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Orgoglio e Pregiudizio, Cesare Petrillo: 'Raccontiamo il passato e il presente del cinema Queer'

Dal 25 marzo al cinema Nuovo Olimpia di Roma un viaggio lungo i percorsi, gli autori e i film che compongono il cinema queer classico e contemporaneo. SCOPRI IL PROGRAMMA COMPLETO
di Luigi Coluccio

lunedì 25 marzo 2024 - Evento

Da lunedì 25 marzo parte la rassegna “Orgoglio e Pregiudizio” al cinema Nuovo Olimpia di Roma, un viaggio lungo i percorsi, gli autori e i film che compongono il cinema queer classico e contemporaneo.

Curata da Cesare Petrillo e Simone Ghidoni, prodotta da Circuito Cinema, con circa quaranta film (di cui venticinque inediti mai visti in Italia) distribuiti su tre mesi di programmazione, “Orgoglio e Pregiudizio” mette in fila nomi come William Wyler e Céline Sciamma, titoli come My Beautiful Laundrette e Tangerine, proponendo anche un focus sul cinema dell’argentino Marco Berger, di cui vengono mostrati tutti gli otto lungometraggi, per uno sguardo diretto, naturale e partecipato sull’universo LGBTQ+.

Della rassegna, e di cosa vuol dire programmare cinema queer, ne abbiamo parlato con Petrillo, storico nome del cinema italiano, co-fondatore di Teodora Film, produttore, curatore e critico cinematografico.

Partiamo da quello che sembra il cuore pulsante di “Orgoglio e pregiudizio”, cioè gli otto film di Marco Berger, che da quanto ho letto hai recuperato l’anno scorso, e l’hai fatto durante la stagione della passione, cioè l’estate...
È successo per caso. L’estate scorsa, nella noia, sono stato spesso su Instagram, Marco Berger ha un suo profilo, mi sono incuriosito e ho iniziato a recuperare delle cose. Il suo primo film che ho visto è stato Hawaii, che ho trovato davvero bello, poi ho comprato i blu-ray e uno dopo l’altro mi sono infiammato. Ed è così che è nato il germe della rassegna, ossia come è possibile che in Italia dei film straordinari non trovino uscita, con una caterva di piccole distribuzioni che seguono una specie di tracciato pedissequo, vai a Cannes, incontri i soliti sales agent più importanti, ti propongono i film e tu li compri sulla fiducia. E la stessa cosa succede con i festival, i selezionatori sono oberati di proposte e spesso indirizzati a scegliere in blocco. Così è nata la curiosità di andare a vedere altro, e mentre su alcuni registi mi sono fermato a uno o due titoli, con Berger ho trovato una continuità narrativa ed espressiva eccellente, e parlando con Circuito Cinema, che mi ha dato fiducia, abbiamo creato la rassegna con questo focus sul cinema del regista argentino.

Tutto attorno ai film di Berger c’è poi un lungo elenco di opere del passato e del presente. Ci puoi fare una panoramica di quanto è differente nei temi, negli ambienti, nelle estetiche – e se lo è – il cinema queer storico da quello contemporaneo?
È cambiato tutto. Tutto questo cinema del passato è sulla condizione omosessuale che inevitabilmente è sinonimo di infelicità e dolore, un modo di raccontare che si trascina per gli anni ’80 e buona parte dei ’90. Oggi il cinema si può permettere di parlare di omosessuali in termini, se vogliamo, ed è il modo in cui lo fa Berger, di commedia rohmeriana, come in Plan B, dove due uomini si innamorano e scoprono una nuova dimensione della sessualità vivendola in maniera felice, cosa impensabile nei decenni precedenti. Per fortuna è tutto cambiato, ma la verità è che la vita è più progredita del cinema, la vita è andata avanti, il cinema meno. Ad esempio, in tutto il cinema italiano la sessualità è quasi inesistente, per non parlare dell’omosessualità. È come se ci fosse una forma di pudore nel raccontare l’altro da loro, un pudore un po’ democristiano. Le piattaforme al contrario ti impongono la diversity, ma è sempre una costrizione, sento una mancanza di vera fluidità.


In foto una scena di Plan B di Marco Berger.

C’è una motivazione molto forte che tu e Simone Ghidoni mettete in calce alla rassegna, e cioè che l’invisibilità di queste opere è data soprattutto dal mercato. In che senso?
Di nuovo, perché viviamo in un mondo che è più realista del re. Ti faccio un esempio. Quando ho comprato a Cannes Lo sconosciuto del lago di Alain Guiraudie, tutti mi hanno detto che il film non l’avrei mai venduto ad una TV, e così è stato. Questa è la censura di mercato, la poca circuitazione di opere del genere. I film vietati ai minori di 18 anni non possono andare in TV, ma anche derubricandoli a VM14 fai un atto di censura. Immagini la Rai che compra Weekend di Andrew Haigh? E anche qui, se il film non è a Cannes o a Venezia è anche difficile che il distributore lo trovi, lo compri. Berger stesso mi ha detto che molti produttori ammirano il suo cinema ma aspettano che faccia un film eterosessuale per produrlo. Mettici poi che molte sale d’essai sono sale parrocchiali e questo tipo di cinema non lo programmano.

Altro spunto di riflessione è che la presenza di film a tematica omosessuale nei festival più importanti sia frutto di una selezione etero, di una sorta di fantasia etero che tende a normalizzare, appiattire, quasi anestetizzare il cinema queer.
Un film come I segreti di Brokeback Mountain, e non ne sto giudicando la natura artistica, è appunto una fantasia eterosessuale. Si vede che il regista è etero, che i due attori sono etero, c’è un tipo di iconografia etero da vendere al grande pubblico. Va bene quando questo succede in film come In & Out di Frank Oz, che è una commedia hollywoodiana di stampo classico, ma nel momento in cui tu vai nel dramma, da Berger a Haigh a Fassbinder, non c’è quell’iper-estetizzazione. In un film di Berger hai di fronte dei personaggi normali, dei ragazzi normali, alcuni bruttini, altri con la pancia, altri ancora con i peli sulla schiena. Questa cosa me l’ha fatta notare Céline Sciamma, che considerava Cannes un festival fortemente maschile, eterosessuale, patriarcale, dove si dava poco spazio alla libertà e alla diversità, ed è abbastanza vero. Tomboy è passato a Berlino, che è una manifestazione molto più aperta, mentre a Cannes va, per fare un nome, Mia Hansen-Løve, che fa dei film bellissimi ma molto eterosessuali e borghesi.

Infine volevo chiederti dell’importanza di rassegne del genere, anche uscendo dall’ambito tematico di “Orgoglio e pregiudizio”, per una città come Roma, che negli ultimi anni grazie ad eventi come il vostro “L’eterna illusione” sempre con Circuito Cinema, o “Magnifiche ossessioni” e “A qualcuno piace classico” al Palazzo delle Esposizioni, sembra aver ritrovato la voglia di scoprire il cinema del passato o comunque poco visto.
Un film con Ginger Rogers o Carole Lombard, quando io ero ragazzo, potevamo vederlo su Rai1 alle 20:30, mentre adesso è tutto cambiato. Oggi puoi andare in rete e cercare un film di Cary Grant, ma non è lo stesso, perché quando c’è qualcuno che te lo offre, propone, consiglia, che sia un festival, una cineteca o altro, c’è qualcuno che a monte ha fatto una scrematura e ti dice che Susanna è un film bellissimo mentre Il visone sulla pelle un po’ meno. Ti ritrovi ad avere un mare magnum di opere ma non sai da dove iniziare. Una volta, per tornare sullo stesso esempio, era la Rai ad avere questa missione, con una grande varietà di offerta che dimostrava un rapporto diretto con il cinema. Con rassegne come “L’eterna illusione”, il pubblico può recuperare decine di film in maniera organica, proposti in ordine cronologico, e trovarsi così di fronte ad una sorte di piccola biblioteca pensata in ogni suo aspetto. E in questo modo gli spettatori sono cresciuti di appuntamento in appuntamento. Il cinema è una cosa che ha sempre funzionato, il punto è farlo vedere, circolare. Quello che stiamo cercando di fare con Circuito Cinema, e spero di continuare a farlo anche in futuro, è una differenziazione dell’offerta proprio perché esiste il cinema di repertorio, inedito, sperimentale. Il cinema è tanto, è vario e ci sono cento anni da esplorare.


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