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Paola Randi: «con la fantascienza trovo gli antidoti alle mie paure»

La regista racconta Tito e gli alieni, applaudito al Torino Film Festival, premiato al Bif&st e dal 7 giugno al cinema.
di Raffaella Giancristofaro

Tito e gli alieni

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lunedì 4 giugno 2018 - Incontri

Approdata alla regia da autodidatta, dopo alcuni corti (da Giulietta della spazzatura, 2003, con Valerio Mastandrea), nel 2011 Paola Randi ha scritto e girato il suo primo film di finzione, Into Paradiso: incontro tra comunità napoletana e minoranza srilankese che rovesciava gli stereotipi sull'immigrazione. In Tito e gli alieni - prodotto da Bibi Film e Rai Cinema in collaborazione con TIMVISION - si è spinta in Nevada (ma anche in Almeria, sui set di Sergio Leone, e alla centrale di Montalto di Castro) per una storia che affronta la morte con la chiave del genere fantascientifico.

"Nell'ultimissimo periodo della sua vita mio padre ha iniziato a perdere la memoria. Un giorno l'ho visto guardare a lungo una foto di mia madre per cercare di conservarne il ricordo. Allora mi è apparsa l'immagine di un uomo, nel deserto, su un divano, con un'antenna in mano, che cerca di recuperare la voce di sua moglie nei suoni dello spazio (in Tito e gli alieni è "il Professore", Valerio Mastandrea, ndr). Da lì ho cercato di costruire una storia su una famiglia che viene sconquassata da una serie di perdite e tenta di reinventarsi. La fantascienza permette di esplorare i sogni, le aspirazioni, e di trovare soluzioni e antidoti a ciò che ci fa paura."

Hai lavorato molto sullo spostamento del punto di vista, con la macchina ma anche col formato.
Sì, il film inizia in 16:9 poi passa in 4:3, come se seguissimo "da alieni" la lettera inviata dal fratello del professore. Nella prima parte del film la cosa più importante per me è il rapporto cielo-terra, non quello panoramico.

Chi sono gli alieni?
Siamo tutti alieni per qualcuno, è impossibile non esserlo. Avere uno scambio con l'altro, accoglierlo, è un fondamentale fattore di crescita, nella storia. In particolare in quella del nostro Paese, visto che l'Italia è frutto di invasioni. In un certo senso "extraterrestre" può significare anche tutto ciò che non è presente sulla Terra: che o abbiamo perso o che fisicamente non c'è.

Hai dichiarato che nella tua famiglia siete "tutti emigrati".
Mio padre era di Palermo, mia madre di Venezia, sono andati a Milano a vivere, mia sorella sta a Londra e io a Roma. Into Paradiso è nato anche dal fatto che allora i giornali parlavano di emergenza sicurezza collegandola sempre agli immigrati. Una cosa mi colpì molto: in un Paese che ha ben tre tipi diversi di mafia e condannati e collusi col crimine perfino in parlamento, che il pericolo nazionale fosse dato dai rifugiati a me sembrava una cosa folle. Quindi sono andata a cercare di capire chi fossero queste persone, e a Napoli l'immagine che mi ha aperto la strada è stata quella di piazza Dante, divisa tra gli scugnizzi da una parte che giocavano con una pallina da tennis, e gli srilankesi eleganti, dall'altra, a cricket.


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In foto una scena del film Tito e gli alieni.
In foto una scena del film Tito e gli alieni.
In foto una scena del film Tito e gli alieni.

Anche la famiglia di Tito e gli alieni, in cui il confine tra mondo dei vivi e dei morti è quasi nullo, è napoletana.
Sono legatissima a Napoli, anche perché ha un rapporto speciale, quotidiano, con l'aldilà. A casa mia avevamo ereditato dalla famiglia di mio padre la tradizione per cui il giorno dei morti i defunti portavano dei regali ai bambini, come a Natale. Una specie di antidoto leggero alla perdita.

In comune i due film hanno anche la compresenza di scienza ed emozione.
Mia sorella è una scienziata, e ai tempi di Into Paradiso stava facendo una ricerca su come le cellule comunicano tra di loro. Il comportamento dell'universo è una chiave di lettura eccezionale della nostra realtà di esseri umani. Per Tito (guarda la video recensione) ho fatto ricerca non solo sugli alieni ma sul lutto, la malattia, cose a cui l'uomo cerca da sempre una risposta. Emanuele Severino sostiene che la prima sia stato il mito, poi la filosofia. Io tendo ad avvicinarmi più al mito, mia sorella ha un approccio scientifico; un po' come Tito e Anita, i due fratelli del film. La "fanta-scienza" per definizione unisce un racconto mitologico a elementi scientifici. Ma ho anche un lato molto nerd, da appassionata di scienza. Se si parla di spazio e universo, se si riflette sul fatto che come uomini siamo infinitesimali, allora tutto perde un po' di senso: i confini, per esempio.

Qual è stato il tuo percorso prima di fare cinema?
Sono laureata in legge, perché mio padre, avvocato, ci teneva molto, ma non era il mio campo. A 17 anni ho iniziato a lavorare con mia madre, che era a capo di grandi organizzazioni internazionali che si occupavano di diritti delle donne nell'economia. Sono cresciuta in mezzo a donne di grande caratura, come la fondatrice di una banca di credito per imprenditrici in India, o la garante di prestiti nella Bosnia post bellica. Mia madre credeva nella formazione, soprattutto delle donne, perché lavorano da sempre e nei Paesi in via di sviluppo sono lo zoccolo duro dell'economia. Io da sempre volevo fare l'artista, disegnavo, facevo teatro, musica, scrivevo, e lei era preoccupata per il mio futuro. È morta nel 2000, avevo 30 anni. Per fortuna aveva intuito le mie aspirazioni e mi aveva detto che non sarebbe stato un problema se avessi scelto un'altra strada.

Come donna hai incontrato difficoltà nel cinema?
Certo, una valanga di problematiche... Che non sia women friendly per fortuna è emerso in maniera molto chiara, di recente. Non è solo un problema di molestie sessuali, ma anche di accesso al credito, per mancanza di fiducia. Una regista che vuol farsi finanziare un progetto si trova in una situazione molto simile a chi vuole fare impresa. Molte girano documentari perché così almeno possono gestire piccoli budget. Ma anche quando una donna riesce a farsi finanziare, è difficile che arrivi a uno stesso livello di carriera di un uomo. Per Tito e gli alieni ho avuto la fortuna di incontrare dei produttori di qualità, Angelo e Matilde Barbagallo. Ma per riuscire a cambiare la mentalità c'è bisogno della voce delle donne. Anche per il problema delle paghe, che nonostante i passi avanti rimane un tabù. Ma c'è un bel clima di scambio, nella mia generazione.

Cosa pensi di Dissenso comune, il movimento per la parità promosso da diverse attrici e registe italiane?
È un sintomo importante del desiderio di partecipare al cambiamento. Al di là delle critiche che sono state mosse a com'è scritto il loro manifesto o del fatto che non rappresenta perfettamente quello che penso, l'ho firmato, perché il diritto a esprimersi è uno dei passi fondamentali per avanzare, esistere. Credo anche che dovremmo ringraziare Asia Argento, perché il suo è stato un atto di coraggio e parlare in pubblico è il primo passo.


RECENSIONE

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