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La scelta di Anne, un atto di coraggio femminile e rivoluzionario. Anche, e soprattutto, nel 2021

Nel meccanismo oliato da secoli della negazione della possibilità di scelta, la figura di Anne raffigura il vizio di forma, l’inceppamento del meccanismo, l’anomalia, la diserzione. E noi, attraverso le accurate scelte di regia di Audrey Diwan, possiamo vedere il suo mondo esattamente come lo vede lei. Leone d’Oro a Venezia e ora al cinema.
di Pedro Armocida

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sabato 6 novembre 2021 - Focus

Chissà se è davvero e solo un film su una ragazza che vuole abortire nella Francia del 1963 dove, come d’altro canto in Italia quando nello stesso anno le donne vengono ammesse nella magistratura, questa pratica non era contemplata legalmente. Certamente di questo parla La scelta di Anne - L’événement tratto dal romanzo "L’evento" di Annie Ernaux edito da noi da L’orma. Ma il film, opera seconda di Audrey Diwan, premiata con il Leone d’Oro alla 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dopo che al Festival di Cannes la Palma d’Oro era andata a un’altra storia di gravidanza, Titane di Julia Ducournau, non documenta questo evento da un punto di vista sociale o, diciamo così, politico. La parola aborto non viene mai pronunciata, non ci sono i soliti cartelli finali a giustificare il perché del racconto, oggi, di una storia di quasi 60 anni fa oppure per informare su quando l’interruzione di gravidanza è stata legalizzata in Francia, non c’è una contrapposizione ideologica della protagonista di fronte alla società che non prevede il diritto delle donne di scegliere. 

Ecco la chiave, la scelta, su cui il titolo italiano giustamente si sofferma. Anne sceglie di non voler proseguire la gravidanza in quel momento della sua vita. 23 anni, studia lettere, ha un rapporto occasionale con un ragazzo che ovviamente non si prenderà alcuna responsabilità, rimane incinta. E fa una scelta. Un giorno sì, lo vorrà un figlio. Sicuramente. Ma ora no, non lo potrà amare, dice, vuole continuare a studiare. Una donna che vuole disporre di sé, del suo corpo, del suo tempo, della sua libertà, insomma della sua vita.

La regista ci racconta tutto questo non usando mai toni militanti o apodittici, un po’ come il recente Mai raramente a volte sempre di Eliza Hittman, ma ricorrendo solo e soltanto alla messa in scena con le scelte di regia indirizzate a mostrarci il mondo di Anne attraverso il suo punto di vista. La macchina da presa, spesso in spalla, alla sua altezza, la segue da dietro con un’insistenza programmatica che ricorda Il figlio di Saul di László Nemes, di conseguenza viene annullato il gioco del campo/controcampo mentre la musica, utilizzata con giusta parsimonia, dà al sonoro forza e espressività. Certo poi tutto il film viene affidato al corpo e all’interpretazione di Anamaria Vartolomei che effettivamente se ne fa carico riuscendo a mostrare la forza e la determinatezza di una donna che persegue il suo obiettivo in maniera ostinata almeno quanto quella a lei contraria. 

Nel meccanismo oliato da secoli della negazione della possibilità di scelta, la figura di Anne raffigura il vizio di forma, l’inceppamento del meccanismo, l’anomalia, la diserzione. Non si vergogna mai Anne di quello che che sceglie di fare, il suo è uno sguardo fiero e sicuro anche se, ovviamente, e non certo perché è una donna, rimane ferita da comportamenti e parole che trovano paradossalmente nella parte femminile il grado zero della compassione.

Anche su questo aspetto il film ha molto da dire. «Sono la vergine più informata del pianeta» proclama ironica una sua amica dell’università che, poco prima, allo specchio con un reggiseno stretto, per comprimere e esaltare maggiormente le forme, da una spilla da balia (gli oggetti puntuti metallici saranno poi i protagonisti del film), aveva confessato ad Anne: «Se fossi uomo mi farei». Quando poi però una agisce, dal verbo latino ‘agere’ che curiosamente sentiamo declinare ripetutamente dalle tre amiche, e magari rimane incinta, allora «sono affari tuoi che non ci riguardano». 

Il film si sofferma molto su questa freddezza, tra gli amici, tra i medici, che Anne trova ogni qual volta fa capire di volere interrompere la gravidanza. Nel frattempo il tempo passa, e i cartelli con i numeri delle settimane trascorse mettono in allarme lo spettatore che avverte il contrasto tra la diversa esperienza e disponibilità del tempo di Anne e delle le sue coetanee. Piano piano il feto inizia a essere vissuto da Anne sempre più come un corpo estraneo. Un vero e proprio alien che lei fa di tutto per sopprimere, espellere, letteralmente e sonoramente, tanto che la regista non nasconde gli arnesi adatti alla bisogna trasformando il film in una sorta di body horror con il feto che resiste, lotta naturalmente per vivere. Ma neanche questo porta un benché minimo dilemma morale alla protagonista con il suo individualismo lucido, profondamente serio, definitivo. Femminile e rivoluzionario. Anche, e soprattutto, nel 2021.


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