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Denis Villeneuve alla prova del thriller

Intervista al regista di Prisoners.
di Gabriele Niola

In foto Denis Villeneuve, regista di Prisoners.
Denis Villeneuve (57 anni) 3 ottobre 1967, Trois-Rivières (Canada) - Bilancia. Regista del film Prisoners.

mercoledì 6 novembre 2013 - Incontri

Denis Villeneuve è (assieme a Xavier Dolan) la novità più esaltante del cinema canadese, o per la precisione franco-canadese, esploso anche da noi con La donna che canta, con con il suo ultimo film, Prisoners, è sbarcato in America.
Il thriller con Jake Gyllenhaal e Hugh Jackman, in uscita nelle nostre sale il 7 Novembre, mette di nuovo in risalto le doti di questo cineasta dimesso e capace di disseminare i suoi racconti di un'incertezza e una sottile inquietudine che in questa storia di bambini perduti, poliziotti afflitti e genitori giustizieri, esplode definitivamente.

Sentito al telefono Villeneuve è stato il primo a confessare la sua inesperienza (sia da autore che da spettatore) con i thriller e quindi la sua volontà di trasformare questo script in qualcosa di più:
"La sceneggiatura mi è arrivata un po' di tempo fa, mi è proprio piovuta in mano e da quel momento ho subito desiderato farne un film. È dark, è americana e parla davvero della nostra società, infatti ho dovuto cambiare pochissimo, solo le parti di dramma per adattarlo al mio stile, mentre quelle di thriller erano perfette. Io poi non sono un gran conoscitore del genere e mi piaceva che fosse solo un modo per poter entrare nel vivo dei conflitti tra persone".

Come mai hai scelto proprio questo film per cominciare a lavorare in America?
Perchè lo screenplay era opzionato dalla Warner e poi perchè i personaggi sono davvero americani, non è un soggetto che puoi ambientare in Canada secondo me, perchè il senso delle istituzioni e le relazioni che hanno i personaggi sono prettamente statunitensi.

Cos'era che ti aveva colpito così tanto?
"La violenza in cui cadono i personaggi di questo dramma familiare, infatti è la parte che non ho toccato. I miei interventi si sono limitati a qualche taglio e un po' di asciugatura, altrimenti conoscendomi l'avrei fatto durare 3 ore e passa".

È la prima volta che non scrivi da te la sceneggiatura però...
Si e meno male. Il problema è che in Canada non ci sono grandi sceneggiatori e quindi sono stato costretto a scrivere tutti i miei film precedenti e per me è davvero un processo lungo e stressante. Quando invece ho letto il manoscritto di Aaron Guzikowski me ne sono innamorato, non avevo mai sognato di fare un thriller ma questo era troppo perfetto.

Ora che hai cominciato a fare film in America come pensi di districarti tra i tuoi desideri e le esigenze di un sistema molto più duro in termini di restrizioni ed esigente in termini di incassi?
Ho molte offerte e sento la responsabilità di non diventare un regista mercenario, voglio definire il mio stile e per fare questo magari dovrò rifiutare delle proposte. Devo per forza fare i film che amo altrimenti non ce la farò. Ho ancora molte idee che voglio realizzare ma non ho avuto il tempo di scrivere nulla.

Anche in questo film dopo La donna che canta, tutta la forte tensione della trama sembra ad un certo punto annegare in un'incredibile disillusione, era quello che ti piaceva della sceneggiatura?
La disillusione viene dal fatto che i personaggi ripetono errori che sono parte del modo in cui si relazionano con il mondo. Sono attratti dal passato e non riescono ad evolversi come personaggi, perchè intrappolati in una spirale che gli impedisce di andare avanti. Credo sia per questo credo che provi una sensazione di disillusione.

Contrariamente al passato stavolta ai lavorato con due volti molto noti che conosciamo bene come Jake Gyllenhaal e Hugh Jackman ma raramente li abbiamo visti fornire un'interpretazione così profonda. Qual è il tuo segreto per tirare fuori il meglio dagli attori?
È l'improvvisazione controllata. Innanzitutto ci vuole uno script molto molto forte e potente, poi nelle scene più importanti io gli permettevo di uscire dal comfort delle battute scritte per improvvisare un po', per portare caos e davanti alla macchina da presa. Ma non li lasciavo mai soli, continuavo a dirigerli anche mentre improvvisavano, in questo modo tutto diventa più eccitante. Non è però qualcosa che si può fare con tutti, c'è qualcosa nella maniera in cui questi due attori riescono a comprendere i loro personaggi e andare a fondo con l'improvvisazione che è fortissima.
È una tecnica che sto sperimentando sempre di più e nel mio prossimo film che ho finito di girare quest'estate [Enemy ndr] con Jake Gyllenhaal abbiamo portato ancora più avanti questo modo di recitare.

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