Tarantino ritorna al cinema e lo fa con un genere da lui tanto amato in giovinezza. Lui stesso ha ammesso che il desiderio di girare il primo film fosse “scaturito” dalla visione di alcuni tra i western all’italiana più famosi di sempre come “Per un pugno di dollari” e “Ombre rosse”. In effetti, questa sua incursione nell’”arte del plagio” ha come protagonista quell’universo di “spaghetti-western” , di cowboy solitari e sudici, inespressivi o sprezzanti con il sigaro tra le labbra che hanno reso giustamente famoso il cinema.
La pellicola suona falsa sin dal titolo: “Django Unchained” ovvero Django libero, storia di una confusa caccia alle streghe e vendetta ambientata negli anni della guerra di secessione settant’anni prima della svastica scolpita in fronte di Landa (Inglourius bastards).
L’orizzonte geografico è - nel rispetto della tradizione western- identificabile in una non meglio precisa località in Texas all’alba della guerra civile dove lo spettatore è introdotto in medias res nel cuore della vicenda dal cacciatore di taglie di origine tedesca Schultz (C. Waltz) ex dentista, ora bounty-killer, alla ricerca dei fratelli Brittle, tagliagole e rapinatori di diligenze. Schultz dalla mente fredda e calcolatrice ma dalla imprescindibile ironia, si imbatte nel “diversamente schiavo” Django (Jamie Fox) incatenato dai negrieri e sottoposto a terribili angherie. E’ il classico duro poco propenso alle chiacchiere (le cicatrici sulla schiena sono più eloquenti di mille parole) arrabbiato e dal desiderio impellente di trovare la moglie Broomild, venduta come forza lavoro in una piantagione di cotone gestita dal mercenario-faccia d’angelo Calvin Candie (Di Caprio).
Storia comune, stile disgiunto e quasi psichedelico. Già perché il leit-motiv della pellicola potrebbe essere questo: la ricerca, confusa, in un territorio spazzato dagli yankee e devastato dalla diversità delle leggi discriminatorie e dalla barbarie dei negrieri di una donna. Un western che non si colloca sotto il grande cielo della tradizione avulso quindi da quello finemente tracciato nelle classiche pellicole di Ford, Leone, Corbucci e che basa il suo epicentro sulla disperata salvezza della moglie di Django - la Brunilde di Sigfried per un paragone forzato con il poema epico medioevale - al cui interno muovono trame e intrighi, sparatorie pirotecniche, virtuosismi barocchi e un’abbondante spruzzata di sangue condito dallo humour al vetriolo del mascellone Tarantino (che si permette anche di apparire come comparsa fatta saltare in aria dopo pochi minuti).
La strana coppia,lo schiavo "negro" e l'improbabile dentista bianco coinvolgono certamente nella loro lunga epopea lo spettatore che rimane affascinato dalla rievocazione di un west privo di retoriche e naturalmente violento carico di potenza visiva con personaggi vivi nel loro splendore di egocentrica malignità e spietato schiavismo mercenario. I tratti caratteristici di Tarantino sono presenti: urla di dolore, uomini spogliati dalla propria identità e dignità, violenze permeate dal gusto di sbalordire e autocompiacersi anche nella citazione di pellicole passate, ma è tutto qui.
“La storia bastarda” preconfezionata mostra un gioco delle parti pirandelliano non equilibrato in bilico tra sorveglianti e sorvegliati che si scrutano, si studiano e infine si ammazzano in una picaresca scena da “Iene”. Con una differenza notevole: il cinismo e la crudeltà dei tempi di Pulp Fiction o la splendida caratterizzazione di Jackie Brown sono una chimerica illusione. Kate Washington (Broomild) è fossilizzata nel suo ruolo di schiava quasi automa nelle mani di chicchessia, Calvin Candy (Di Caprio) risulta fin troppo buffonesco per essere vero mentre Cristopher Waltz e Samuel L. Jackson (il dentista e lo sciancato secondo di Calvin) sono gli unici veri interpreti sardonici e ben costruiti al punto giusto che rendono il prezzo del biglietto “ripagato” anche dal mosaico di musiche anni 70 con una chicca di Elisa diretta da Morricone. Troppo poco. Dovremmo abituarci?
Mezza stella in piu’ per lo spettacolo dei sensi; il cuore rimane, ahimè, spezzato da un proiettile vagante esploso da una Colt.
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