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Il secolo di Orson Welles, il genio

ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto il regista Orson Welles.
Orson Welles (George Orson Wells) 6 maggio 1915, Kenosha (Wisconsin - USA) - 10 Ottobre 1985, Los Angeles (California - USA).

domenica 12 aprile 2015 - Focus

"Genius" ormai è definito, accreditato e storicizzato. L'attribuzione riguarda Orson Welles. Gli compete come "body" sta a Marilyn e "voice" a Sinatra. Le ricorrenze sono due: cento anni dalla nascita e trenta dalla morte. Viene considerato da moltissimi il più grande regista di sempre e da molti uno dei più grandi artisti generali del Novecento. Quando si parla di assoluti è bene fare molta attenzione, ma per Welles le definizioni non sono improprie e comunque occorre sempre inserire un altro lemma, "controverso", che non significa comunque ridurre o penalizzare l'assoluto "più grande". E non c'è dubbio che Welles fosse controverso. È in uscita un libro, "A pranzo con Orson", che riporta una serie di registrazioni, dunque roba diretta, senza mediazioni, dove il maestro parla a ruota libera di tutto, non solo del cinema. A raccogliere le esternazioni è stato Henry Jaglon, amico e biografo di Welles. Il tutto organizzato quando il regista era ormai verso la fine della sua storia, e della sua vita, dunque senza residui di prudenza e di imbarazzo. Altrimenti non avrebbe detto: di Woody Allen "mi ripugna fisicamente, è arrogante e falso timido"; di Marlon Brando "un salsiccione, una scarpa fatta di carne", di Chaplin "un mezzo cretino", di Laurence Olivier "un beota"; di Hitchcock "un pigro megalomane"; di Hoffman, De Niro e Pacino "nani etnici". E via dicendo. E qui naturalmente occorre circoscrivere le opinioni nel piacere del paradosso senza freni che apparteneva a uno così, che evocava a sé l'immunità che apparterrebbe a chi ha cercato, trovato e ha sempre ragione.
I nomi detti sopra... qualche qualità l'hanno mostrata. Welles era popolarissimo già a 23 anni, quando fece alla radio "La guerra dei mondi", una cronaca di invasione da parte degli extraterrestri. Spaventò a morte l'America che aveva preso sul serio la fiction. Poi ha fatto vere opere d'arte e film meno nobili. Ha toccato Shakespeare e Cervantes e si è speso in particine grottesche e imbarazzanti per raccogliere denaro con cui fare le "opere". Molte le ha pensate senza riuscire a realizzarle. Ma parte di ciò che ha lasciato è un patrimonio che non ha eguali, per "arte", appunto, personalità, "pazzia" e grandezza. Del cinema dice: "È stato fatto tutto fino all'esaurimento, si potrà fare meglio tecnicamente, ma il linguaggio sarà sempre lo stesso. Occorrerà rompere completamente, altrimenti non faremo che aggiungere titoli a quelli che già ci sono". E dico che Welles si esprimeva in questi termini prima dell'ultimo trentennio del cinema, che è il peggiore di sempre. Gli sono stati risparmiati molti dolori. Ma credo che l'affermazione più importante, malinconicamente onesta sia su se stesso e sul proprio lavoro. Welles non ha mai sedotto il grande pubblico, è un autore per élite. E lo dice: "Se un film non è un successo di pubblico vuol dire che qualcosa non funziona".

Noia lunga
Chi mi conosce è al corrente di una mia radicata didascalia: un grande film non è mai proiettato in una sala vuota. Questo concetto mi permette una digressione. Mi è stato chiesto perché non ho scritto nulla quando è morto Manoel De Oliveira: perché non mi sentivo di santificarlo, come si "deve" fare in quel caso. Nei decenni ho certo colto la qualità del portoghese, ma ne ho colto anche la... noia lunga. Ecco, De Oliveira era il purissimo autore elitario, Welles qualche spazio di evasione lo ha lasciato. Citizen Kane - Quarto potere è stato per tanto tempo al vertice della classifica del cinema che fa testo, quella del magazine "Sigh&Sound", redatta dai più grandi specialisti del cinema. Da qualche tempo il film di Welles è stato sorpassato da Vertigo - La donna che visse due volte, di Hitchcock. L'inglese sapeva trovare gli equilibri perfetti fra arte e spettacolo e forse il sorpasso è legittimo. È figlio della nostra epoca. Welles non amava i registi cinefili: "quelli che non hanno conosciuto nessuna cultura che non sia quella cinematografica". Anche questo è un concetto che mi sta a cuore, quando dico che i nostri registi, salvo pochissime eccezioni, vogliono scrivere e non sanno farlo. Sorrentino - una sola citazione esemplare - potrebbe ambire ad essere inserito in alto nella "Sigh&Sound", se desse retta a chi sa scrivere. Welles studiava e conosceva, in profondità. Si muoveva in letteratura come in pellicola. Se vuoi fare grandi opere (anche film) non bastano richiami lontani, non basta il bigino e la sintesi. Se hai letto Shakespeare e Cervantes, è meglio.

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