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Quel magico '53 - La tunica

Prosegue il focus sui titoli che si contesero l'Oscar nel '53. La tunica fu il primo titolo girato in Cinemascope.
di Pino Farinotti

Richard Burton (Richard Walter Jenkins Jr.) 10 novembre 1925, Pontrhydfen (Gran Bretagna) - 5 Agosto 1984, Ginevra (Svizzera). Interpreta Marcellus Gallio nel film di Henry Koster La tunica.
lunedì 13 novembre 2023 - Focus

Prosegue il focus su quel "magico 1953". Un promemoria: "I titoli che si contesero l’Oscar nel 1953: La Tunica, Giulio Cesare, Vacanze romane, Da qui all’eternità, Il cavaliere della valle solitaria. Mi concedo un’affermazione assoluta: non c’era mai stata, e non ci sarebbe mai più stata, una cinquina di quella qualità. Si tratta di film americani." Ho già raccontato “Il cavaliere” e Da qui all’eternità che fu il vincitore assoluto con ben otto Oscar. 

La Tunica (The Robe) assume un significato decisivo nella storia del cinema. Fu il primo titolo girato in Cinemascope. 
L’invenzione la si deve alla… televisione. Il piccolo schermo nacque da noi nel 1954 ma negli Stati Uniti era arrivato molto prima. La Nbc, il primo luglio del 1941 iniziò le prime trasmissioni, seguita poi dai vari canali major. Si trattava all’inizio di news, evasione, interviste, documentari, ma ben presto i canali cominciarono a proporre film. La vendita dei biglietti nelle sale ne risentì pesantemente, per le varie Case si prospettava una crisi. E fu allora che quel genio di Darryl Zanuk, tycoon della Fox, ebbe l’idea di allargare lo schermo. La tunica doveva rappresentare la prima, vera, concreta risposta del cinema a quello che stava diventando lo strapotere della televisione. Così il film venne fotografato in cinemascope e il vecchio schermo quadrato venne praticamente moltiplicato per tre. È stata una delle più importanti invenzioni del cinema, la prima di una serie che arriva ai nostri giorni e che continuerà. Il pubblico riprese a frequentare le sale.

Naturalmente occorreva che tutta la produzione fosse all’altezza di quella rivoluzione. Zanuk affidò la regia a Henry Koster, uno dei molti cineasti di lingua tedesca che emigrarono in California con l’avvento di Hitler. Era titolare di quella cultura europea che trasformò il cinema americano. I protagonisti. Richard Burton, britannico, era un talento giovane, emergente, attore completo, che aveva anche toccato Shakespeare. Jean Simmons era una gemma preziosa della Fox. Laurence Olivier le aveva dato nobiltà artistica attribuendole, diciottenne, il ruolo di Ofelia nell’Amleto. Victor Mature era divo affermato reduce dalla performance di Sansone, di De Mille. Michael Rennie, altro inglese, era una presenza sicura e costante della Fox. Il successo non poteva mancare. E non mancò. 
 


In foto una scena de La tunica di Henry Koster.

Il film. Roma, età di Tiberio imperatore.  Il giovane e nobile Marcello ritrova a un’asta di schiavi la bella Diana, innamorata di lui da quando erano bambini. Marcello acquista lo schiavo Demetrio soffiandolo a Caligola, futuro imperatore. La vendetta non si fa attendere, Marcello è inviato come tribuno in Palestina, cioè nella terra più irrequieta di tutto l’impero. È proprio il momento dei fatti di Pilato e Gesù, che viene condannato a morire sulla croce. L’incarico della crocefissione viene affidato proprio a Marcello che, bagnatosi col sangue del Cristo, non regge al rimorso e quasi impazzisce. Torna a Roma ricevuto da Tiberio, che dopo aver ascoltato il suo racconto lo rimanda sul luogo a cercare la tunica di questo strano predicatore. Intanto Diana è stata promessa a Caligola, ma ama più che mai Marcello. In Palestina il romano ritrova Demetrio che custodiva la tunica.
Marcello si è ormai convertito quando torna a Roma. Nel frattempo Caligola è diventato imperatore e non ha dimenticato. Marcello viene catturato e condannato a morte. Diana sceglie di morire con lui.

La Fox aveva scelto questa storia di Lloyd Douglas dagli evidenti accenti mélo per quell’importantissima operazione di cinema, il Cinemascope appunto. La Fox era specializzata nella versione di grandi romanzi più o meno popolari (di autori come Hemingway e Fitzgerald, per esempio), realizzando una contaminazione efficace e tutto sommato positiva, anche se venivano privilegiati il sentimento e l’effetto. Anche La tunica, seppur scritto da un autore meno nobile di quelli citati, rientra perfettamente in questi concetti. Il risultato, sul piano squisitamente cinematografico, fu straordinario, il film fece grandi incassi ed ebbe la nomination per l’Oscar. Dunque si può affermare che il 1953 sia l’ultimo anno dell’era non televisiva, l’ultimo anno del cinema puro, senza condizionamenti. Il critico Mario Guidorizzi, forse con un pizzico di paradosso, nel saggio introduttivo del suo Hollywood afferma proprio che il grande cinema finisce nel 1953. Se era la fine di un’epoca, era uno splendido canto del cigno. 

La tunica ebbe cinque nomination e vinse due Oscar, alla sceneggiatura e ai costumi. 
 


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