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Grande fratello: dalla tv al cinema

Reality nel cinema. Cosa guarda il grande occhio?
di Gianmarco Mariotti

Grande Fratello, padre, figlio e nipote

lunedì 30 novembre 2009 - Approfondimenti

Grande Fratello, padre, figlio e nipote
Due lustri ormai ci separano dall'esordio italiano del più celebre dei feticci popolari che abitano l'universo televisivo: Il Grande Fratello.
Padre di una numerosissima e variegata prole, sembra raccogliere, con vigore e forza di sintesi, il testimone delle datate (anni '40) Candid Camera e più in generale di una tensione voyeuristica che vede in Andy Warhol, con Chelsea Girls (1966), l'intraprendente progenitore responsabile di averla concretamente espressa in campo cinematografico.
Se tale atavica fame di osservazione delle vite altrui sembra avere una genealogia mediatica più ampia anche della televisione stessa, è soltanto a fine anni '90 e inizio del nuovo millennio che, con reality quali The Big Brother, American Idol e Survivor, si è imposta come rivelazione e presenza omnia in tutti i principali palinsesti televisivi mondiali, tanto che ormai il genere reality può essere considerato come una delle imprescindibili caratterizzanti del media televisivo. Il fatto è che alle persone piace osservare, invisibili, le vite altrui e specialmente le dinamiche sociali con i loro risvolti emotivi calate nei contesti più vari. Che si parli di una casa, o un'isola o una scuola 'd'arte' tout court fa poca differenza, ciò che importa è osservare le persone, il resto è contorno, e quanto questo sia più o meno funzionale lo rivela l'auditel. Se un'analisi di cause e risvolti di questa 'fame' spetta a sociologi e psicologi (talvolta psichiatri e psicoterapeuti) può essere interessante osservare brevemente come risponde il cinema a questa inedita sollecitazione e quali nuovi temi, linguaggi e metafore si è inventato per codificarla.

Teoria antiutopica di Truman
Il primo nome che viene in mente è chiaramente quello di Peter Weir che con il suo celebre Truman Show (1998) disegna una società che soddisfa la propria sete di emozioni grazie a uno show particolare: la costante e multiangolata diretta televisiva della vita di Truman, saltato dal grembo della madre a un mondo fittizio costruitogli su misura e popolato da attori e imponenti scenografie grazie alle quali anche il sole, la volta celeste e quella luna che gli suscita spesso quei moti struggenti propri di un uomo reale, non sono altro che un artificio tecnico, misto di lampade dallo sbalorditivo wattaggio e pannelli di legno compensato ornati da qualche mano di vernice. La sua vita, un sacrificio all'altare della vacuità individuale e sociale di quel mondo, permette alle persone di inebriarsi di emozioni che la vita, per come viene vissuta, nega, secondo un principio strettamente drammatico. È il dramma, l'immedesimazione in una situazione che lo spettatore percepisce come vera che fornisce le emozioni. E così sembra essere anche per i reality, al di là di questioni legate al gossip, che richiedono uno sforzo e una fiducia ancora maggiori per aderire a quello statuto di realtà, dal momento che gli 'osservati' sono consapevoli di essere osservati.
Lo stesso nome Grande Fratello è, come sicuramente noto ai più, preso in prestito dal celebre 1984 di Orwell, poi piacevolmente trasposto in pellicola da Michael Radford (appunto nel 1984); ma se passassimo in rassegna qualche pellicola a tema antiutopico come Fahrenheit 451 (1966) o le più recenti Equilibrium (2002) di Kurt Wimmer e, il fantascientifico The Island (2005) di Michael Bay ci accorgeremmo che, come per 1984, l'osservazione è un mezzo né più né meno che di controllo, a fini autoritari o economici che siano. Niente a che vedere né con lo svago né col voyeurismo. Esempi di voyeurismo morboso si ritrovano nel cinema giapponese, per esempio in A snake of June (2002) di Shinya Tsukamoto dove, però, è contaminato da una componente sessuale che devìa il discorso verso altre direzioni. Nel 2002 il regista Marc Evans decide di sfruttare il tema del reality per inscenare un violentissimo horror claustrofobico, My little eye, nel quale un gruppo di ragazzi e ragazze decide di partecipare ad un reality per il premio di un milione di dollari, ma per qualche motivo i partecipanti iniziano a morire uno a uno. Anche in questo caso l'affinità col reality è sottile, limitato a questioni basilari di pretesto narrativo.

Cinema e 'realtà'
Sembra, quindi, che non si riesca a trovare un perfetto corrispettivo cinematografico di Grande Fratello e famiglia, al di là del vicino Truman Show che è una sorta di analisi del genere, perché probabilmente l'occhio e la ricerca cadono troppo presto in ambiti troppo specificamente vicini a quelli indagati. Alzando lo sguardo si ritroverebbero affinità con una larghissima parte di produzione drammatica: i processi che si scatenano sono gli stessi, o comunque molto simili, di quelli che sorgono guardando un film come, per esempio, Il signore delle mosche (1966, 1990), dove si guardano dall'alto delle dinamiche sociali, finzionali, con sguardo esterno e pressoché onnisciente, ma con una partecipazione drammatica interna che fornisce le emozioni unitamente e al di là del giudizio. Il meccanismo del reality, con tutte le opportune complicazioni e specificazioni, è similare, ma trasposto a un molto meno pretenzioso livello di intrattenimento, opinabile, che crea affezione e fidelizzazione al pari di un serial, ma con un diverso format.

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