Il Cinema Ritrovato di Bologna omaggia l'attore con una ricca retrospettiva di film riproposti e restaurati.
di Roy Menarini
Omaggiato da una ricca retrospettiva di film riproposti e restaurati al Cinema Ritrovato, Marlon Brando vive l'ennesima stagione di riscoperta, grazie alla quale l'icona del ribelle hollywoodiano esprime, nuovamente su grande schermo, la sua imperitura fisicità.
Di Marlon Brando è facile il confronto con James Dean, e dire banalmente che egli - per sua fortuna - ha potuto e dovuto affrontare l'invecchiamento del proprio corpo. Ma non basta, perché pochi hanno messo a disposizione della macchina da presa il corpo in modo così sfrontato.
Corpo sul quale egli ha costruito la sua forza animalesca, non solo nella prima pellicola che lo consacra (Il selvaggio) quanto in quella che lo mitizza dopo la lunga militanza teatrale: Marlon Brando infatti interpreta Kowalski sia a Broadway sia sul grande schermo nella versione cinematografica di Un tram che si chiama desiderio. In verità, già nel Selvaggio, c'è un dettaglio particolarmente curioso, quello per cui il protagonista che veste il Perfecto (futuro "chiodo") e guida la Triumph, ruba un trofeo a una gara su due ruote. Ebbene, il premio somiglia in tutto e per tutto a un Oscar e Brando, per come lo lega alla moto a guisa di bottino di guerra, sembra tenerci molto. Poco importa poi se - nella seconda parte della sua carriera - contesterà poi l'Academy e manderà in vece sua a ritirare la statuetta per Il padrino una indiana d'America, allo scopo di sensibilizzare la platea sul triste destino dei nativi.
Rivedere oggi uno dopo l'altro i film di Brando permette di valutare con maggiore lucidità la capacità di questo attore di trasformare la propria icona ad ogni epoca: il ribelle motociclista sopra citato, il bestiale ed erotico Kowalski di Tennesse Williams pochi anni dopo, il poliziotto nell'America ricca e razzista degli anni Sessanta (La caccia di Arthur Penn), via via fino alla filosofia sexualis di Bernardo Bertolucci (Ultimo tango a Parigi) e al boss mafioso per la saga di Coppola (Il padrino).
Brando non ha mai temuto di gettare alle ortiche il suo capitale simbolico di divo, ben sapendo che - nelle mani di registi provocatori e geniali - avrebbe comunque rovesciato il tavolo e ridato le carte a modo suo.
In Ultimo tango a Parigi Brando aveva 48 anni, anche se psicologicamente molti spettatori lo ricordano più vecchio. È un segno chiaro, di un attore che cercava di trasformare il proprio personaggio e che puntava a un carisma senile seducente, dopo tanti film di imposizione della fisicità giovanile.
Desideroso di sperimentare e lasciarsi guidare in territori inesplorati, Brando ha sempre preferito spiazzare. Era spesso protagonista di film stilisticamente sorprendenti. Pensiamo alla copia virata e "dorata" di Riflessi in un occhio d'oro di John Huston, un film psicologico e contorto, dove la claustrofobia della recitazione mette in luce altri aspetti del vocabolario attoriale del divo. Si tratta con tutta evidenza di una icona che sfugge e giunge ad astrarsi fino al ruolo definitivo per eccellenza, quello di Kurtz in Apocalypse Now, opera che non solo chiude simbolicamente il gigantismo più libero della New Hollywood ma probabilmente anche la saracinesca di un cinema americano in grado di contenere Brando e le sue metamorfosi.
Non è da tutti traslocare con coraggio dal classicismo inquieto degli anni Cinquanta agli umori generazionali della Hollywood anni Settanta, o da Los Angeles al cinema d'autore intellettualistico europeo. Il fatto è che Brando veniva rispettato sia per la sincerità creativa (basti pensare a quello strano western caotico che prende il nome di I due volti della vendetta, unico film da lui diretto), sia per il carisma innegabile.
Quando il giovane Bertolucci lo incontrò per proporgli Ultimo tango a Parigi, non stupisce che fosse a tal punto in soggezione da non poter dominare un tic alla gamba, che scattava di continuo senza volerlo, suscitando l'ilarità di Marlon. Effetti delle star che si meritano di esserlo. Effetti di attori "bigger than life", di cui si sente una gran mancanza nel cinema contemporaneo.