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Vallanzasca: niente di sociale

Gangster's story per il botteghino. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Kim Rossi Stuart nei panni di Renato Vallanzasca
Kim Rossi Stuart (54 anni) 31 ottobre 1969, Roma (Italia) - Scorpione. Interpreta Renato Vallanzasca nel film di Michele Placido Vallanzasca - Gli angeli del male.

lunedì 24 gennaio 2011 - Focus

È mio costume prima di vedere un film tratto da un libro, leggere il libro. Il meccanismo è il solito, e anche la dialettica: il romanzo è meglio, più ricco e profondo, però il film, se corretto, può trarne vantaggio. L'ultima "combinazione" è di questi giorni, La versione di Barney, grande romanzo, buon film. Avevo già intuito, informandomi, che il libro di Vallanzasca-Bonini non avrebbe aggiunto molto alla mia cultura letteraria, e alla mia passione. Ero quasi certo che il film bastasse. Alla prova dei fatti è stato così. Nelle prime sequenze, Vallanzasca racconta in prima persona, sono le parole del libro. Un esempio "mettiti nuda prima che io finisca la sigaretta". La qualità non produce grandi stimoli, appunto. Anche perché prima dei titoli qualcosa di letterario c'è: "Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta; e questa frusta è predisposta unicamente per l'autoflagellazione". La citazione non è di Vallanzasca, neanche di Bonini, è di Truman Capote.

Fascino
Riferendomi a un'intervista del regista Michele Placido e alle notizie intorno al film in produzione, avevo scritto sul fascino dei cattivi, sui Robin Hood, partendo anche da molto lontano, citavo un trattato del 1757 dello scrittore (e politico) inglese Edmund Burke che "rivedeva il concetto classico del sublime, codificato nel terzo secolo dal filosofo greco Longino, di fatto capovolgendolo: detto in sintesi non è il bello che davvero ci affascina, ma l'orrendo. Con tutte le evoluzioni che potevano derivarne. A cominciare dal concetto dell'eroe, che perde fascino e diventa banale: è molto più interessante l'antagonista, il cattivo, l'antieroe. Due capisaldi decisivi letterari, figli del nuovo sublime, sono Frankenstein di , del 1817, e Dracula di Bram Stoker, del 1897. Tutta "roba da cinema", sappiamo. Alcuni stralci di Placido sul bandito milanese: "... un fiore del male che ha una sua poetica"; "....è stato una sorta di Robin Hood"; "... questo antieroe può farci riflettere sulla decadenza della società..."; "...nessun perdono per lui: però il male va raccontato e noi abbiamo il dovere di raccontare il male della società."

Decadenza
Alla resa dei conti si possono rileggere i concetti di questa dichiarazione: Vallanzasca non ci fa riflettere sulla decadenza della società; è vero che il regista non lo perdona e certo Placido ha raccontato il male, che non sarebbe proprio un dovere, è solo un'opzione. In questo caso l'opzione è il servizio più semplice per il cinema: vendere. Altre missioni, in questo film, non si palesano. Ed è molto positivo che Renato il milanese, in un'intervista dichiari "io non sono un criminale per colpa della società, lo sono perché mi piace rubare, sono nato per quello". Film dunque di "avventura criminale", non film sociale.
Vallanzasca è un perfetto modello da film, possiede tutte, proprio tutte le voci della scheda, e un indubbio appeal. Tutto questo già varrebbe se il criminale fosse pura fiction, ma c'è il fatto che è anche esistito, e tutto viene rilanciato. L'ho detto, perfetto modello. Occhi azzurri, simpatico, disinvolto e ironico persino in azioni nelle banche, naturalmente deve molto al suo alter ego Kim Rossi Stuart, che sarebbe perfetto se non ci fosse di mezzo ...il milanese. Nella ricerca del naturalismo, si dice così, più avanzato possibile, Renato e gli altri parlano con pesante cadenza lombarda. Solo che sembrano aver preso lezioni di lingua da un piemontese che l'aveva presa da un sardo. Ne esce un idioma da Zelig. Può darsi che il mio fastidio sia molto personale, da milanese quale sono, ma se gli attori si fossero limitati all'italiano la scelta sarebbe stata meno suggestiva ma il film ci avrebbe guadagnato.
E poi lo stile, il cosiddetto linguaggio: sempre a cercare l'effetto, e l'eccesso, anche di violenza, cadendo spesso in una maniera che comunque fa parte di Placido quando racconta cose che sarebbero semplici ma che intende arricchire di implicazioni superflue. Ricordo in questo senso la sua lettura del sessantotto ne Il grande sogno.

Ispirazione
Qualche citazione, qualche ispirazione. I rapporti interni fra criminali, evidentemente hanno regole, gesti, estetiche, universali. Perché emergono i modelli di Placido. Modelli buoni naturalmente, non è riduttivo riprodurli. Rivedo Quei bravi ragazzi di Scorsese, con quel rapporto intimo, quasi morboso fra Riotta, De Niro e Pesci; e poi Heat di Mann, col solito De Niro e Kilmer; e ancora C'era una volta in America di Leone, con De Niro –lui c'è sempre- e Woods. Ma soprattutto Placido riproduce una sequenza del Padrino parte seconda, quando Pacino ha scoperto di essere tradito da suo fratello Fredo (Cazale), gli prende la testa fra le mani, quasi lo bacia, e glielo dice "tu mi hai tradito". Stuart e Timi rifanno esattamente Pacino e Cazale. Secondo Coppola. E certo che funziona.

Dato ai cinefili ciò che è dei cinofili, tirando le somme, dal racconto esce il bel René, anche come documento: le uccisioni, le evasioni, le migliaia di lettere delle ammiratrici, i servizi dei telegiornali dell'epoca –c'è anche un passaggio, fra gli altri, dell'eterno Fede- i titoli dei quotidiani e dei magazine. E poi gli ergastoli. Adesso Vallanzasca ha la facoltà di uscire dal carcere alle 7 e trenta e rientrarvi alle 19. Lavora in una pelletteria. Il film non insiste sulla redenzione del personaggio, ed è una buona cosa.

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