filippo_24
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martedì 21 aprile 2020
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fincher ci insegna come trasformare un'idea brillante nell'apologia del banale a tinte rosa
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"Il curioso caso di Benjamin Button", un'idea brillante nata dalla penna di Francis Scott Fitzgerald (che si ispirò a sua volta ad un pensiero di Mark Twain) e relegata da Fincher nella bolgia infernale della malinconia degli "amori impossibili", in un'opera legittimata soltanto da una smodata e ossessiva ricerca del family friendly in ogni sua più patetica sfumatura. Quello di Benjamin Button è davvero un caso curioso: l'individuo nasce "vecchio" e muore "giovane", vivendo al contrario. Il "bambino-anziano", infatti, nato il giorno dell'armistizio della Grande Guerra, vive la propria vita ringiovanendo presso un'abitazione pluri-familiare gestita da una governante afroamericana, che lo accudisce come un figlio, poiché abbandonato dal padre biologico presso la sua dimora.
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"Il curioso caso di Benjamin Button", un'idea brillante nata dalla penna di Francis Scott Fitzgerald (che si ispirò a sua volta ad un pensiero di Mark Twain) e relegata da Fincher nella bolgia infernale della malinconia degli "amori impossibili", in un'opera legittimata soltanto da una smodata e ossessiva ricerca del family friendly in ogni sua più patetica sfumatura. Quello di Benjamin Button è davvero un caso curioso: l'individuo nasce "vecchio" e muore "giovane", vivendo al contrario. Il "bambino-anziano", infatti, nato il giorno dell'armistizio della Grande Guerra, vive la propria vita ringiovanendo presso un'abitazione pluri-familiare gestita da una governante afroamericana, che lo accudisce come un figlio, poiché abbandonato dal padre biologico presso la sua dimora. Quello di Fincher è un film che parte bene nell'ambientazione e nella struttura di impostazione, ma che poi scade inesorabilmente nella "Storia Infinita" tra Brad Pitt e Cate Blanchett, tormentata e rimarcata in modo fin troppo ovvio dal "fattore età" inversamente proporzionale tra i due. Fincher poteva sfruttare un vantaggio, ovvero quello di avere una trama già impostata alla perfezione dalla novella di Fitzgerald. Ma perché, invece, non incaponirsi sulla banalità dell'amore impossibile facendo urlare al capolavoro lo spettatore medio? E dunque, il gioco è fatto: la pellicola di Fincher si salva solo per la brillantezza del trucco, delle ambientazioni e della fotografia (tant'è che ha inanellato tre Oscar per il lato prettamente tecnico del film), il resto è una grandiosa opportunità che viene gettata al vento dopo un'ora di svolgimento che sembrava convincente, sebbene manchevole di spunti decisivi. La creazione di Fincher è un'opera estremamente attuale poiché scoperchia definitivamente il vaso di Pandora del family friendly, tirandone fuori tutti gli elementi possibili che possano creare un "Velo di Maya" (ahinoi) che foderi gli occhi del grande pubblico, invitandolo a straziarsi l'animo sulla drammaticità della vita sentimentale del Button interpretato da Brad Pitt. Lo scopo sembra essere proprio questo: fermare la narrazione nel momento in cui Brad Pitt è nel fiore dei suoi anni, con il suo immancabile aplomb, così da incentrare la seconda parte del film sulla celebrazione dell'estetico, ripercorrendo gli ultimi anni della vita di Benjamin (forse la parte più importante in assoluto) in maniera sbrigativa e poco sensata. Cate Blanchett è il non plus ultra di questo immenso carrozzone di sentimentalismo spicciolo: una prestazione quantomeno deludente (normale, in realtà, tenendo in conto lo standard dei film nei quale la si trova protagonista) che contribuisce a banalizzare ciò che di banalizzabile è rimasto, trasformandosi nella "donna angelo" (che niente ha a che vedere con quella dei poeti stilnovisti, date le avances sessuali piuttosto inopportune che in una certa parte del film esplicita al protagonista) obiettivo di un amore più nostalgico dei "vecchi" tempi della gioventù che realmente fondato su una qualche forma di condivisione pragmatica tra i due. Benjamin ringiovanisce sempre di più, fino a diventare un neonato, ma qual è la vera incidenza di questo ringiovanimento sul film? La difficoltà nei rapporti interpersonali, ovviamente. A questo si ferma la riflessione complessiva che il film dovrebbe portare ad elaborare. Delude, delude molto la trasposizione cinematografica del piccolo gioiello di Fitzgerald trasformato in una telenovela, tant'è che il film ha ragione di esistere finché gli sviluppi ripercorrono quelli del racconto al quale esso stesso è ispirato. E intanto l'anima narrativa di Fitzgerald, risvegliata dal richiamo di Fincher, è inesorabilmente torturata, devastata, straziata e ridicolizzata ad opera di una cultura cinematografica sempre più family friendly con inclinazione patetica, che rovina e distrugge a suon di luoghi comuni l'intera scuola di cinema "rivoluzionario" ispirato dai grandi scrittori alla quale si spaccia di appartenere, una scuola che forse deve la propria ragion d'essere proprio all'esplicito, allo scorretto e a ciò che viene raccontato remando contro all'eccessiva canonizzazione etica e morale scadente nel patetico del cinema di cui il pubblico più ragionevole si è ormai stancato.
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filippo_24
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martedì 21 aprile 2020
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fincher ci insegna come trasformare un'idea brillante nell'apologia del banale a tinte rosa
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"Il curioso caso di Benjamin Button", un'idea brillante nata dalla penna di Francis Scott Fitzgerald (che si ispirò a sua volta ad un pensiero di Mark Twain) e relegata da Fincher nella bolgia infernale della malinconia degli "amori impossibili", in un'opera legittimata soltanto da una smodata e ossessiva ricerca del family friendly in ogni sua più patetica sfumatura. Quello di Benjamin Button è davvero un caso curioso: l'individuo nasce "vecchio" e muore "giovane", vivendo al contrario. Il "bambino-anziano", infatti, nato il giorno dell'armistizio della Grande Guerra, vive la propria vita ringiovanendo presso l'abitazione pluri-familiare gestita da una governante afroamericana, che lo accudisce come un figlio, poiché abbandonato dal padre biologico presso la sua dimora.
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"Il curioso caso di Benjamin Button", un'idea brillante nata dalla penna di Francis Scott Fitzgerald (che si ispirò a sua volta ad un pensiero di Mark Twain) e relegata da Fincher nella bolgia infernale della malinconia degli "amori impossibili", in un'opera legittimata soltanto da una smodata e ossessiva ricerca del family friendly in ogni sua più patetica sfumatura. Quello di Benjamin Button è davvero un caso curioso: l'individuo nasce "vecchio" e muore "giovane", vivendo al contrario. Il "bambino-anziano", infatti, nato il giorno dell'armistizio della Grande Guerra, vive la propria vita ringiovanendo presso l'abitazione pluri-familiare gestita da una governante afroamericana, che lo accudisce come un figlio, poiché abbandonato dal padre biologico presso la sua dimora. Quello di Fincher è un film che parte bene nell'ambientazione e nella struttura di impostazione, ma che poi scade inesorabilmente nella "Storia Infinita" tra Brad Pitt e Cate Blanchett, tormentata e rimarcata in modo fin troppo ovvio dal "fattore età" inversamente proporzionale tra i due. Fincher poteva sfruttare un vantaggio, ovvero quello di avere una trama già impostata alla perfezione dalla novella di Fitzgerald. Ma perché, invece, non incaponirsi sulla banalità dell'amore impossibile facendo urlare al capolavoro lo spettatore medio? E dunque, il gioco è fatto: la pellicola di Fincher si salva solo per la brillantezza del trucco, delle ambientazioni e della fotografia (tant'è che ha inanellato tre Oscar per il lato prettamente tecnico del film), il resto è una grandiosa opportunità che viene gettata al vento dopo un'ora di svolgimento che sembrava convincente, sebbene manchevole di spunti decisivi. La creazione di Fincher è un'opera estremamente attuale poiché scoperchia definitivamente il vaso di Pandora del family friendly, tirandone fuori tutti gli elementi possibili che possano creare un "Velo di Maya" (ahinoi) che foderi gli occhi del grande pubblico, invitandolo a straziarsi l'animo sulla drammaticità della vita sentimentale del Button interpretato da Brad Pitt. Lo scopo sembra essere proprio questo: fermare la narrazione nel momento in cui Brad Pitt è nel fiore dei suoi anni, con il suo immancabile aplomb, così da incentrare la seconda parte del film sulla celebrazione dell'estetico, ripercorrendo gli ultimi anni della vita di Benjamin (forse la parte più importante in assoluto) in maniera sbrigativa e poco sensata. Cate Blanchett è il non plus ultra di questo immenso carrozzone di sentimentalismo spicciolo: una prestazione quantomeno deludente (normale, in realtà, tenendo in conto lo standard dei film nei quale la si trova protagonista) che contribuisce a banalizzare ciò che di banalizzabile è rimasto, trasformandosi nella "donna angelo" (che niente ha a che vedere con quella dei poeti stilnovisti, date le avances sessuali piuttosto inopportune che in una certa parte del film esplicita al protagonista) obiettivo di un amore più nostalgico dei "vecchi" tempi della gioventù che realmente fondato su una qualche forma di condivisione pragmatica tra i due. Benjamin ringiovanisce sempre di più, fino a diventare un neonato, ma qual è la vera incidenza di questo ringiovanimento sul film? La difficoltà nei rapporti interpersonali, ovviamente. A questo si ferma la riflessione complessiva che il film dovrebbe portare ad elaborare. Delude, delude molto la trasposizione cinematografica del piccolo gioiello di Fitzgerald trasformato in una telenovela, tant'è che il film ha ragione di esistere finché gli sviluppi ripercorrono quelli del racconto al quale esso stesso è ispirato. E intanto l'anima narrativa di Fitzgerald, risvegliata dal richiamo di Fincher, è inesorabilmente torturata, devastata, straziata e ridicolizzata grazie ad opera di una cultura cinematografica sempre più family friendly con inclinazione patetica, che rovina e distrugge a suon di luoghi comuni l'intera scuola di cinema "rivoluzionario" ispirato dai grandi scrittori alla quale si spaccia di appartenere, una scuola che forse deve la propria ragion d'essere proprio all'esplicito, allo scorretto e a ciò che viene raccontato remando contro all'eccessiva canonizzazione etica e morale scadente nel patetico del cinema di cui il pubblico più ragionevole si è ormai stancato.
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maurizio biondo
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lunedì 6 gennaio 2020
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cercasi david fincher
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Dove si è perso Fincher??? Cerchiamolo. Seven, fight club,the game....era un omonimo ad aver confezionato quei capolavori?
Questo Button, pare essere stato diretto da un epigono senzai dee di Zemeckis.
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martina martoglio
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domenica 29 dicembre 2019
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si poteva osare di più.
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Una storia vincente quindi è normale che ne venga fuori un buon film ma si poteva strutturare meglio. Si poteva rendere più emotivo invece che ridurlo ad una serie di gag l'una staccata dall'altra che alla fine, montate assieme, creano un film. A mio parere poteva diventare uno dei migliori film di sempre in assoluto ma non c'è riuscito in pieno anche se, meritatamente, gli ho dato 5 stelle.
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fabio
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martedì 28 agosto 2018
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poco entusiasmente
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da un'idea stuzzicante non viene fuori un granchè. una bella confezione (inclusi i protagonisti) ma nessun brivido.
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ediesedgwick
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domenica 11 marzo 2018
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fincher si è sciolto al sole
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Una bella delusione Fincher, una notevole mattonata, non necessariamente in senso solo positivo o negativo. Parte tutto con un guizzo d' inventiva che tiene in piedi la struttura solo a metà, ossia è una più che discreta, efficace intuizione narrativa, quella del protagonista che "ringiovanisce" mano a mano, portata avanti sul solco dei trascorsi interpresonali alla Forrest Gump (che Hollywood ama tantissimo, per cui l'America perde le staffe a sentir critiche) quindi neanche troppo male si direbbe. Ma poi, ecco che c’è, quasi tre ore del nulla: non è possibile, mi dicevo, ebbene sì, incombono tre ore basate sul percorso che il protagonista inevitabilmente compie, quasi adempie vedendosi 'decrescere', nel fare esperienze di vita praticamente "a ritroso" nonostante gli avvenimenti, le ripercussioni, i cambiamenti diano l'idea di esser scanditi senza più di tanta stortura, distorsione profonda, scarto da un punto di vista squisitamente relazionale e di dispiegamento fino all'infanzia terminale (che prefigura una metastasi col nulla che non riesce però a tradursi in immagini)
Tutto diventa (purtroppo) “calligrafico”, già da dopo la suddetta premessa, sentimentalismo futile, momenti trascurabili a non finire, filosofia abbastanza spicciola e ricordi che si sgranano passo passo.
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Una bella delusione Fincher, una notevole mattonata, non necessariamente in senso solo positivo o negativo. Parte tutto con un guizzo d' inventiva che tiene in piedi la struttura solo a metà, ossia è una più che discreta, efficace intuizione narrativa, quella del protagonista che "ringiovanisce" mano a mano, portata avanti sul solco dei trascorsi interpresonali alla Forrest Gump (che Hollywood ama tantissimo, per cui l'America perde le staffe a sentir critiche) quindi neanche troppo male si direbbe. Ma poi, ecco che c’è, quasi tre ore del nulla: non è possibile, mi dicevo, ebbene sì, incombono tre ore basate sul percorso che il protagonista inevitabilmente compie, quasi adempie vedendosi 'decrescere', nel fare esperienze di vita praticamente "a ritroso" nonostante gli avvenimenti, le ripercussioni, i cambiamenti diano l'idea di esser scanditi senza più di tanta stortura, distorsione profonda, scarto da un punto di vista squisitamente relazionale e di dispiegamento fino all'infanzia terminale (che prefigura una metastasi col nulla che non riesce però a tradursi in immagini)
Tutto diventa (purtroppo) “calligrafico”, già da dopo la suddetta premessa, sentimentalismo futile, momenti trascurabili a non finire, filosofia abbastanza spicciola e ricordi che si sgranano passo passo. Fincher fa il pieno di personaggi secondari di cui ci si sta già dimenticando durante le scene stesse in cui si prestano al racconto e alla linea della lettura da tanto che lasciano indifferenti (esempio su tutti, mai vista una figura paterna tanto pallida, scipita, brevilinea e poco caratterizzata).
Per il resto si susseguono stralci di vita imboccati da un diario letto al capezzale, tra rapporti illuminati alla bell' e meglio, senza profondità eccedente, secondo pochi e perlopiù scontati aspetti di affrontazione dell'anomalia. C'è da dire che il finale, per paradosso, risolleva anche ampiamente le sorti, ottenendo di prefigurare il riassorbimento nella nascita, ma forse Fincher non va abbastanza in fondo nella dinamica e si ferma qualche passo prima. In sé e per sé il difetto maggiore è che è troppo descrittivo, prevedibile, annacquato da qualsivoglia situazioni senza chiave di anelito ulteriore, sostenute solo da una delle migliori idee -lo concedo- che potessero saltar fuori per tirar fuori qualcosa da questo film. Quando l'idea da sola è più pregnante di quelle lunghissime, didascaliche, tre ore di visione, è segno che qualcosa tocca. La messa agli atti al limite della pedanteria, e il punto è proprio questo, che avendo e partendo da un materiale del genere, da un'anomalia dell'età così intrigante, ricca di risvolti psicologico-esistenziali (è tratto da un romanzo breve) la trasposizione è tutt'altro che valida, né concisa, con nessunissima sintesi di natura alcuna
Incisive sono solo certe immagini isolate, di giustezza poetica, quali la sfocatura dell'alba all'orizzonte, con il sole che spunta inversamente agli ultimi istanti di vita del padre, o il bel finale simbolico con il quadrante dell'orologio e l'acqua che allaga tutto. Accompagnamento e fotografia sono assolutamente stucchevoli, che non fa che appesantire, banali, o meglio alla lunga intiepidiscono. Uno dei più deboli film di Fincher su tutta la linea, in tutta sincerità (senza rancore per quello che rimane un gran bravo regista) avrei voluto prenderlo a sberle, a pensare che solo l'anno prima eravamo ai livelli di Zodiac, un capolavoro sfiorato. Si vede che il biografico/sentimentale non fa per Fincher, dovrebbe attenersi al suo forte che è il genere crime/investigativo perché raramente ho visto un film così affaticato, lezioso, tra lungaggini e senza un barlume di niente di altrettanto potente quanto l'implicazione di per sé della caratteristica principe, peraltro inverosimile, roba che neanche il primo venuto. Peccato. Per riprendere le parole del monologo: "spero che Fincher torni al thriller"
Voto: 4.5
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bracchetto58
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giovedì 1 dicembre 2016
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bello, bellissimo, un grande film
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TUTTO MERAVIGLIOSO. è UN VOLO NELL'ANIMA E NELL'AMORE. MA LEGGETEVI UN RACCONTO BREVE DI FANTASCIENZA DI JAMES G. BALLARD SCRITTO NEL 1964 DAL TITOLO "TIME OF PASSAGE" - (TEMPO DI PASSAGGIO"), E POI DITEMI DA CHI HANNO PRESO L'IDEA...... 44 ANNI DOPO NIENTE DI NUOVO PER CHI AVEVA GIà LETTO UN BREVE SCRITTO BEN PIù DRAMMATICO DEL FILM..... BRAVO DAVID FINCHER, MA è FACILE FARE SUCCESSO SULLE IDEE DEGLI ALTRI E DOPO AVER RUBATO L'IDEA AD UN GRANDE DELLA FANTASCIENZA ! BASTAVA DIRE CHE ERA TRATTO DAL RACCONTO , BASTAVA SOLO QUESTO - BYE BYE - DA GILO'
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luigi chierico
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sabato 2 aprile 2016
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da vedere
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due stelle si incontrano per sparire nel firmamento, una tanto vecchia una appena nata, hanno due destini le parabole si incontrano, emettono una gran luce per disperdersi nella notte dei tempi. ottimo film.
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luigi chierico
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giovedì 31 marzo 2016
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da non perdere
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Si deve moltissimo al regista David Fincher per aver saputo portare sullo schermo una vicenda tanto travagliata ed originale riuscendo a catalizzare l’ attenzione e l’interesse di tutti gli spettatori per l’intera lunga proiezione del film. L’dea parte da un grande scrittore, morto a solo 44 anni, Francis Scott Fitzgerald (vedi film Adorabile infedele con Gregory Peck, Eddie Albert, Deborah Kerr del 1959), il peso dell’ intera lunga vicenda è affidato a due ottimi attori : Brad Pitt e Cate Blanchett che hanno offerto prova di grandissima interpretazione, in una trasformazione di corpi e d’anima che è una metamorfosi di immagine e sentimento. I corpi si trasformano col tempo, destinati normalmente ad invecchiare, ma se si porta con sé sempre l’entusiasmo giovanile cede il corpo ma non l’amore.
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Si deve moltissimo al regista David Fincher per aver saputo portare sullo schermo una vicenda tanto travagliata ed originale riuscendo a catalizzare l’ attenzione e l’interesse di tutti gli spettatori per l’intera lunga proiezione del film. L’dea parte da un grande scrittore, morto a solo 44 anni, Francis Scott Fitzgerald (vedi film Adorabile infedele con Gregory Peck, Eddie Albert, Deborah Kerr del 1959), il peso dell’ intera lunga vicenda è affidato a due ottimi attori : Brad Pitt e Cate Blanchett che hanno offerto prova di grandissima interpretazione, in una trasformazione di corpi e d’anima che è una metamorfosi di immagine e sentimento. I corpi si trasformano col tempo, destinati normalmente ad invecchiare, ma se si porta con sé sempre l’entusiasmo giovanile cede il corpo ma non l’amore. Amore ed erotismo si rincorrono tra la tristezza ed il piacere attraverso sguardi e sorrisi di infinita dolcezza. Una storia nuova, al limite del paradosso, ma poco importa se è avvincente e convincente. Un orologio non si è fermato per arrestare il tempo ma addirittura va all’indietro per restituire quel che si è perso anche in guerra o su un letto d’ospedale dove nasce una creatura destinata ad essere l’orologio. Un neonato deve tornare neonato, un paradosso? Forse, ma seguiamo l’evolversi della storia di Benjamin Button e di Daisy Fuller, una parabola discendente ed una crescente, si incontrano, si sfiorano si confondono finché non riprendono il loro percorso inverso. Come in una favola anche qui c’è un bambino “ brutto come un vecchio rospo” , “Un uomo bambino, un uomo diverso”. Tutta la storia va dalla fine della prima guerra mondiale ad oltre la seconda, ed è in quell’epoca che Benjamin può dire:”Era la prima volta che una donna mi baciava, non si dimentica mai”. O tempora o mores! Insieme all’evolversi dei fatti vi è una colonna sonora bellissima, una vera dolce armonia, un canto del cuore ed una voce bellissima intona un’altrettanto bellissima canzone. Tra tanta musica,sorprende lo “sconosciuto ritrovato” suonare al pianoforte. La natura mostra i suoi spettacoli, albe e tramonti, mari in tempesta, una battaglia navale rappresentata in una maniera nuova, il fuoco occupa la sala,la paura l’anima. Gli occhi continuano ad ammirare la natura, mentre si ascolta la storia dei colibrì, si guardano i due protagonisti desiderarsi e trasformarsi, non è la bellezza a vincere ma la bontà, non la carne ma lo spirito, non la condizione sociale o l’età ma quel che si prova dentro. La fotografia e le riprese bellissime nascondono la bruttura ed il dolore, la vecchiaia che accompagna gli anziani è la vecchiaia di tutti ma non è quella “curiosa di Benjamin”. A secondo della narrazione la tinta della pellicola passa dal color ocra al marroncino, offrendo qualche scena in bianco e nero, mentre splende in tutta la sua magnificenza dinanzi ad un lago, ad un cielo che si tinge di rosso, ad un firmamento ricco di stelle. Tutti i tanti attori sono eccellenti ma quel che si ammira,oltre al fascino sottile di Cate Blanchett e al candore di Brad Pitt, è la scenografia, il trucco e gli effetti che a ragione hanno meritato l’Oscar. E con l’ultima scena con un batter d’ali di un colibrì sulla finestra dell’ospedale, dove sta morendo Daisy Fuller (Cate Blanchett), anche l’orologio della vita si ferma per tutti, con l’augurio di Benjamin (Brad Pitt):”Tutti possiamo vivere ogni cosa al meglio o al peggio e trovare la forza di ricominciare da zero”.chibar22@libero.it
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