Un documentario che non assume mai i toni della protesta ma si pone l'obiettivo di far conoscere le conseguenze delle discriminazioni in Israele. Documentario, Francia, Israele2021. Durata 93 Minuti.
I concetti di esilio ed eredità storica vengono affrontati in questo road movie. Espandi ▽
Con il vocabolo “mizrahim” in Israele si identificano gli ebrei che, a partire dagli anni '60, sono giunti sul territorio provenendo dal Marocco, dall'Algeria, dall'Iraq e dallo Yemen. Il secondo vocabolo con cui si è poi preso a definirli è “arsim” che significa la feccia. È di loro, a partire da suo padre, che la regista tratta in questo documentario in forma di narrazione alla propria figlia. Il documentario di Michale Boganim nasce e si sviluppa totalmente all'interno della cultura ebraica ma non per questo si astiene dal criticarne le pratiche discriminatorie nei confronti di coloro che speravano di giungere nella terra promessa e vedevano spegnersi in breve tempo il sogno che li aveva spinti a lasciare i Paesi in cui vivevano.
La regista ci conduce di città in città per mostrare come, anche a differenti latitudini del Paese, la discriminazione non abbia mancato di lasciare segni nella vita delle persone. Un documentario che non assume mai i toni della protesta fine a se stessa ma si pone l'obiettivo di far conoscere delle condizioni di vita che ancora oggi, seppure in modo meno evidente ma non per questo meno oltraggioso, sussistono. Recensione ❯
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Una donna in pensione decide di raggiungere il Giappone, dove ha vissuto il figlio per lungo tempo. Espandi ▽
Dopo essere andata in pensione, una donna che vive nella Germania rurale, decide di partire per raggiungere Hong Kong, la città che ha tenuto suo figlio lontano da lei. Recensione ❯
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Edna è una donna che ha deciso di restare a vivere nell'Amazzonia brasiliana, vicino all'autostrada Transbrasiliana. Espandi ▽
Edna Rodrigues Souza è una donna anziana che vive nel cuore dell’Amazzonia e che, nel corso dei decenni, ha condotto in varie forme (subendone le pesanti conseguenze) la lotta contro la deforestazione. Eryk Rocha (figlio di Glauber) ne racconta il presente che non dimentica il passato. Recensione ❯
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Un film che segue la vita e il percorso artistico di Gritt. Espandi ▽
Gritt è un'attrice e aspirante autrice norvegese che da anni cerca di convogliare nel teatro il desiderio di impegno sociale ed espressione artistica. Dopo un viaggio a New York in compagnia dell'amica Marte, anch'essa attrice, Gritt sviluppa l'idea di uno spettacolo chiamato "L'infiammazione bianca" che possa svegliare le coscienze della società norvegese. La precarietà economica la costringe a vivere dalla zia mentre questa è in viaggio, dato che le richieste di sussidio statale non vanno a buon fine. Saranno una serie di disavventure nel teatro sperimentale a rendere ancora più radicale la sua visione dell'ambiente. Recensione ❯
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Con la sua macchina fotografica, Abdallah Al-Khatib racconta le atrocità della guerra. Espandi ▽
In seguito alla rivoluzione siriana, alla periferia di Damasco, il distretto di Yarmouk viene trasformato dal 2013 al 2015 dal regime di Assad in un campo per i rifugiati palestinesi, il più consistente al mondo. Ridotti in uno stato di cattività, privati dei diritti basilari, gli assediati possono solo resistere, chiedere la fine del blocco e sperare nel cibo e nei beni di prima necessità che le Nazioni Unite si sforzano di fornire loro. Umm Mahmoud, madre del regista, presta assistenza medica agli anziani e si lascia filmare dal figlio Abdallah, alle prese con il suo film d’esordio. Un’opera povera di mezzi e ricca di energie, che cerca insieme di non far dimenticare un clamoroso sopruso e reagire con tutta la positività residua alla protervia dell’assedio.
Una disumanità reale, quasi tangibile, che non lascia spazio ad alcuna ellissi o allusione: l’immagine della fame nei volti scavati, l’assistenza sanitaria negata che riverbera nelle braccia livide di una donna anziana, il lutto di chi piange le vittime. Con dignità e amara evidenza, il film denuncia l’ipocrisia e l’inerzia degli Stati nella risoluzione della crisi. Recensione ❯
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Un film ipnotico e profondamente attraente che si inserisce perfettamente nella ricca tradizione thailandese. Drammatico, Australia, Tailandia2021. Durata 114 Minuti.
Ploy rivive i traumi della sua giovinezza alla vigilia del colpo di stato che nel 2006 colpì la Thailandia. Espandi ▽
Ploy, una donna thailandese, viene portata al cospetto del marito per dirgli addio. L’uomo, un politico, sta per lasciare il paese e sfuggire a quello che sarebbe stato il colpo di stato militare del 2006. È un evento che la riporta a trent’anni prima, quando la stessa famiglia deve affrontare un’altra assenza maschile, con il padre latitante in seguito alle proteste studentesche che rovesciarono la dittatura, e un’incidente in cui la giovane ragazza rischia di annegare. Due donne, due snodi critici per il paese, e un circolo vizioso di dolore familiare. Griffato da sfumature quasi gotiche, il film ha uno sguardo tutto al femminile su figlie che diventano donne che diventano madri. Figure disperate che devono fare i conti con il trauma di uomini resi invisibili dalla storia thailandese, piena di rovesciamenti e tragedie. Come d’abitudine per una cinematografia che vive un’epoca di splendore, la trama è deliberatamente offuscata e il ritmo glaciale, impercettibile come lo spostarsi delle ombre. L’effetto è ostico ma ipnotico e profondamente attraente, perché ognuno dei simboli su cui il regista si sofferma sembra celare storie e significati unici. Recensione ❯
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Il regista affida all'innocenza di un bambino la lettura della Divina Commedia. Espandi ▽
Massimiliano Finazzer Flory ha sempre trattato personaggi della cultura mondiale mettendo in scena i loro pensieri, le azioni, le creazioni e le estetiche diverse per ogni epoca storica a cui appartenevano. Finazzer ha raccontato Leonardo da Vinci vestendone i panni e proiettandolo verso il nostro contemporaneo; ha recitato e letto Borges - Lo specchio di Borges - accompagnato dalle musiche di Astor Piazzolla; ha letto e recitato "I Promessi sposi" di Alessandro Manzoni viaggiando letteralmente per tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Cina, accompagnato dalla ballerina Gilda Gelati, étoile della Scala di Milano, con le musiche dal vivo di alcuni componenti dell'Orchestra Verdi.
E ancora, andando a ritroso nel tempo, ha interpretato Mozart nel 2011. La sua forza è la commistione di più arti in dialogo e in movimento tra loro: letteratura, filologia, musica, danza, performance. Queste opere teatrali o cinematografiche venivano ideate sempre ponendosi in discussione, mediando tra la fruizione del colto intellettuale, stemperata con quella del pubblico più generico, che deve capire, imparare.
Dante, per nostra fortuna è un insieme di queste tematiche e azioni articolato e sintetizzato in un cortometraggio d'autore. O meglio, un corto d'artista. Recensione ❯
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Chiamata in una scuola di Zagabria per stendere il suo rapporto annuale, la consulente pedagogica Anamarija si ritrova a sua insaputa in un luogo attraversato da conflitti e diviso in piccoli gruppi rivali. Espandi ▽
Annamarjia arriva in una scuola media come pedagogista con la funzione di interazione tra docenti e allievi nonché con le famiglie. Oltre alla presenza di un alunno problematico si trova a dover gestire la situazione psicologica di un docente anziano il quale è convinto di essere oggetto di persecuzione e ne parla a lezione con gli allievi trascurando il programma. In queste difficili interazioni Annamarjia non ha il supporto della preside che è portata ad occultare i problemi convinta con questo di saper dirigere al meglio l'istituto.
Sonja Tarokic realizza un film in cui si fondono alla perfezione il linguaggio cinematografico e la conoscenza approfondita delle dinamiche che intercorrono tra docenti, allievi e famiglie non solo in una scuola croata ma in tutto il mondo.
Si potrebbe scomodare il modo di fare cinema di Robert Altman per questo microcosmo fitto di persone spesso presenti e in più occasioni parlanti in sovrapposizione sonora ma sarebbe una citazione al contempo fuorviante e riduttiva. Recensione ❯
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Il regista riflette sulle strategie militari necessarie all'occupazione di un territorio straniero. Espandi ▽
Cinquantaquattro anni. Tanti sono quelli trascorsi da quando l’esercito israeliano ha occupato i territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Sono “i primi”, perché dal 1967, e ancora oggi, è estremamente difficile leggere il contesto e capire se la presa, reale e psicologica, si allenterà o meno. In una trattazione articolata, punteggiata dalle testimonianze dei protagonisti dell’occupazione, l’ultimo documentario di Avi Mograbi individua tre fasi storiche distinte e si presenta immediatamente come ricapitolazione di un conflitto tra i più complessi. Avi Mograbi, filmmaker selezionato dai principali festival internazionali, da oltre due decenni riflette con taglio peculiare e forte partecipazione personale sulle contraddizioni laceranti della questione israelo-palestinese. Con quest’opera cerca di dare un ordine logico razionale, in forma di manuale tecnico-strategico, a un contesto specifico, ma che potrebbe anche estendersi ad altri. Creazione concettuale e indagine storica imponente, che richiede un livello di attenzione e interesse pari alle sue ambizioni. Recensione ❯
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Le mille vite dell'artista Takeshi Kitano in un mosaico dal montaggio invisibile e dal taglio anti didattico. Documentario, Francia2021. Durata 72 Minuti.
Chi è Takeshi Kitano? L'icona del nuovo cinema giapponese? Un anarchico comico televisivo? Il cantore di profondi silenzi? Un artista dai molteplici talenti? Espandi ▽
Approfittando della personale di Kitano pittore tenutasi alla Fondation Cartier di Parigi (2010) e tenendo come traccia l’attaccamento dell’artista alla spontaneità della propria dimensione infantile, Yves Montmayeur confeziona una descrizione ricca e documentata di una personalità creativa multipla e iperattiva, fornendo molte informazioni basilari sulla sua infanzia e formazione professionale, a volte integrate da eleganti disegni, lì dove l’apparato iconografico manca. A tenere i fili rossi del profilo è Michel Temman, giornalista francese (autore della monografia “Kitano par Kitano”, Grasset), insieme a pochi, selezionati collaboratori e colleghi di Beat Takeshi. Il taglio è anti didattico, il montaggio invisibile, le scene estratte dai film (da Sonatine a Outrage) pertinenti alla costruzione di un complesso profilo psicologico.
Il film tiene insieme l’uomo dalle mille vite, l’autodidatta iconoclasta ma anche il vero samurai, il buffone antisistema che si prende in giro e il professionista che fa le cose sul serio. Il fool shakespeariano e il vendicatore degli emarginati. Un bambino del 1947 che irride l’autorità ma sa far trasparire la felicità pudica dell’essere apprezzato per la sua sintesi grafica che è l’essenza della tradizione giapponese. Accade quando parla una leggenda come Akira Kurosawa: “Mi sono piaciuti tutti i tuoi film, Beat. E sai perché? Perché non danno spiegazioni superflue”. Recensione ❯
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Quando nella comunità in cui vive Nikolai arriva Camille, ragazzina ribelle di quindici anni, lui la convince a scappare per andare a vivere insieme nella foresta. Espandi ▽
Nikolaï, che è stato abbandonato nella foresta e vive in un foyer per i giovani senza famiglia ha 16 anni ma sembra più maturo della sua età. Non lega con i compagni ma viene attratto dalla nuova arrivata Camille che è stata abbandonata alla nascita dalla madre e ha un padre che si è fatto una nuova famiglia. Lei ha abortito di recente ma avrebbe voluto tenere il bambino e Nikolaï comprende che ora con lei potrebbe avere il figlio che entrambi desiderano. Serge Mirzabekantz al suo primo lungometraggio mostra una sensibilità non comune sia nei confronti della materia trattata che dei suoi attori. Sono loro, insieme all’ambiente naturale, a riempire produttivamente le inquadrature di un film che, a parte un colpo di scena non poi così necessario nel sottofinale, riflette sulla genitorialità non lasciandosi però mai prevaricare dal contenuto. Il buio che talvolta invade lo schermo è sempre in attesa di una seppur tenue luce che ne attenui il rigore favorendo il percorso di due adolescenti che, seppur incoscientemente come direbbero gli adulti, sentono dentro di sé il bisogno di realizzare una genitorialità di cui loro non hanno potuto godere gli effetti come figli. Recensione ❯
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Una mini docu-serie sul ritorno degli atleti allo sport dopo la quarantena causata dal Covid-19. Espandi ▽
I mesi del lockdown dalla prospettiva di tre atleti, ricostruendo i momenti salienti della quarantena per arrivare, con ciascuno di loro, al primo giorno di ritorno al proprio elemento naturale, dove il corpo scopre nuovamente il suo equilibrio e quando la frequenza cardiaca da 58bpm risale vertiginosamente e infine ritrova il suo ritmo. Recensione ❯
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Un documentario che si interroga sulla situazione alimentare della Repubblica Democratica del Congo, chiedendosi quando il Paese sarà in grado di raggiungere la sovranità alimentare. Espandi ▽
Amuka è la storia di un risveglio, quello della popolazione congolese, o meglio ancora il risveglio dei suoi contadini (che compongono circa il 70% della popolazione). Attraverso una narrazione carica di speranza che guarda verso il futuro il documentario narra le tragiche esperienze di semplici lavoratori che affrontano un sistema debole e inefficiente che crea precarietà dilagante. La repubblica democratica del Congo (RDC) potrebbe nutrire 3 miliardi di persone ogni anno eppure 13 milioni congolesi soffrono la fame. Il paese è pieno di risorse naturali e materie prime che però non vengono correttamente valorizzate e gestite. Antonio Spanò attraverso interviste in lungo e largo per la RDC traccia un disegno generale della situazione nel paese. Ciò che in definitiva rimane impresso del film è la tenacia delle donne e uomini, che attraverso infinite trattative, appoggiandosi sul reciproco aiuto e la solidarietà continuano a sopravvivere nonostante le avversità. Recensione ❯
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Mark Cousins si interroga sull'atto della visione mentre la pandemia di Covid costringe a una nuova riflessione. Espandi ▽
Essere tremendamente personali, completamente intimi, disarmati. E allo stesso tempo, raccontare qualcosa che riguarda tutti. È quello che fa Mark Cousins in The Story of Looking. No, non è un film enciclopedico, immenso come The Story of Film. Vi somiglia, per certi aspetti, ma è immensamente più intimo. È, se vogliamo, un diario visivo, la storia di una lunga notte: quella che, per Mark Cousins, precede un intervento agli occhi. Ed è la storia dei suoi pensieri, delle sue riflessioni sulla visione, su ciò che rappresenta la visione per tutti noi. Su quale sia la sua storia, e quale sia il suo valore. Un tema immenso, sul quale è impossibile dire una parola definitiva. Una storia della visione umana, e del suo contrario: la cecità. Con una testimonianza di Ray Charles, il pianista cieco, inizia il film di Mark Cousins. Che cosa è la visione? Quanto è importante per la nostra vita? E poi ecco le immagini dell’operazione stessa: il nuovo cristallino messo nell’occhio. Vale la pena vedere questo film intimo e insieme enciclopedico? Sì, anche se non riusciremo a risolvere il mistero della visione, del significato e del potere che le immagini hanno avuto nella storia dell’umanità. Un film fatto di domande, più ancora che di risposte. Recensione ❯
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Alla guida di una draisina ferroviaria in un tempo imprecisato una donna dall’atteggiamento deciso raggiunge una giovane che ha in braccio una figlia piccola. La nasconde in un cassone per farle passare un posto di blocco nel quale, corrompendo un soldato, supera il controllo. Dopo poco la donna verrà raggiunta dal marito che la porterà con sé. Inizia così il film di Simon Lavoie, un regista noto per il rigore formale e l’analisi del rapporto tra fede religiosa ed incredulità. La sua è una ricerca dichiarata mirante a filmare ciò che è invisibile, mistico ed indicibile. L’attua in questo caso lavorando sul levare, puntando all’essenzialità di ogni inquadratura a partire dall’alternarsi di due formati, uno panoramico ed uno ristretto. Lavoie interviene in modo quasi geometrico su ogni inquadratura andandone a ricercare l’essenza mentre la sceneggiatura, che lui stesso ha scritto, produce progressivi slittamenti che dovrebbero avvicinare le due donne a causa di quanto loro accade. Recensione ❯
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