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Michele Riondino, bello, ironico e bravo

Il giovane talento pugliese interpreta don Franco in Qualche nuvola.
di Giovanni Bogani

In foto l'attore tarantino Michele Riondino.
Michele Riondino (45 anni) 14 marzo 1979, Taranto (Italia) - Pesci. Interpreta Don Franco nel film di Saverio di Biagio Qualche nuvola.

giovedì 8 settembre 2011 - Incontri

È bello, è ironico, è leggero. Ed è, soprattutto, bravo. Michele Riondino si fece conoscere e amare, a Venezia, due anni fa con un piccolo film di intermittenze del cuore, di slittamenti progressivi dell’amore: Dieci inverni di Valerio Mieli, la storia infinita di un quasi amore struggente come mai.
Stavolta, Michele torna alla Mostra con un’altra opera prima: Qualche nuvola di Saverio Di Biagio, presentata nella sezione Controcampo italiano. Michele interpreta don Franco, un prete di periferia, amico d’infanzia del protagonista, arrivato alla vigilia del matrimonio con dubbi tremendi su quel “sì”. “Sono un prete di periferia, amico d’infanzia del protagonista, e devo celebrare il matrimonio di questo ragazzo con la sua fidanzata di lunga data. Ma le nuvole del titolo sono potenti. Nel momento in cui qualcuno decide di compiere un passo importante come quello del matrimonio, forse è anche inevitabile che ci siano grossi momenti di crisi”.

Quali “preti” cinematografici, o reali, avevi in mente nel dare corpo al tuo don Franco?
Non mi sono riferito a nessun modello di prete visto al cinema. E neppure a sacerdoti che avevo conosciuto. Il fatto è che appena metti la tonaca, ti viene da allargare le braccia e assumere un certo tono di voce… Diventi subito un prete! E poi c’è la conoscenza dei preti che abbiamo avuto durante la nostra vita, che compone una serie di modelli.

Qual è, per te, la forza del film?
Non giudicare. Non giudicare i suoi personaggi, che amano e tradiscono, che sono incoerenti ma veri.

Tra poco interpreterai un film di cui si parla molto: Acciaio, che Stefano Mordini dirigerà dal romanzo di Silvia Avallone.
Sarò Alessio, il fratello maggiore della protagonista. Avevo molto amato il romanzo, e conosco molto bene quel mondo: la fabbrica siderurgica. È lo scenario in cui sono cresciuto, anche se in un’altra città: Taranto è dominata dalla Ilva, con i suoi lampi di luce, i fumi, i bagliori, il senso di fatica collettiva. Una fabbrica dà tanto a una città, e toglie anche tantissimo.

Nastro Azzurro propone una campagna per il cinema italiano. Per te che cosa ha di valido il cinema italiano oggi?
Ha le idee. Le idee giuste, e spesso anche innovative. Ci sono gli autori, i registi, gli attori. C’è un grosso serbatoio di attori e registi della mia età, non c’è più un monopolio del vecchio star system. Le opere prime in particolar modo hanno quello spirito molto più spregiudicato che è una grande forza. E spesso i registi delle opere prime hanno la spregiudicatezza necessaria per raccontare la loro storia. Dovrebbero cominciare a rischiare di più anche le grosse case di produzione e di distribuzione.

Spesso un’opera prima rischia di non essere vista.
Il problema è che spesso consideriamo il successo di un film paragonandolo a cifre raggiunte da film che hanno un grande impatto mediatico perché supportate dalla televisione, o da personaggi che hanno già un grosso impatto televisivo. La sfida sarebbe restituire il cinema ai cineasti.

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