Cult Killer

Alla morte dell'investigatore privato Mikeal Tallini, ucciso da una misteriosa ragazza in nero, la detective Cassie Holt, anni prima salvata dall'alcolismo proprio da Tallini, comincia a indagare sulla vicenda e scopre un intricato caso di abusi sessuali perpetrato da un gruppo di aristocratici irlandesi. Chi è dunque la serial killer che sta facendo piazza pulita di rampolli e avvocati, e che in realtà ha ucciso Tallini per errore? E cosa unisce la detective e la sua preda, visto che poco dopo l'inizio delle indagini le due inaspettatamente si alleano?

Antonio Banderas fa da mentore alla protagonista di una produzione americana che adatta trama e perversioni del noir all'ambientazione rurale dell'Irlanda.

C'è molto di Brian De Palma in questo Cult Killer. All'inizio della strana relazione fra l'investigatrice Cassie Holt e la psicopatica assassina Jamie Douglas c'è anche una sequenza in split screen, con lo schermo che si sdoppia, si allarga e si restringe in forme rettangolari e triangolari, che toglie ogni dubbio. Purtroppo per gli autori e soprattutto per gli spettatori, a essere ripreso dal film di Jon Keeyes, sceneggiato da Charles Burnley, è il Brian De Palma degli ultimi anni, quello sporadico e sfiatato di un film peregrino come Domino, dove il formalismo estremo del suo cinema (in passato irresistibile) si trova costretto a vivere in spazi e ambienti che non lo contemplano, con interpreti che non lo sanno reggere e con modalità stilistiche che ormai non appartengono più al nostro tempo.

Cult Killer è la storia di un'attrazione impossibile, lo strano legame fra un'investigatrice che collabora con la polizia e una criminale, unite dal trauma dell'abuso sessuale e dalla lotta contro la corruzione dell'alta società. Dal momento che i personaggi sono tagliati con l'accetta, meglio lasciar perdere lo scavo psicologico e concentrarsi sullo scontro fra figure opposte e similari. Protagonista e antagonista di Cult Killer, cioè l'ex alcolizzata salvata dall'investigatore (Banderas) e trasformata in professionista implacabile (Alice Eve) e la serial killer che elimina con inaudita violenza i responsabili dei suoi traumi (Shelley Hennig), condividono il ricordo delle violenze subite e il flirt con la morte: una ha saputo tornare in vita, l'altra ha abbracciato il mostro che le hanno scatenato dentro. Lo scavo finisce qui, tutto il resto è materia da thriller da cestone di un videostore.

A partire dal duplice confronto, il film costruisce una trama tutto sommato semplice (il punto d'avvio è un errore commesso dalla serial killer subito chiarito e poi pressoché dimenticato) che apre le porte di un inferno dove il male è incarnato da ricchi debosciati, avvocati conniventi e faccendieri spietati, e tutto sommato la polizia ci fa una figura onorevole.

A non funzionare in Cult Killer è soprattutto il contesto, la patina da produzione internazionale, la fotografia cupa, gli interpreti legnosi, lo stile che è pura tecnica e mai messinscena. E poi i luoghi di un'Irlanda rurale - pub, ville lussuose, stradine, piccoli quartieri - che mal si adattano alle atmosfere thriller o neo-noir e che in ogni caso, a differenza di quanto ad esempio succedeva in In Bruges, dove la cittadina del Belgio veniva esaltata proprio per la sua incongruenza, il regista non sa mai filmare se non come semplice sfondo inerme.

Banderas appare come una sorta di angelo custode (così infallibile nelle prime sequenze che si fatica a vederlo fatto fuori così facilmente poco dopo...) e resta poi nei tanti flashback di un racconto che punta tutto sullo svelamento del trauma dei due personaggi principali, e tra una sequenza trucida, atmosfere da horror di serie B e passaggi grandguignoleschi (soprattutto nell'interpretazione caricaturale dei cattivissimi nobili irlandesi), cerca inutilmente di svelare l'umanità della follia e la follia di chi ha saputo restare umano. 