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La divina cometa, un mosaico di parole che attinge ai grandi del teatro, della letteratura e della filosofia

Quasi vent'anni anni dopo Quijote, Mimmo Paladino, profeta della Transavanguardia, torna nelle sale l'11 maggio con il suo stile unico, remoto, arcaico ed estremamente contemporaneo. E con un cast ricchissimo di grandi nomi, del cinema e non solo.
di Giovanni Bogani

mercoledì 10 maggio 2023 - Focus

Il cinema può essere tante cose. Un thriller dai ritmi convulsi, una intensa storia d’amore, una commedia con guizzi di genio e dialoghi fulminanti. Ma può anche essere una sacra rappresentazione, una riflessione sull’arte e sulla vita, un mosaico di parole strappate ai grandi della letteratura, del teatro e della filosofia. Come La divina cometa, che già nel titolo fonde suggestioni diverse, Dante e la Natività. 

A mettere insieme il puzzle è Mimmo Paladino, profeta della Transavanguardia, il movimento artistico che si impose all’attenzione dagli anni ’80 del Novecento. Una forma di arte che scompone, rimescola e ricompone la tradizione artistica, che guarda al passato per costruire il futuro: che mette insieme “pezzi” differenti, arte classica e invenzioni futuribili, costruendo un’esperienza inedita, per certi versi sorprendente. Sorprendente lo è, un po’, anche questo film, il suo secondo. Dopo che, nel 2006, aveva esordito con Quijote, con Lucio Dalla e Peppe Servillo protagonisti, presentato alla Mostra del cinema di Venezia 2006. 

Sono passati più di quindici anni da quel film, che fu distribuito con ritardo nelle sale, solo nel 2012, sei anni dopo la presentazione a Venezia. Dopo un altro salto di anni, ecco che nell’ottobre scorso passa nel cielo di Roma La divina cometa, presentato alla Festa del cinema nella sezione Freestyle, la più libera, la più aperta al rapporto con le altre arti. Non abbiamo dovuto aspettare sei anni, stavolta: il film esce nelle sale grazie a Officine UBU di Franco Zuliani. Ecco dunque, di nuovo, Paladino con il suo cinema-saggio, con il suo stile unico, remoto, arcaico ed estremamente contemporaneo

Per La divina cometa, Paladino chiama di nuovo l’amico Peppe Servillo, e con lui una schiera di attori e di “guest star” prestate da altre arti: così troviamo Toni Servillo, Sergio Rubini, Alessandro Haber, ma anche Francesco De Gregori, Nino d’Angelo o lo sceneggiatore e regista Giovanni Veronesi, che dà vita a un Pontormo furente e scapigliato, interpretato con rabbiosa convinzione, mentre parla male di Bronzino.


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In foto una scena del film La divina cometa di Mimmo Paladino. 
© foto di Pasquale Palmieri

Ma che cosa vediamo, in definitiva, sullo schermo? Una sorta di sacra rappresentazione, un’esposizione di figure e di temi. Un mondo desolato: Sud d’Italia fuori dal tempo, calcinato di sole, un deserto western, o meglio southern. Stazioni desolate in mezzo al nulla, campagne riarse, strade disabitate. E dentro, gli attori, pedine di un cinema brechtiano. Dove ciascuno declama un suo pensiero rubato a un filosofo, a un poeta, a un drammaturgo – senza interagire davvero con gli altri personaggi. Sullo sfondo, musiche sublimi: da Brian Eno ad Arvo Pärt, da Philip Glass alle “Variazioni Goldberg” suonate da Glenn Gould. Ma anche canzoni del nostro passato, come “Ma l’amore no” di Giovanni D’Anzi e Michele Galdieri, che ci riporta al cinema italiano degli anni ’40: la cantava Alida Valli

La "trama" potrebbe ricordare persino Bergman: quando mostra – in film come Il settimo sigillo o Il volto – il vagabondaggio delle sue compagnie di attori, che sono anche un po’ mendicanti, un po’ disperati. Qui ci sono un attore e una famiglia di senzatetto: la famiglia vaga alla ricerca di una casa che le è stata promessa. Ma è una casa evanescente, le porte si aprono su frangenti diversi del passato. In questo viaggio, figure della Commedia di Dante si mescolano a quelle del presepe, ma anche ad echi del teatro di Eduardo, “Natale in casa Cupiello” e “Napoli milionaria”. Appaiono il conte Ugolino, Giordano Bruno, e Pitagora che discetta sul senso dei numeri. I Re magi – dei re da cinema pasoliniano, perduti in una desolazione ancestrale – sono De Gregori, Alessandro Haber e Nino D’Angelo

Alla fine, come potremmo raccontare La divina cometa a chi non lo ha ancora visto? Come un presepe. Ogni figurina sta, racconta la sua storia, offre la sua opinione sul mondo. E alla fine, è proprio della vita e della morte che si sta parlando. Del senso della vita, del suo mistero, della minuscola, miracolosa presenza degli oggetti, degli animali e delle persone. “Io aspetto il treno delle cinque, che arriva sempre alle cinque e dieci”, dice il capostazione interpretato da Sergio Rubini – un’allusione al suo film più importante da regista, La stazione, e anche al lavoro di suo padre, capostazione di provincia – “e faccio una scommessa con me stesso: se il treno arriva in ritardo, ho vinto io, e mi premio con un caffè. Se arriva in orario, ho perso. E mi faccio un caffè”.

È tutto uguale, nel mistero della vita. Vincere o perdere, scoprire o non scoprire il suo mistero, in fondo sono la stessa cosa. Il film di Paladino non ci dà certezze, nonostante attinga alle parole dei più grandi scrittori, drammaturghi, filosofi, matematici. Non ne sappiamo più di prima, non ne sapremo mai di più. Siamo infilati nella vita, come pedine di un presepe sbilenco e bellissimo.  


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