Bruno Ganz, nato per caso a Zurigo, unico grande attore di lingua tedesca che abbia accettato di impersonare Hitler (ne La caduta di Oliver Hirschbiegel, cronaca degli ultimi giorni di vita del dittatore, del suo Stato Maggiore e di Eva Braun nel bunker sotto la Cancelleria di Berlino, mentre la città veniva conquistata dall'Armata Rossa) ha 64 anni, poca statura, una faccia qualsiasi da burocrate e voce, occhi, sorriso bellissimi.
È il maggiore attore della scena tedesca. Al cinema lo conosciamo bene: a parte La caduta con tutte le polemiche che ha suscitato, lo abbiamo visto sempre bravissimo in film importanti di registi importanti: La marchesa von O. di Rohmer, Nosferatu di Herzog, L'amico americano, e Il cielo sopra Berlino di Wenders, Oggetti smarriti di Giuseppe Bertolucci, Pane e tulipani di Silvio Soldini.
Ma il suo mezzo d'espressione e di cultura è il teatro. A Brema nel 1964 (aveva 23 anni) faceva parte d'un gruppo di giovani promettenti tra i quali Peter Zadeke Peter Stein; insieme con questo gruppo, nei giorni della contestazione, abbandonò i teatri stabili girando per tutto il Paese in sedi improvvisate (cinema, trattorie, birrerie) recitando per il pubblico popolare. Si stabilì infine a Berlino,dove fondò con Peter Stein uno dei teatri più famosi d'Europa, la Schaubühne: lì nei primi anni Settanta recitò con successo adorante La madre di Gorkij, Il principe di Homburg, Peer Gynt Le Baccanti, La morte di Empedocle. Nonostante le grandi soddisfazioni teatrali (o magari proprio per quelle: detesta ripetersi, non mettersi alla prova) lasciò le scene per dedicarsi al cinema. Vi tornò nel 1982, con una storica e mai dimenticata edizione di Amleto alla Schaubühne, con l'interpretazione del Parco di Botho Strauss, di Prometeo incatenato di Eschilo. Bruno Ganz è un attore magnifico, un uomo dolce, un carattere saturo di tic, manie,fissazioni: l'ammirazione appassionata per alcuni altri attori (è tra i realizzatori di Ricordo, 1982, dedicato alla memoria di Bernhard Minetti e Curt Bois); la necessità, prima di andare in scena, di restare due ore solo in camerino senza parlare; la durezza verso i compagni di lavoro sciatti; il bisogno di dormire tra lenzuola di lino, di camminare a passo svelto 40 minuti ogni mattina, di adottare una dieta quasi del tutto vegetariana che non superi i 700 grammi quotidiani, di scrivere con una vecchia perfetta penna stilografica a inchiostro. E di lavorare, anche adesso, almeno dieci ore al giorno.
Da Lo Specchio, 4 giugno 2005