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120 battiti e sei César per il film militante di Robin Campillo

Petit Paysan conquista tre riconoscimenti tra cui il premio per la miglior opera prima.
di Marzia Gandolfi

domenica 4 marzo 2018 - News

La Salle Pleyel di Parigi non è il solo cambiamento strutturale nella cerimonia dei César che da un anno ha lasciato il Théâtre du Châtelet. Al César del pubblico, che compie la sua rivoluzione premiando la commedia e 'portando alle stelle' il popolare (e snobbato) comico Dany Boon (Raid Dingue), si aggiunge quest'anno un cambiamento epocale. Ad annunciarlo a inizio serata è un nastro bianco indossato sugli abiti glamour e simbolo della lotta contro la violenza e le discriminazioni sessiste. Perché essere attrici al debutto di una carriera non ha più la stessa leggerezza da quando Rose McGowan, Asia Argento e compagne hanno preso la parola e denunciato le molestie e le aggressioni sessuali subite. Nonostante la Francia si sia smarcata con discrezione da scandali e scalpori, gli sviluppi dell'affaire Weinstein a Hollywood, nella loro inimmaginabile ampiezza, hanno segnato la fine dell'innocenza. Impossibile, anche per l'industria cinematografica francese, sottrarre le incoronazioni a un terremoto che ha scosso il cinema, la società, i costumi. Terremoto a cui ha replicato con ironia e parole dissacranti Blanche Gardin, premiando Camélia Jordana come miglior speranza femminile (Le Brio). Lo ha fatto invece con stile e voce ardente Jeanne Balibar, premiata per la sua Barbara, leggenda aristocratica della canzone francese a cui ha dedicato un omaggio fusionale. Svoltasi, nel bene e nel male, sotto il segno di un nastro rosso e di un nastro bianco, la 43esima edizione dei César ha consacrato sei volte (montaggio, musica, sceneggiatura originale, speranza maschile, attore maschile non protagonista e miglior film) i 120 battiti al minuto (guarda la video recensione) di Robin Campillo, prolungando il lungo successo di un film militante che ha iniziato la sua corsa a Cannes (Gran Premio della Giuria) e ha offerto una tribuna importante alla battaglia pubblica del regista e dei suoi compagni.

Campillo nel suo discorso di ringraziamento ha preso posizione e fatto (ben) intendere la sua posizione politica in difesa dei diritti dei lavoratori du sexe, dei tossicomani e dei migranti.
Marzia Gandolfi

Dopo il suo intervento, le lacrime del colossale Arnaud Rebotini, padre dell'electro alla francese ricompensato col César per la colonna musicale originale (120 battiti al minuto), hanno scosso, commosso e rievocato la Parigi degli anni Novanta, le voci di chi è morto e il dolore dei loro cari, la storia e le azioni spettacolari di ACT UP, l'associazione nata nel 1989 per combattere l'AIDS, il pregiudizio e la solitudine. Ma un emendamento bizzarro del regolamento, in vigore dallo scorso anno, ha impedito a Campillo, nominato nella categoria "miglior film" e "miglior regista", di riportare le due vittorie. Per un sofismo burocratico, che distingue discutibilmente tra autore e opera, Robin Campillo 'cede' il César alla regia ad Albert Dupontel (Au revoir là-haut). Autore anarchico che da par suo snobba la competizione, fa ritirare il premio a terzi e vince cinque volte (migliori costumi, migliore fotografia, migliori scenografie, migliore adattamento e migliore regia) con una commedia surrealista e pacifista contro i guasti del patriottismo e il cinismo dei (pre)potenti. La ripartizione diplomatica dei premi non dimentica però il debutto entusiasmante di Hubert Charuel (Petit Paysan (guarda la video recensione)), che converte la materia documentaria in fiction appassionante. Miglior opera prima, miglior attore (Swann Arlaud), migliore attrice non protagonista (Sara Giraudeau), Petit Paysan è la sola vera sorpresa in una premiazione che ha sottolineato con sussiego i grandi perdenti, il duo Nakache-Toledano (C'est la vie (guarda la video recensione)). Dieci nomination, una pleiade di stelle, un bastimento di simpatia e nemmeno un riconoscimento per le eminenze del sorriso popolare. Una sconfitta che smarrisce il senso della festa in una serata marcata da una ponderata mobilitazione politica e inquadrata in un protocollo difficile da sdrammatizzare anche dal solerte Manu Payet. Restano in fondo alla serata e dentro gli occhi gli omaggi consacrati ai grandi disparus dell'anno. A Jean (Rochefort), Jeanne (Moreau) e Johnny (Hallyday), precipitati luminosi di tutto il cinema che abbia veramente contato per noi, lucciole fragili che sfumano dentro la notte post-weinstein.
Tutti i premi:

Miglior film
Robin Campillo, 120 Battiti al minuto

Migliore attrice
Jeanne Balibar, Barbara

Migliore attore
Swann Arlaud, Petit Paysan

Migliore attore non protagonista
Antoine Reinartz, 120 battiti al minuto

Migliore attrice non protagonista
Sara Giraudeau, Petit Paysan

Migliore regista
Albert Dupontel, Au revoir là-haut

Migliore speranza femminile
Camelia Jordana, Le Brio

Migliore speranza maschile
Nahuel Perez Biscayart, 120 battiti al minuto

Migliore opera prima
Petit Paysan, Hubert Charuel

Miglior documentario
I Am Not Your Negro

Migliore fotografia
Vincent Mathias, Au revoir là-haut

Migliore film straniero
Loveless (guarda la video recensione)

Migliore adattamento
Albert Dupontel, Pierre Lemaitre, Au revoir là-haut

Miglior cortometraggio
Les Bigorneaux

Miglior cortometraggio di animazione
Pépé le Morse
Miglior film di animazione
Le Grand méchant Renard et autres contes

Miglior suono
Olivier Mauvezin, Nicolas Moreau, Stéphane Thiébault, Barbara

Migliore musica originale
Arnaud Rebotini, 120 Battiti al minuto

Migliore sceneggiatura originale
Robin Campillo, 120 battiti al minuto

Migliori costumi
Mimi Lempicka, Au revoir là-haut

Migliore scenografia
Pierre Quefféléan, Au revoir là-haut

Migliore montaggio
Romain Campillo, 120 battiti al minuto


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