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Un ripasso dell'ultima stagione cinematografica

Nell'anno delle Olimpiadi di Rio sono usciti due film singolari: Race e Pelé.
di Pino Farinotti

domenica 11 settembre 2016 - Focus

Come ogni anno alla vigilia dell'uscita del "Farinotti", siamo alla ventunesima edizione dal 1980, nella prefazione faccio un'istantanea della stagione. Rilevo dunque alcuni caratteri. Il primo è un numero: sono inseriti circa 520 titoli nuovi. Forse è un record. Il cinema si auto-produce quasi con frenesia. Molti titoli sono italiani che arrivano alla distribuzione attraverso contributi certo utili, non sempre benemeriti. Un altro "carattere" sono i generi. Ormai prevalgono i titoli di "fantasy robotizzata": supereroi, effetti speciali, violenza e decibel. E l'animazione a sua volta "robotizzata", buona per bambini e genitori. Basta guardare i vari box office: italiani e stranieri si omologano in tal senso. Siamo, come si dice, in epoca di globalizzazione. Altro carattere, del tutto diverso, sono i documentari, spesso di qualità. Nella valutazione in stellette è il genere più premiato. In questa chiave, generale, i numeri alti, le 4 stelle, per intenderci, sono molto rare. Infine una sorta di mutuo soccorso: il piccolo schermo soccorre il grande. È stato l'anno delle Olimpiadi di Rio, e relativa overdose di immagini. Di qualità alta peraltro, perché ormai le decine di telecamere in azione producono, in tempo reale, un vero kolossal. La Riefenstahl ci mise due anni a montare Olympia, il racconto delle Olimpiadi del 1936 a Berlino, il piccolo schermo fa lo stesso lavoro in un secondo. Le vittorie di Bolt sono un vero kolossal, reale peraltro, oltre ogni immaginaria fiction: nove medaglie d'oro in 3 olimpiadi diverse. "Colosso" di longevità, per la velocità. Bolt: "titolo" di altissimo gradimento, dominatore del box office. Ma c'è di più, il Brasile ha vinto la medaglia d'oro del calcio, con un altro eroe, Neymar, che ha segnato il gol della vittoria.

Rilevo dunque qualcosa di singolare: Olimpiade richiama Olimpiade, campione richiama campione o erede. Forse è stato un caso, forse no. Sono usciti due film, Race e Pelé. Il primo racconta la vicenda di Jesse Owens, il nero di Alabama che vinse quattro medaglie d'oro, 100, 200, 4x100 e salto in lungo, in quelle olimpiadi di Berlino. Una corrente di opinione, autorevole, continua a ritenere quella la più grande performance di un atleta, in tutte le epoche. Poi le leggende si combinano all'infinito, una legata all'altra. Il nero Jesse, battendo il mondo a Berlino, diede una lezione a Hitler nel suo stadio. E quella è leggenda vera, più importante di una quinta medaglia. Il film di Stephen Hopkins, con Stephan James che fa Owens, è magari un po' didascalico, ma richiama con energia quella vicenda. Owens si fermò a quella olimpiade, Bolt ne ha vinte tre, è certo più il forte, ma Jesse è il più grande.


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