Anno | 2021 |
Genere | Documentario |
Produzione | Libano, Francia, Qatar |
Durata | 83 minuti |
Regia di | Abdallah Al-Khatib |
Tag | Da vedere 2021 |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 29 novembre 2021
Con la sua macchina fotografica, Abdallah Al-Khatib racconta le atrocità della guerra.
CONSIGLIATO SÌ
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In seguito alla rivoluzione siriana, alla periferia di Damasco, il distretto di Yarmouk viene trasformato dal 2013 al 2015 dal regime di Assad in un campo per i rifugiati palestinesi, il più consistente al mondo. Ridotti in uno stato di cattività, privati dei diritti basilari, gli assediati possono solo resistere, chiedere la fine del blocco e sperare nel cibo e nei beni di prima necessità che le Nazioni Unite si sforzano di fornire loro. Umm Mahmoud, madre del regista, presta assistenza medica agli anziani e si lascia filmare dal figlio Abdallah, alle prese con il suo film d'esordio, selezionato nel 2021 sia dal festival Visions du Réel che dall'ACID, sezione indipendente del Festival di Cannes. Madre e figlio ora vivono in Germania, dopo che il campo, passato nelle mani dello Stato Islamico nel 2015, è stato successivamente distrutto con conseguente diaspora dei sopravvissuti.
Little Palestine è un'opera povera di mezzi e ricca di energie, che cerca insieme di non far dimenticare un clamoroso sopruso e reagire con tutta la positività residua alla protervia dell'assedio.
Con una macchina digitale essenziale e la convinzione di chi crede nella possibilità di un futuro, quando non nel ritorno alla terra madre, attinge soprattutto alla sopportazione commovente e quasi inconcepibile dei più piccoli (a cui il titolo si riferisce). Sono prevalentemente i loro sorrisi, i loro giochi elementari e desideri a far respirare lo spettatore, a regalargli uno spiraglio di fiducia all'interno di uno scenario di orrore. Una disumanità reale, quasi tangibile, che non lascia spazio ad alcuna ellissi o allusione: l'immagine della fame nei volti scavati, l'assistenza sanitaria negata che riverbera nelle braccia livide di una donna anziana, il lutto di chi piange le vittime delle barrel bombs, i barili bomba sganciati dai mezzi aerei. In direzione opposta, un frammento di poesia scritto su un muro ricorda di non lasciarsi annichilire da un esilio umiliante, un pianoforte suona in mezzo alle macerie, gli sguardi cercano un sorriso o un battito di mani per intonare una preghiera. Il commento in e off del regista, misurato e preciso, esplicita la natura psicologica dell'assedio stesso e alcuni rituali di contrasto alla resa, come il camminare ossessivo in cerca di acqua, semi, di qualsiasi cosa mai prima concepita come commestibile. Con dignità e amara evidenza, denuncia l'ipocrisia e l'inerzia degli Stati nella risoluzione della crisi, quando rileva che buttare bombe o cibo ha un costo identico. Dedicato ai detenuti incarcerati da Assad.