Paolo Sorrentino è un attore italiano, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, relatore, è nato il 31 maggio 1970 a Napoli (Italia). Al cinema il 24 ottobre 2024 con il film Parthenope. Oggi al cinema con il film Parthenope distribuito in 12 sale cinematografiche. Paolo Sorrentino ha oggi 54 anni ed è del segno zodiacale Gemelli.
Napoletano purosangue, fin dagli esordi Paolo Sorrentino, regista e sceneggiatore di tutti i suoi film, si distingue dai colleghi italiani grazie a uno stile personale e contemporaneamente internazionale: rigoroso, quasi geometrico nella scelta delle inquadrature e dei movimenti di macchina, innovativo ed eccentrico a livello di scrittura. Fucina di storie e personaggi forti e originali, il suo spirito creativo, sofisticato anche sul piano visivo e musicale (passa in modo disinvolto da Ornella Vanoni all'elettronica dei Lali Puna), lo colloca oggi a pieno diritto nella schiera dei giovani "autori" europei, in compagnia purtroppo di pochi italiani apprezzati forse più in Francia che da noi (tra questi Crialese e Garrone).
La scrittura... e la regia
Giunto dietro alla macchina da presa dal mondo più riservato della scrittura (vincitore del Premio Solinas nel 1997 con Dragoncelli di fuoco, ha scritto insieme a Capuano la sceneggiatura di Polvere di Napoli e ha lavorato per la serie tv La squadra), Sorrentino ha esordito come regista, dopo alcuni cortometraggi, con il pluripremiato L'uomo in più (2001). Dopo i due omonimi loosers Antonio Pisapia, il dimesso ex-calciatore Andrea Renzi e l'ex cantante cocainomane Toni Servillo (vincitore della Grolla d'Oro), il regista è tornato in Le conseguenze dell'amore (2004) a cucire sul corpo di Toni Servillo l'abito di un personaggio scomodo, antipatico e allo stesso tempo commovente per la vulnerabilità celata dietro una maschera d'indifferenza. L'insonne, metodicamente eroinomane Titta di Girolamo va ad arricchire infatti la galleria di "ex" tra i personaggi di Sorrentino: ex mafioso, criminale gentiluomo dotato di un'eleganza d'altri tempi, questo timido e sofisticato antieroe si trova a sconvolgere "in modo rocambolesco" la propria piatta, anonima esistenza. Presentato a Cannes, il film ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui cinque David di Donatello ("miglior film", "miglior regia", "migliore sceneggiatura", "migliore attore protagonista" e "miglior direttore della fotografia") e tre Nastri d'Argento ("migliore attore protagonista", "migliore attore non protagonista" e "miglior direttore della fotografia").
Dopo aver fatto una brutta fine nei panni del marito di Aidra all'inizio de Il caimano morettiano, Sorrentino ha nuovamente riscosso il favore della critica al Festival di Cannes con L'amico di famiglia (2006), storia del vecchio usuraio dell'Agro Pontino Geremia de' Geremei (Giacomo Rizzo), un altro sgraziato antieroe dal nome eccentrico che si aggiunge alla galleria di creature disperate create dalla penna e dalla camera del regista napoletano.
Ancora Cannes
Nel 2008 torna in concorso a Cannes con Il Divo, scomodo ritratto della figura di Giulio Andreotti - interpretato dal suo feticcio Servillo - nel periodo della sua caduta politica. E dopo un cortometraggio, La partita lenta, sul mondo dello sport, eccolo tornare nel 2011 con un'altra sorpresa: viene presentato a Cannes il drammatico This must be the place, nel quale Sean Penn veste i panni del protagonista, una ex rockstar in cerca di un criminale nazista che aveva umiliato il padre durante la guerra. Due anni dopo è di nuovo sulla Croisette per presentare la nuova opera con protagonista l'inseparabile Servillo e la città romana diventata casa sua: La grande bellezza sarà l'unico film italiano in concorso alla 66. edizione del Festival. Giunto con successo sul mercato americano, il film, vincitore in patria di tre Nastri d'argento, trionferà ai Golden Globe 2014 vincendo il premio come Miglior film straniero, e nella stessa categoria sarà candidato agli Academy Awards.
Paolo Sorrentino, napoletano, 35 anni, amante degli attori naturali, uso a lasciare alla moglie giornalista ogni decisione e azione della vita quotidiana (come faceva Fellini con Giulietta Masina, come fanno tanti che si considerano artisti), per due volte al Festival di Cannes con gli ultimi due film, ammirato come una nuova certezza del cinema italiano, non ama la bellezza. Almeno la bellezza convenzionale, di solito stupida. Come i bambini con i loro mostri-giocattolo, pensa che la bellezza si trovi soltanto nel sordido, nello sgradevole, e in nessun altro luogo: «In ciò che di solito la gente respinge c'è un'umanità, nei cattivi c'è una sofferenza e una povertà che li rende belli».
Così, se il protagonista del suo precedente bellissimo film Le conseguenze dell'amore, Toni Servillo, era un elegante delinquente, trafficante di soldi per conto della mafia, ne L'amico di famiglia il protagonista Giacomo Rizzo, attore del teatro napoletano, è uno strozzino, un personaggio di settantenne orribile, piccolo, zoppicante, tirchio e ricchissimo, goloso delle donne, ricattatore. Laido, ma non più laido dei tanti che si rivolgono a lui per ragioni sciocche o vane: poter organizzare per la figlia un matrimonio pomposo,poter partire per andare a vivere nel Tennessee dove il country regna, poter andare a curarsi a Parigi. Pure lo stile del film è all'opposto dell'opera precedente: prima asciutto, sobrio, raggelato, poi barocco e portato alla somma di elementi anziché alla sottrazione.
Che si tratti di un regista di coraggio nessuno potrebbe negano. Soltanto un altro regista dell'ultima generazione, il bravo Matteo Garrone, 38 anni, ne L'imbalsamatore aveva osato eleggere protagonista un nano brutto, non simpatico (e del resto David Lynch aveva scelto un mostruoso Uomo elefante già dal 1980). Chissà come il pubblico accoglierà l'usuraio Geremia de' Geremei. Paolo Sorrentino non starà in ansia.
È una persona che ha sin troppa fiducia in se stesso, dotata di quella forza nervosa che non può mancare a un regista, ottimista e presuntuoso nello stesso tempo, non alieno dall'artificio.
Il suo film uscirà in settembre, pare. Magari nel frattempo ci rimetterà le mani. il successo può attendere.
Da Specchio, 1 giugno 2006
«Il momento magico, a Cannes, arriva la notte della vigilia. Alle tre, a sala vuota: il proiezionista e io, nel buio, soli. Quella leggera ansia, la visione del film come non lo hai mai visto prima, nell’immensa sala deserta che l’indomani già immagini sarà piena di persone che non conosci. Sono stato due volte, al festival. E anche se mi vedi così, in jeans e maglietta, praticamente vestito di niente, non sai con quanta gioia ho indossato lo smoking e sono salito su quel palco.»
Il regista più interessante della nuova generazione è un ragazzo di trentacinque anni, napoletano totale, casa al Vomero da sempre, moglie e figlio piccolo di tre anni, i riccioli neri spettinati, l’aria un po’ timida e un po’ sfrontata che hanno quelli del Sud quando ti guardano e non ti conoscono. Paolo Sorrentino, nel tempo passato insieme, si lascerà andare piano piano, grazie alle sigarette (sue) e alla passione con cui svela il suo semplicissimo segreto artistico: «Tutto nasce dalla pigrizia, io sono capace di passare giorni e giorni a casa, magari mi affaccio alla finestra, osservo gli altri, invento le storie cogliendo minimi dettagli: i protagonisti del mio ultimo film, L’amico di famiglia, sono ispirati ai miei vicini di casa, una madre e un figlio maschio, entrambi ormai grandi, anziani, legati da un misterioso rapporto che mi ha intrigato e insospettito per anni. Vedi, io penso che tutte le persone nascondano segreti terrificanti e che, in particolare, gli uomini che non si sposano siano condannati a una parabola discendente senza ritorno. Mi attirano quei bambini vecchi, accuditi, pieni di piccole manie, di fisime. Nel film, c’è anche il tormento dell’amicizia cercata e sempre negata: un usuraio che vuole a tutti i costi trovare amici fra i suoi clienti, ma lui è bruttissimo. Forse è una mia ossessione, ma bellezza e bruttezza sono fondamentali, poi ci ho messo un cowboy italiano, e ho girato tutto nella zona fra Latina, Sabaudia, Pontinia, un omaggio all’architettura mussoliniana, cinematograficamente perfetta. I miei ingredienti sono la malvagità, il sopruso, la cattiveria: da lì nasce il conflitto che accende la creatività. Anche la storia di Le conseguenze dell’amore è nata da un pomeriggio di noia, a un festival di cinema a San Paolo, in Brasile. Siccome non so le lingue, neanche l’inglese, in queste occasioni mi capita di restare solo in albergo, al bar che è poi luogo sospetto per eccellenza. Quella volta, a furia di veder passare davanti a me strani personaggi, uomini d’affari con valigette ben strette ai polsi, ho cominciato a pensare il peggio e a costruire il soggetto sprofondato in una poltrona». Lo incontro in un ufficio romano all’Esquilino, in una quiete surreale. A poche centinaia di metri da noi, la politica è impegnata in una serie di duelli per l’assegnazione dei ministeri e delle più alte cariche dello Stato. «Io sono di sinistra, ma non frequento i politici. Ho un rapporto di “buongiorno e buonasera” con il presidente della mia regione Antonio Bassolino, ho avuto un David di Donatello da Walter Veltroni, ma sono affascinato dai destri. Adoro i personaggi negativi, e sogno da sempre una cena con Giulio Andreotti e Paolo Cirino Pomicino» ride, ma poi mi chiede se potessi, chissà, un giorno… magari anche soltanto Pomicino... «E poi, come non ammirare l’intelligenza, l’ironia e la durezza di Massimo D’Alema?»
Figlio di Sasà, dirigente bancario, e di Tina, casalinga, Paolo Sorrentino rimane senza genitori a diciassette anni. Studia al liceo classico dei salesiani e sogna di diventare un economista, si iscrive alla facoltà di economia e commercio, arriva quasi alla laurea ma alla fine lascia per dedicarsi al cinema. Nel 1993, quando Bassolino diventa sindaco e crea dei nuovi luoghi di aggregazione per i giovani, si unisce al gruppo napoletano formato da Mario Martone, Pappi Corsicato e Antonio Capuano. «Avevo iniziato a scrivere storie come autodidatta: ho comprato i manuali di sceneggiatura di Massimo Moscati in libreria, partecipavo ai concorsi per i cortometraggi. Con Ivan Cotroneo, scrittore e traduttore, mio vicino di casa, a diciotto anni abbiamo scritto il primo, per il festival di Bellaria, si chiamava Luoghi comuni: ambientato nell’aldilà, immaginavamo che Marx, Nietzsche e Gesù si trovassero nello stesso appartamento a parlare di Dio. Ho poi avuto come maestro di scrittura Umberto Contarello, da lui ho imparato i trucchi più raffinati ma anche quelli più beceri. Per mia fortuna, ho imparato anche dagli attori: Toni Servillo è straordinario, lo puoi anche lasciare sul set e andartene via. E mi piace fare un po’ da pigmalione: Gaetano Rizzo, l’attore protagonista con Fabrizio Bentivoglio dell’ultimo film, si chiama Giacomo Rizzo: è un caratterista napoletano noto per la sua bruttezza. È bravissimo, e sono sicuro che avrà finalmente io spazio e la carriera che gli sono dovuti.»
Per Sorrentino, il cinema è un gioco, «che durerà finché mi faranno giocare: un bel gioco, pieno di stress e di tensioni». Il suo successo, veloce e meritato, «è arrivato senza che io dovessi subire quelle anticamere, quei compromessi e quelle tragedie che ti raccontano quasi tutti i miei colleghi, confesso che quei racconti a volte mi fanno sentire un po’ a disagio. Sei anni fa, la casa di produzione Mediatrade cercava copioni. Ne ho mandato uno e l’hanno preso. Ancora adesso, il mio produttore è Medusa, Berlusconi. Sono rispettosi, capaci. In compenso, li ho portati per due volte a Cannes». Sembra che voglia aggiungere, con la saggezza napoletana, qualcosa di più. Poi si ferma e sorride. «Niente dolore, niente raccomandazioni, niente salotti politici o cinematografici. Sono rimasto a vivere a Napoli, nella stessa casa dove sono nato, ma il mio film napoletano devo ancora girarlo: è tutto pronto, ho già scritto la sceneggiatura, è tratto dal romanzo di Raffaele La Capria, Ferito a morte». Gli racconto che Dino Risi parla di lui come il più bravo dei registi trentenni, lui gradisce, si imbarazza, poi subito sdrammatizza: «Glielo racconti tu che i miei film di formazione, quelli che ho rivisto mille volte, sono quelli del meraviglioso Fantozzi?»
Da Registi d’Italia, Rizzoli, Milano, 2006