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Quando le immagini non bastano

Dal 14 luglio al 23 settembre a Gorizia va in schermo il cinema 'sulla carta'.
di Marzia Gandolfi

Colin Firth (63 anni) 10 settembre 1960, Grayshott (Gran Bretagna) - Vergine. Interpreta Re Giorgio VI nel film di Tom Hooper Il discorso del re.

giovedì 14 luglio 2011 - News

Il cinema sulla carta
Jorge Luis Borges ne "L'oro delle tigri" scrisse che quattro sono le storie e per tutto il tempo che ci rimane continueremo a raccontarle e a trasformarle. Storie di assedi, di ritorni, di ricerche, di sacrifici che ogni volta vengono scomposte e ricomposte in una diversa forma emozionale. Esistono poi molte pratiche di scrittura, quella filmica dello 'sceneggiare' è una di queste ed è al centro del Premio Amidei, che da trent'anni individua 'sulla carta' il cinema nazionale e internazionale che meglio di altri abbia saputo seminare dentro le immagini le parole. Parole che attecchiscono trasformandosi in dialoghi, in quei dialoghi senza i quali quel film non sarebbe lo stesso. Se c'è stato un tempo in cui il cinema sembrava poter e dover fare a meno delle parole, oggi ci sembra al contrario che la visione abbia bisogno anche della parola. Ogni anno allora nella cornice di Gorizia il Premio Amidei torna alle parole, le ricerca, le riporta, le rende fruibili in un concorso e infine le premia, celebrando il tempo del racconto e tutte quelle frasi che invocano noi spettatori come testimoni. Selezionati da una giuria prestigiosa composta da autori, sceneggiatori, attori e produttori - Ettore Scola, Franco Giraldi, Marco Risi, Giuseppe Piccioni, Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Giovanna Ralli e Silvia D'Amico – i dieci film in concorso per il Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura Cinematografica rappresentano probabilmente il cinema che meglio ha 'saputo parlare' al suo tempo e al suo pubblico nella stagione corrente. Muovendosi tra i generi e pescando tra gli intrecci verbali della commedia, le parole dense dei drammi, i dialoghi memorabili di biografie reali, il Premio Amidei anche quest'anno ha recuperato al silenzio della scrittura il tumulto del sonoro.

Parole in concorso
Apre il concorso Il discorso del re, racconto di formazione di un sovrano balbuziente, che la notte degli Oscar ha trionfato sulle pellicole 'all'avanguardia' di Fincher e Nolan. Interpretato con sofisticato charme da Colin Firth, il film di Tom Hooper racconta la singolare relazione che legò re Giorgio VI al suo logopedista, l'australiano Lionel Logue che lo aiutò a superare 'il mal di voce' e a tenere alla nazione il suo discorso più bello. Eludendo le opinioni miopi di una certa critica, che ha definito Il discorso del re conservatore e convenzionale, la giuria del Premio Amidei ha intuito la rappresentazione tutt'altro che banale dei rapporti tra l'uomo e i mezzi di comunicazione nell'Europa dei totalitarismi e all'indomani delle intemperanze strumentali e propagandistiche di Adolf Hitler. Altrettanto simbolica e innovativa è la messa in scena de La solitudine dei numeri primi, storia di Alice e Mattia, introversi e disadattati a causa di un trauma infantile. Terza prova per Saverio Costanzo, che dopo i sorprendenti Private e In memoria di me, sconvolge il suo percorso di riflessioni originali adattando l'esile romanzo di Paolo Giordano, a cui regala tuttavia vita e spessore buttandolo all'aria, trovando forti invenzioni estetiche e mescolando l'horror col noir. In concorso è pure la vicenda della famiglia 'Mai' di Marco Bellocchio, frutto di un lavoro collettivo condotto a Bobbio insieme agli studenti di sei edizioni del laboratorio di formazione Fare Cinema. Sorelle Mai è la cronaca familiare di e su Bellocchio e il proseguimento di Sorelle, medio metraggio realizzato quattro anni prima. Interpolando le immagini digitali con la pellicola in bianco e nero del suo debutto, Bellocchio torna ad abitare la casa dei Pugni in tasca affollandola di parenti, amici, comparse e attori. Lasciando emergere il motivo più ricorrente della sua filmografia (l'insostenibile pesantezza della famiglia), l'autore piacentino riflette sul passaggio delle generazioni e sui confini che separano il cinema dalla vita vera. Altro concorrente blasonato con l'Oscar è In un mondo migliore di Susanne Bier, anche lei concentrata sulla famiglia e su una genitorialità sospesa tra due mondi mai così diversi eppure simili nel praticare l'idiozia e la prepotenza. Lato solare della danesità, dileggiata dall'incorreggibile von Trier che non ci risparmia e non si risparmia mai, la Bier realizza una storia intima che si rivolge allo stesso tempo e in modo deciso verso il mondo, con una prospettiva di universale umanità. Premiata soprattutto dal pubblico è la commedia di Luca Miniero, remake capovolto (dal Nord al Sud) del campione d'incassi francese Giù al nord ed esempio di una tendenza agli adattamenti nazionali di format cinematografici. Al di là degli esiti artistici, Benvenuti al Sud impone una riflessione che ne spieghi i risultati al botteghino. Risultati che trovano ragione nei suoi personaggi, in grado di mettere in crisi gli stereotipi che incarnano e di muovere la scena comica italiana inchiodata da troppo tempo ai cliché dei cinepanettoni. Rincresce non trovare in competizione e 'in luogo di' la satira impietosa del mondo del cinema e della televisione di Boris – Il film, capace di fare tesoro della commedia all'italiana e di irridere la produzione di televisione e cinema scadente ma di successo. Più appropriatamente il concorso presenta il bel film di Claudio Cupellini, passato quasi inosservato all'ultimo Festival di Roma e secondo lungometraggio del regista su un soggetto di Filippo Gravino. Prodotto di genere, Una vita tranquilla frequenta i codici del noir guardando all'attualità e ai fatti di cronaca. Interpretata dall'inflazionato Toni Servillo, la storia nera di Cupellini raggiunge temperature emotive inedite per il cinema italiano, accompagnate da una ricercatezza visiva che convince a sostenerlo e promuoverlo senza indugio. 'Piazzato' arriva da Cannes Il ragazzo con la bicicletta dei Dardenne, romanzo di formazione di un 'ragazzo selvaggio' che fa il diavolo a quattro e sceglie per sé la migliore delle madri, imparando ad arginare il dolore in sella alla sua bicicletta. I Dardenne rinnovano il loro interesse per l'infanzia incompresa e ritrovano in una promenade la cinetica e un personaggio che avanza negli spazi attraversati e nel proprio destino. Di bambini si (pre)occupa anche il Vento di primavera di Rose Bosch ambientato nel quartiere parigino di Montmartre occupato dai nazisti. Grande successo in Francia, il dramma degli ebrei di Montmartre deportati nell'estate del 1942, riflette sulla necessità della memoria e ancora di più sul senso da dare a questa memoria, perché non diventi un simulacro politico-istituzionale. Al cinema 'civile' della Bosch segue in cartellone a Gorizia quello intimamente politico di Mike Leigh (Another Year), che mette in scena e attorno alla solida coppia formata dai coniugi Gerri e Tom, le solitudini e le nevrosi di figli, amici, sorelle, fratelli. Vero come la vita e ostinato come il ripetersi del quotidiano, il cinema del regista britannico osserva e indaga incessantemente gli uomini e le donne dei sobborghi londinesi, i perdenti e i trasparenti, gli eroi di una vita che va spinta sempre un giorno in là. Sul palcoscenico si apre invece L'illusionista di Sylvain Chomet, unico film animato in competizione. Tratto da una sceneggiatura originale di Jacques Tati, disegnato e omaggiato nei tratti di Mr. Hulot, L'illusionista ritrova il piacere del disegno nell'epoca tangibile del 3D. Stretto in un tweed dipinto ad acquerello siamo certi che l'illusionista Tatischeff troverà nelle sale di Gorizia soddisfazione alla sua bellezza e un pubblico sensibile che saprà apprezzarne l'arte gentile, i vecchi trucchi e le magnifiche illusioni. Chiude il concorso il Papa destabilizzato e destabilizzante di Nanni Moretti, che sopraffatto dalla responsabilità del ruolo assegnatogli fugge lasciando un vuoto di senso che fa il paio col Corpo Celeste di Alice Rohrwacher, riconosciuto e gratificato pochi giorni fa col Premio Opera Prima "Sergio Amidei". In tempi di beatificazioni pop, Habemus Papam e Corpo Celeste incidono sull'immaginario e diventano preziose (e necessarie) anomalie di un cinema altrimenti connivente col potere, lontano sempre troppo lontano dalla realtà.

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