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Robert Redford lascia il set, la perdita è grande

L'artista è riuscito ad essere eroe in un'epoca non favorevole a quel ruolo. Speriamo cambi idea.
di Pino Farinotti

Robert Redford (Charles Robert Redford Jr.) (87 anni) 18 agosto 1936, Santa Monica (California - USA) - Leone.
sabato 11 agosto 2018 - Focus

La notizia non è bella, proprio non lo è: Robert Redford non farà più l'attore. Le categorie di racconto che lo riguardano sono molte perché Redford è un attore, è un uomo, è impegnato nel sociale, nella cultura del suo paese e di riflesso dovunque, al massimo livello. Ma attore&uomo, non basta, vale un altro lemma, che verrà. Ci sono attori che nelle epoche hanno dettato quella che si dice identificazione: sappiamo cosa significa, diventano un modello di cui ci fidiamo, al quale deleghiamo tutto ciò che non riusciamo ad essere. E in quella chiave non si sgarra, il modello non può che essere buono: sarà un giovane e un adulto onesto, onorerà ciò che va onorato, niente lo corromperà, la donna che lo ama si sentirà sempre al sicuro, nessun tradimento, nessuna mancanza di rispetto. È un quadro che nella nostra epoca non è così sexy, un modello come quello non viene compreso, annoia, appare sorpassato. Va riaggiornato, e Redford è riuscito ad essere eroe -il lemma detto sopra- in un'epoca non favorevole a quel ruolo.

In Come eravamo di Sydney Pollack, del 1973, Redford è uno studente che scrive un racconto. L'incipit "Egli era come la nazione in cui viveva, aveva avuto tutto troppo facilmente." È una definizione che si gli si addice, ma che non deriva da un privilegio di nascita, perché la sua era una famiglia modesta, ma dal talento quando si sposa all'intelligenza.
Pino Farinotti

Una chimica che, bene applicata, ti fa correre veloce. Fra le esperienze giovanili, diciamo formative, di Robert, c'è una permanenza in Italia e una in Francia. Se in questi posti stai attento, ti guardi in giro, e sai vedere e ascoltare, hai sicuramente assunto anche una piccola parte di quelle culture che fanno di te un americano diverso, quando te ne torni in California.
Poi c'è la professione, abbastanza conforme al percorso dei divi: un po' di teatro, di televisione. E poi il cinema: dopo un paio di piccoli ruoli Redford ne copre uno importante ne La caccia, dove si confronta, senza sfigurare, con Marlon Brando, e dove incontra Jane Fonda, che sarà sua partner in A piedi nudi nel parco, il film che gli fa fare il salto di qualità. È un ruolo leggero e Redford aspira a ben altro. Che arriva. Trattasi di Butch Cassidy, il western di Roy Hill, dove se la gioca (quasi) alla pari con Paul Newman. È il 1969 e Robert ha 33 anni. E ormai è nel cartello dei divi, quelli che vai a vedere comunque, senza prestare attenzione al titolo del film.


Una scena di A piedi nudi nel parco.
Una scena di I tre giorni del Condor.
Una scena di Come eravamo.

Il suo personaggio si consolida nei primi Anni Settanta quando è presente in tre capolavori, Come eravamo, Il grande Gatsby e La stangata. E così l'attore assurge alla parte alta del cartello. Diventa indispensabile, a questo punto, appuntarsi sulla divisa di cineasta la medaglia dell'Oscar. Che arriva, in un certo senso anomala, perché Redford se la vede attribuire per Gente comune, la sua prima firma da regista, nel 1980. Adesso, consolidata la posizione di artista, occorre avanzare, impegnarsi nella cultura e nel sociale, fare qualcosa dal vivo, non solo dallo schermo.

Redford diventa uno dei grandi modelli progressisti, un democratico avanzato, di sinistra, con molti amici e qualche nemico. Guarda ai diritti civili, all'ecologia, alle etnie e ai giovani. Investe tanto denaro a perdere fondando il Sundance Institute, che ha sostenuto e sostiene il cinema indipendente offrendo la possibilità di emergere ad autori come Jim Jarmusch, Steven Soderbergh e allo stesso Tarantino.
Pino Farinotti

Assunta dunque una profonda consapevolezza sociale Redford si impegnerà quasi sempre in ruoli in quel senso. In Tutti gli uomini del presidente è Bob Woodward, il giornalista che con Carl Bernstein scoperchiò gli intrighi del Watergate. Ne I tre giorni del Condor si batte contro l'ambiguità e la prepotenza della Cia. Ne Il cavaliere elettrico libera fra le montagne un purosangue sfruttato da una multinazionale del cibo. In Quiz Show smaschera le pratiche corrotte di una certa televisione. Dunque impegno e denuncia, continui. Grande artista, grande uomo.
Una digressione a inquadrarlo storicamente. Credo che rappresenti come nessuno le ultime epoche del cinema. Così come un Gary Cooper segnava la prima età dell'oro: modello felice e affidabile che si prese carico nei suoi ruoli di ridare speranza a una nazione devastata dalla crisi del '29. Il cinema di Roosevelt. E poi Paul Newman, l'attore del cambiamento del dopoguerra, il ribelle della presa di coscienza di una società destinata, anche, a soffrire. È lui che ha passato il testimone a Redford, che ha colto quell'eredità aggiornandola. Nessuno, come questi tre ha agito da esempio e da identificatore.


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