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Tyler Rake, un action che nasconde il grande tema della perdita

Come in tante opere di genere, la violenza rappresenta solo la superficie del dolore. Su Netflix.
di Sara Gelao, Vincitrice del Premio Scrivere di Cinema

Chris Hemsworth (40 anni) 11 agosto 1983, Melbourne (Australia) - Leone. Interpreta Tyler Rake nel film di Sam Hargrave Tyler Rake.
lunedì 1 giugno 2020 - Scrivere di Cinema

Tyler Rake è il titolo dell’opera prima di Sam Hargrave, al suo debutto da regista dopo una carriera da stunt-coordinator nell’universo Marvel. Questa volta Netflix confeziona un action-thriller dagli scontri coreografici e cinetici, orchestrati secondo una prospettiva, a tratti, da videogame iperrealistico. Con una sceneggiatura scritta e prodotta dai fratelli Russo, l’emergente director ci consegna un prodotto di grande azione.

Sulla scia dell’iconica saga di John Wick e del distopico I figli degli uomini, Tyler Rake può sembrare un action movie usa-e-getta ma, pensandoci sù, cela dei meriti da riconoscergli, come quel piano-sequenza di undici minuti che fa eco a quello del recentemente elogiato 1917 (guarda la video recensione).
Sara Gelao, Vincitrice del Premio Scrivere di Cinema 

Tutto inizia in medias res. Il protagonista, appunto Tyler Rake, è sin da subito calato nel ruolo di soldato di ventura in piena missione e in uno scenario orientale canonicamente polveroso e fatiscente. Il pretesto narrativo è quello del rapimento del figlio di uno dei più potenti boss della droga del Bangladesh, tenuto nascosto in una delle città più impenetrabili del mondo, Dacca. Ed è qui che entra in scena Chris Hemsworth nei panni di un mercenario del mercato nero che ormai sembra avere ben poco da perdere nella vita. Tyler Rake è così un impavido personaggio da cartone, tormentato, piegato da una fuga irreparabile e imperdonabile, quella da suo figlio in fin di vita pochi anni prima. Tra una sparatoria e un’altra, tra un’esplosione e un inseguimento, la forza motrice di tutto il film e dello stesso protagonista si fa sotterranea ma imperativa: non è altro che una perdita incolmabile che detta un abisso personale. E Tyler Rake lo inganna così quell’abisso, con una paradossale e controversa violenza redentrice. 

È vero che Rake preme il grilletto apparentemente a sangue freddo, senza battere ciglio e senza scrupoli. Ma è altrettanto lampante che quel personaggio così pervicacemente e ostentatamente stoico è una capziosa copertura, un cieco diversivo che ovatta il dolore crudo della sua intima realtà. Nello sfoggio di un adrenalinico tour de force violentemente muscolare e vagamente guerresco, quei fiochi flashback di un bambino che rincorre a piedi nudi la riva del mare non dovrebbero essere letti come meri intermedi nostalgici ma piuttosto come cruciali chiavi di accesso ad un concetto cardine del film. 


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