Questo è uno di quei film che, quando scorrono i titoli di coda, ti fanno pensare.
Ti fanno pensare: «Uhm».
Eppure è ben confezionato, Scorsese conosce il suo mestiere, la sceneggiatura tiene il ritmo e i tempi, insomma, tutte le componenti sono al loro posto. Tutto, tranne forse la fotografia. Molte delle inquadrature hanno un che di antiestetico , di lievemente sbilanciato, non saprei dire se volutamente.
Il film e inutilmente troppo lungo. Di una buona mezz’ora almeno. I primi 20, 30 minuti sono introduttivi. Dopo parte la fiesta, e per un’ora buona è droga, sesso, ed eccessi assortiti. La seconda metà è dedicata al film vero e proprio, dove le cose si fanno interessanti ma, ed ecco dove casca l’asino, dove la prospettiva è sempre la stessa. Non si riesce a capire se Scorsese si è dimenticato o ha voluto mantenere sempre la stessa angolazione di ripresa. Più che il racconto della storia di Jordan Belfort, quel che c’è e che c’è solamente Jordan Belfort. E dopo tre ore di film viene naturale chiedersi cos’ha di straordinario questa storia, chiedersi perché doveva essere raccontata, dato che decine di popstar in quegli anni (e nei precedenti) ne hanno avuto una simile.
La parte tecnica di questo lavoro è neutra. Niente è al di sotto né al di sopra ad una certa qualità. Tutto è ben fatto, ma non punta da nessuna parte. Spinge e spinge e spinge sugli eccessi, quasi a giustificare la mancanza di lezioni morali. Dopo quaranta minuti di scene pruriginose pensi di aver capito il messaggio e ti chiedi se il film avanzerà mai di qualche passo in qualche direzione. C’è qualche caduta di stile qua e là, come ad esempio l’espediente francamente bruttino delle voci fuori campo nella gag «ci sta provando» con zia Emma. E poi, dopo la disgraziata scena del «non me ne vado», finalmente si arriva al finale.
Uhm.
Farete indigestione di DiCaprio, spero vi piaccia. Jonah Hill è giustamente candidato all’Oscar per il suo scoppiettante Donnie Azoff. Matthew McConaughey entra in camera, ci resta per soli 5 minuti ma bastano per incantarci. Incantevole anche la bella Margot Robbie, che interpreta la seconda moglie di Belfort, e per lo spazio che le è concesso fa un buon lavoro di recitazione. Il resto è DiCaprio, DiCaprio, DiCaprio. Il quale ci da sì prova di essere un grande attore (personalmente mai dubitato, e del tutto convinto dopo The Aviator), e forse meriterebbe anche l’Oscar, se non fosse che il suo Jordan Belfort assomigli un po’ troppo a Leonardo DiCaprio. Pare che l’attore abbia passato 100 ore insieme a Belfort. Ebbene? Possibile che questi non avesse un tic, un modo di fare, anche solo un dettaglio che l’attore avrebbe potuto utilizzare per rendere caratteristico il personaggio?
Ma insomma, chi era Jordan Belfort? Non vi sara dato modo di capirlo. A parte la sola, vera scena drammatica del film, quella dove la moglie gli chiede il divorzio (no, la scena del naufragio è una gag), il personaggio vi resterà anonimo. Il Belfort dell’ultima scena sarà esattamente come quello della prima, non lo amerete di più, non lo odierete di più. Non capirete se si è pentito, cosa ha provato, se oggi è un uomo fiero, oppure umile. Non capirete niente di tutto questo, perché l’angolazione di Scorsese non ve lo farà vedere.
Sicuramente un film godibile, di grande intrattenimento, ma dove l’occhio di Scorsese ha guardato più al botteghino che alla cinepresa.
[+] lascia un commento a lupo67 »
[ - ] lascia un commento a lupo67 »
|