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Storia 'poconormale' del cinema: Hollywood, il ricambio di appeal

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema secondo Farinotti.
di Pino Farinotti

Il meccanismo dell'identificazione: diciassettesima puntata
John Wayne (Marion Mitchell Morrison) Altri nomi: (Duke/ JW) 26 maggio 1907, Winterset (Iowa - USA) - 11 Giugno 1979, Los Angeles (California - USA).

venerdì 19 giugno 2009 - Focus

Il meccanismo dell'identificazione: diciassettesima puntata
La prima grande generazione di Hollywood diede un abbrivio strepitoso, mai superato. Quei divi si proposero con identità forti e univoche. "Univoco" è il primo aggettivo, la cifra che li definì. Gary Cooper era sempre Gary Cooper, così come Wayne era Wayne. E vale per quasi tutti gli altri: Bogart, Grant, Flynn, e poi Garbo, Dietrich, Crawford, Bette Davis. Nei film erano se stessi. Avresti potuto estrarli da un plot, cambiarne il nome e inserirli in un altro. E il paradosso, e anche il miracolo, è che quello non era un limite. Era personalità, era il quanto che li rendeva subito riconoscibili, come subito riconosci un amico. Era il meccanismo della cosiddetta identificazione.

Le regole
Era naturale che Hollywood formasse i suoi modelli secondo generazione. E le generazioni dovevano evolversi, secondo le regole del tempo e dello spettacolo che ai tempi doveva aderire. Il gruppo successivo, la nuova generazione, detto a linee larghe naturalmente, avrebbe dovuto proporre personalità più complesse, caratteri sì, meno univoci. Attori che non si sarebbero limitati ad essere se stessi, ma avrebbero recitato, si sarebbero "calati". Fermo restando l'appeal altissimo, sicuro. Prima del gruppo "Actor's Studio" , i rivoluzionari di cui ho scritto sopra, quelli che potremmo definire "terza generazione di Hollywood", fu la volta della generazione dei riformatori. Divi a mezza strada, evoluti ma con reminiscenze e richiami ai loro colleghi maggiori. I nomi sono quelli di Burt Lancaster, Robert Mitchum, Kirk Douglas, Richard Widmark, Alan Ladd, Stewart Granger, Gregory Peck, William Holden fra gli altri; Linda Darnell, Susan Hayward, Maureen O'Hara, Ava Gardner, Gene Tierney, Doris Day, Deborah Kerr fra le altre. In questa stirpe ci furono comunque divi di riflusso, icone che continuavano a rappresentare se stessi senza sfumature, gente da prima generazione capitata nella seconda, come Rita Hayworth divina tradizionale, se stessa a oltranza, e poi Tyrone Power e Robert Taylor. Ma costoro possedevano tale appeal che si imposero comunque.

Noir
Lancaster, Mitchum, Douglas, Widmark, Ladd, grazie a registi come Siodmak, Dassin, Litvak e Tourneur e a scrittori come Hemingway, Hammett, Chandler e Homes, divennero gli eroi di un genere, il noir, che perfezionarono fino a nobilitarlo. Erano eroi ... con qualche macchia, non purissimi come quelli della stirpe precedente, anche se alla fine si redimevano se c'era da redimersi. Richard Widmark, ne Il bacio della morte, fu un precursore, quando diede corpo e volto a Tommy Udo, l'assassino psicopatico dalla risata satanica (doppiato da Stoppa). Era il primo "cattivo simpatico" del cinema. Nei noir successivi molti personaggi si mossero come Udo e parlarono come Udo. Ma Widmark lo aveva inventato. E fu talmente bravo, nel tempo, da riuscire a "togliersene", diventando un carattere positivo, un eroe anche lui, come i suoi compagni. Il noir davvero identifica questo gruppo di grandi attori. Si tratta di film perfetti. Anche oggi non hanno perso quasi niente della loro vedibilità, a mezzo secolo, e oltre, di distanza. Titoli grandi e classici furono: Le catene della colpa, di Tourneur, da un romanzo di Geoffrey Homes, con Mitchum (più buono che cattivo) e Douglas (del tutto cattivo). E poi I gangsters, da Hemingway, con Burt Lancaster quasi agli esordi. Lancaster, nel tempo, si sarebbe rivelato come l'attore forse più completo di Hollywood, titolare di un registro vastissimo: capace di acrobazie autentiche (senza controfigura) sui pennoni del galeone ne Il corsaro dell'isola verde, e di rappresentare il nobile principe di Salina nel Gattopardo. Il romanziere Raymond Chandler, l'inventore di Marlowe, accettò di scrivere una sceneggiatura pura per la Paramount, La dalia azzurra, con Alan Ladd, un altro titolo guida del genere. William Holden, protagonista di Viale del tramonto, a sua volta attore completo, sarebbe stato l'amoroso magnifico negli "etnici" L'amore è una cosa meravigliosa e Il Mondo di Suzie Wong. Un altro dei valori di questi film era la over voice, il racconto fuori campo che affiancava l'azione. Era una prosa sintetica, senza orpelli, di grande efficacia. La voce era quasi sempre quella di Emilio Cigoli, il doppiatore, tra gli altri, di Lancaster, Douglas e Holden.

Dive
Le dive erano omologhe dei divi. Buone per molti ruoli. Così Deborah Kerr, gran signora inglese poteva essere la schiava romana affrancata di Quo Vadis o la malinconica, sensuale moglie trascurata in Da qui all'eternità, indimenticabile in quel bacio nella risacca con Burt Lancaster. Susan Hayword si prestava come moglie ricca di Gregory Peck nelle Nevi del Kilimangiaro o come balorda condannata alla camera a gas in Non voglio morire. Linda Darnell era la madonna dolce e sfumata di Bernadette e l'ardente moglie del torero Tyrone Power in Sangue e arena. Gene Tierney era una regina sofisticata dagli occhi che illuminavano intorno. Doris Day faceva commedie e musical, ma sapeva essere la madre disperata secondo Hitchcock ne L'uomo che sapeva troppo. Ava Gardner sensuale febbrile, sapeva cantare in Show Boat ed essere la dark spietata nei Gangsters. Tutta gente, uomini e donne, i cui segnali si vedono ancora.

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