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Ennio Morricone: due premi Oscar? Troppo pochi per uno come lui

Una carriera sfavillante che lo ha inserito di diritto nel cartello dei più grandi e accreditati a livello mondiale.
di Pino Farinotti

lunedì 6 luglio 2020 - Focus

Grande, grandissimo. Non accade spesso di spendere superlativi  - dovuti, fuori dalla comunicazione corrente, magari dei talk, dove sono solo superlativi -  per un artista italiano.

In queste ore immagini e musiche di Morricone riempiono l’etere. Si racconta tutto di lui. È facile e difficile la narrazione della qualità, quella alta, puoi cadere nel banale e nel retorico. Così cercherò qualche alternativa utile e degna. I suoi omologhi, italiani per il mondo.

Ennio si è inserito, a forza, nel cartello dei più grandi e accreditati. Selezione mia personale, certo discrezionale, ma sui nomi che seguono, la discrezione è... larga. Parlo di giganti contemporanei, viventi. Ordine alfabetico: Giorgio Armani, Roberto Bolle, Maurizio Cattelan (l’artista concettuale, santificato dal Guggenheim), Sophia Loren, Riccardo Muti, Renzo Piano, Miuccia Prada (non solo stilista, ma operatrice culturale globale), Valentino, seppure un po’ in declino, Rossi. Lista... a disposizione naturalmente.

I compositori compagni di viaggio. E qui sto all’assoluto, non al contemporaneo. Altra selezione arbitraria, azzardata, ma vale il concetto detto sopra. Pochi, sulla dita di una mano: Bernard Herrmann, quello di Hitchcock, capace di accompagnare la tensione in parallelo alla potenza dell’immagine; Miklos Rozsa, che perfezionò la musica medievale (Ivanhoe) e inventò quella romana antica (Quo Vadis, Ben Hur); Max Steiner, riferimento primo: basta un Via col vento, straziato dalla quotidiana Porta a Porta; Dimitri Tiomkin: maestro di west e di avventura, e non è poco; John Williams (vivente), quello dei grandi fraseggi epici: Star Wars, Indiana Jones, E.T., Harry Potter oltre al resto. E anche questo... non è poco.

Le citazioni erano strumentali, perché Morricone, quei registri, li aveva tutti. Per un pugno di dollari, fu la prima invenzione, che si affiancava, parallela, alla (re)invenzione del western di Sergio Leone. Uno degli strumenti era... il fischio, che sembrava “cavalcare” accanto a Clint Eastwood. In C’era una volta in America il registro era di toccante passatismo; negli Intoccabili due fraseggi erano a contrasto fra l’immagine del cattivo Capone-De Niro e il buono Ness-Costner. Nuovo cinema Paradiso trasmetteva nostalgia struggente. Lo spartito di Malèna si allineava al romanticismo inquietante della Sicilia, quello dell’Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto era crudele e ironico. Il tema di Mission era di mistica dolente, quello de La leggenda del pianista sull’oceano scattava sulla tastiera virtuosa e febbrile.

Chiamato a musicare The Hateful Eight (guarda la video recensione), Morricone risolse la pazzia indecifrabile di Quentin Tarantino. E ci vinse l’Oscar, nel 2016. Il primo, alla carriera, era arrivato nel 2007. Comunque troppo pochi, per uno come lui.


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