
|
questo film di sorrentino è un bel film, anzi è un gran bel film, anzi potrebbe essere un piccolo capolavoro se non avessero fatto la scelta infelice, secondo me, di ritagliare un ruolo da travestito deficente ad uno straordinario sean penn! peccato..poteva tranquillamente reggere alla stragrandissima il ruolo (molto ma molto ispirato dalla vita odierna di Ozzy Osbourne) senza doversi truccare come una drag queen e senza trascinarsi fisicamente e a parole come una mezza salma sderenata.
detto questo è un gran bel film...fotografia da urlo musiche di David Byrne il quale fa anche un'apparizione suonando live, guarda caso, uno dei suoi tanti capolavori con i Talking Heads - This Must Be The Place , e sorrentino che è un buongustaio ci regala tutto il pezzo, live senza contaminazioni di sorta.
[+]
questo film di sorrentino è un bel film, anzi è un gran bel film, anzi potrebbe essere un piccolo capolavoro se non avessero fatto la scelta infelice, secondo me, di ritagliare un ruolo da travestito deficente ad uno straordinario sean penn! peccato..poteva tranquillamente reggere alla stragrandissima il ruolo (molto ma molto ispirato dalla vita odierna di Ozzy Osbourne) senza doversi truccare come una drag queen e senza trascinarsi fisicamente e a parole come una mezza salma sderenata.
detto questo è un gran bel film...fotografia da urlo musiche di David Byrne il quale fa anche un'apparizione suonando live, guarda caso, uno dei suoi tanti capolavori con i Talking Heads - This Must Be The Place , e sorrentino che è un buongustaio ci regala tutto il pezzo, live senza contaminazioni di sorta. se vogliamo la trama è un filo confusa e stiracchiata, ma val la pena vederlo.
Voto: 7,5 (sarebbe un 8,5 se non fosse per la scelta del personaggio affibiato a Penn).
[-]
|
|
[+] lascia un commento a stefano bruzzone »
[ - ] lascia un commento a stefano bruzzone »
|
|
d'accordo? |
|
poggi
|
venerdì 28 ottobre 2011
|
il film più sopravvalutato dell'anno
|
|
|
|
Per me è il film più sopravvalutato della stagione (fa buona compagnia in questo al film di Terrence Malick, comunque superiore). I temi (peraltro strasentiti come la ricerca di se stessi attraverso la riscoperta del rapporto con i genitori, una volta morti; il dramma dell'olocausto; la depressione dell'uomo di successo passato di moda) sono mescolati a casaccio, accumulati ma non amalgamati: cosa c'entra il fatto che Cheyenne sia un ex rockstar (americana, che vive in Irlanda ma figlia di padre probabilmente tedesco!?) con la tragedia dell'olocausto e con il rapporto con un padre difficile? Un mescolone simile denota il volrer mettere tanta carne al fuoco, senza però risolvere i nodi del racconto.
[+]
Per me è il film più sopravvalutato della stagione (fa buona compagnia in questo al film di Terrence Malick, comunque superiore). I temi (peraltro strasentiti come la ricerca di se stessi attraverso la riscoperta del rapporto con i genitori, una volta morti; il dramma dell'olocausto; la depressione dell'uomo di successo passato di moda) sono mescolati a casaccio, accumulati ma non amalgamati: cosa c'entra il fatto che Cheyenne sia un ex rockstar (americana, che vive in Irlanda ma figlia di padre probabilmente tedesco!?) con la tragedia dell'olocausto e con il rapporto con un padre difficile? Un mescolone simile denota il volrer mettere tanta carne al fuoco, senza però risolvere i nodi del racconto.
Il tempi filmici sono non soltanto lenti e inutilmente meditativi (pieni di scene senza scopo che vorrebbero fare "poesia": vedi per tutte quella dell'indiano a cui Cheyenne dà un passaggio), ma del tutto sbilanciati: se il vero tema del film è la ricerca di un contatto con la memoria del padre, una riscoperta di sè attraverso il recupero di un rapporto interrotto per trent'anni, perchè fare un prologo così lungo (con l'ingombrante presenza di una Francis McDormand sprecata) che parla dei tutt'altro?
Perchè introdurre personaggi lasciati cadere senza spiegazioni (il tipo che chiede a Cheyenne di produrre il suo disco, la ragazza emo che lui tenta di rendere felice, Desmond)?
Su tutto il film si staglia Sean Penn, costretto a impersonare un personaggio fastidioso, con la voce lamentosa da rincoglionito alla Ozzy Osbourne che però all'occorrenza sfoggia frasi che vorrebbero sembrare quelle di un grande pensatore. L'interpretazione di Penn è sopravvalutata quanto il film: non è nè nuovo nè difficile rappresentare un rincoglionito al limite della catatonia. La stessa parte l'avrebbe interpretata con altrettanta intensità lo stesso Osburne.
Il finale, col vecchio nazista di novantacinque anni fatto camminare nudo nella neve è patetica, vorrebe forse scandalizzare, fare sensazione: fà solo pena, persino il cacciatore di nazisti incallito non riesce a trattenere un'esclamazione di sorpresa e (spero) di pietà, di fronte a quell'immagine raccapricciante. Oltretutto perchè nel film appare chiaro che la responsabilità del vecchio era molto limitata (non era un carnefice, ma aveva s"solo" umiliato il padre di Cheyenne minacciandolo). Cos'è, un discutibile inno alla vendetta privata? Si può ritrovare se stessi, dopo trent'anni di silenzio, vendicando un padre morto contro un vecchio colpevole ormai inerme? Mah...
Il tutto condito da quell'insopportabile lentezza, da quegli inutili toni meditativi. Per fare un film intenso, non occorrono certe sbrodolate e certi orpelli (vedi la scena dell'indiano). Basti pensare agli ultimi film di Clint Eastwood, asciutti ma sempre carichi di pathos e di profondità.
E poi i film meditativa (à la Malick) bisogna saperli fare!
Mi dispiace sdire tutto questo perchè gli altri film di Sorrentino mi erano piaciuti. Però qui toppa clamoosamente.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a poggi »
[ - ] lascia un commento a poggi »
|
|
d'accordo? |
|
|