amandagriss
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mercoledì 17 aprile 2013
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come è dolce e sì dolente naufragar in questo mar
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Brandon è un erotomane,un affamato di sesso,che soddisfa regolarmente ogni giorno più volte al giorno da solo,in compagnia di prostitute,via internet,attraverso incontri fortuiti,in club a luci rosse,in alberghi poco discreti,in appartamenti di dubbia moralità.Ricerca spasmodica del piacere sessuale la sua,divenuta vera e propria dipendenza,che lo ha reso prigioniero consapevole della sua ossessione,malato senza remissione di un subdolo morbo al punto da non riuscire ad allacciare rapporti interpersonali se non a un livello superficiale e,con le donne,non oltre l'intimo contatto fisico.All’apparenza è un giovane ‘normale’, prestante,sano,socialmente integrato,libero,autonomo economicamente,ma dentro è un impotente sentimentale,un disaddattato emotivo,un eremita introspettivo: la lucida consapevolezza della sua condizione lo lacera nel profondo,infliggendogli insondabili sofferenze,che tiene ben nascoste.
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Brandon è un erotomane,un affamato di sesso,che soddisfa regolarmente ogni giorno più volte al giorno da solo,in compagnia di prostitute,via internet,attraverso incontri fortuiti,in club a luci rosse,in alberghi poco discreti,in appartamenti di dubbia moralità.Ricerca spasmodica del piacere sessuale la sua,divenuta vera e propria dipendenza,che lo ha reso prigioniero consapevole della sua ossessione,malato senza remissione di un subdolo morbo al punto da non riuscire ad allacciare rapporti interpersonali se non a un livello superficiale e,con le donne,non oltre l'intimo contatto fisico.All’apparenza è un giovane ‘normale’, prestante,sano,socialmente integrato,libero,autonomo economicamente,ma dentro è un impotente sentimentale,un disaddattato emotivo,un eremita introspettivo: la lucida consapevolezza della sua condizione lo lacera nel profondo,infliggendogli insondabili sofferenze,che tiene ben nascoste.L’improvvisa incursione della sorella Sissy(con cui condivide un torbido segreto)finirà con l’innescare una precipitosa discesa all’inferno per entrambi,infliggendo il colpo di grazia alla sua già agonizzante dignità di persona(più apprezzabile della dignità di chi vive una doppia vita,nell'assoluta tranquillità e pace interiori,senza rimorso alcuno,senza dolore e tormento,dividendosi tra il ruolo del marito premuroso e padre affettuoso e quello dell’amante occasionale,come il capo e ‘amico’ di Brandon).Steve McQuenn cala il suo protagonista in una New York anomala,non più terra promessa,grande mela da addentare,emblema del glamour e dello sfavillìo spumeggiante di felici esistenze ruggenti ma una città decadente,tetra,svuotata del proprio caratteristico caos.È la proiezione della sua anima.La sua ombra.Gli fa da sfondo,sempre filmata in relazione a lui,al suo vissuto.Non le è resa nessuna panoramica,nessuna inquadratura solista; è silente presenza in quella in cui rientra(al millimetro)l'attore.Di lei non ci giungono che frammenti: nebbiosa dietro le vaste vetrate di un hotel sul fiume Hudson,coi suoi marciapiedi deserti a notte fonda per un improvvisato-salvifico jogging, unica testimone del momento massimo di disperazione sulla banchina del molo.Una New York afflitta,la sola possibile,come il canto triste a lei dedicato,eseguito a fil di voce da Sissy.Il regista lascia al flusso delle immagini il ruolo di voce narrante,capaci di toccare vette di grande lirismo―straordinaria è la scena iniziale dove eloquenti sguardi s'incrociano nel treno in corsa della metropolitana―,e alla sensibilità dello spettatore un vasto raggio d'azione(incluso lo splendido finale aperto).Non è un'indagine psicologica ma la contemplazione di ciò che oggi,adesso,sono Brandon e Sissy.Coraggiose sospensioni/dilatazioni di ritmo(andante,fluido,avvolgente)e narrazione accrescono la tensione già forte e creano(volutamente)un ‘certo fastidio’ da parte del pubblico ‘che sta a guardare’,essendo momenti visivamente insostenibili,che la ‘logica cinetica’ del cinema decurterebbe.Pellicola elegante,sensuale,fredda nella messa in scena ma perturbante nei contenuti.Fotografia plumbea e tonalità di colore tendenti al blu(il blu come malinconia,tristezza).Minimalismo formale scarnificato,riflesso inequivocabile del vuoto emotivo/affettivo del protagonista.Tragedia moderna che declina al presente i concetti di schiavitù e solitudine,che trasforma un intimo dolore autolesionistico in un sentire universale.Splendido.
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elenadigennaro1
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mercoledì 3 aprile 2013
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fassbender assoluto!
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Film che non ho subito capito, ma studiandolo attentamente anticipavo le mosse del protagonista, ma non lo ritengo affatto scontato! Musica sublime, come del resto l'interpretazione di Fassbender, ma forse un "film non per tutti".. Perché a mio parere alcuni potrebbero sottovalutare la storia e scambiarla per la storia di un pervertito qualunque, quale non è, perché il disagio del protagonista è un disagio ben più profondo di una specie di ninfomania acuta, è qualcosa che traspare dalle parole dello stesso Brendon (Fassbender) nelle conversazioni con la sorella Sissi! Comunque.. VALE LA PENA!
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lisadp
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mercoledì 20 marzo 2013
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come la prigione non ha per forza le sbarre
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Una colonna sonora mozzafiato accompagna una storia di degradazione e schiavitù provocati dalle proprie dipendenze.
Da un lato troviamo il protagonista, dipendente dal sesso e nauseato da se stesso, ma rassegnato alla sua vita; dall'altra c'è la sorella insicura ed imprigionata nelle proprie paure e difficoltà. con fatica e lavoro possono essere l'uno la salvezza dell'altro, ma prima di poterlo capire dovranno toccare il fondo entrambi, arrivare al punto di rottura che possa permettere loro di detestarsi a tal punto di non poter più convivere con se stessi e cercare un modo nuovo di guardare le cose.
Gli sguardi sono infatti un punto focale del film, intrisi di rancore, disperazione, nausea.
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Una colonna sonora mozzafiato accompagna una storia di degradazione e schiavitù provocati dalle proprie dipendenze.
Da un lato troviamo il protagonista, dipendente dal sesso e nauseato da se stesso, ma rassegnato alla sua vita; dall'altra c'è la sorella insicura ed imprigionata nelle proprie paure e difficoltà. con fatica e lavoro possono essere l'uno la salvezza dell'altro, ma prima di poterlo capire dovranno toccare il fondo entrambi, arrivare al punto di rottura che possa permettere loro di detestarsi a tal punto di non poter più convivere con se stessi e cercare un modo nuovo di guardare le cose.
Gli sguardi sono infatti un punto focale del film, intrisi di rancore, disperazione, nausea. Persino nelle scene in cui si dovrebbe stare bene, lo sguardo tradisce l'atmosfera e funge da cornice ai comportamenti spesso fuoriluogo del protagonista. Come se non bastasse gli sguardi in questo film sono tanto importanti da aprirne la storia e chiuderla, lasciando il pubblico in un dolce dubbio conclusivo.
E' dovere lasciare anche due parole ai protagonisti, la recitazione infatti è meravigliosa, credibile, molto vera e Fassbender è davvero incredibile nei panni di questo personaggio angosciato e perso in se stesso, diviso tra la sua dipendenza ed il desiderio di liberarsene.
Essendo un film che lasciava molto parlare il corpo e le espressioni è stata fatta l'ottima scelta di una sceneggiatura con pochi dialoghi che sono però d'impatto e che non vogliono trasmettere pietà per i protagonisti, ma vogliono far si che ci si immerga nella loro inquietudine. L'assenza di motivazioni su come i due protagonisti siano giunti a questo punto dimostra che non è importante il come, il perchè, ma importa solo l'esserci e l'affrontarlo, sia che si scelga di rassegnarsi o che si sgelga di combatterlo.
Davvero un'ottima regia di McQueen che è riuscito a creare un film di sesso, che non parla di sesso, ma della disperazione di un uomo.
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germano f.
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domenica 10 marzo 2013
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veniamo da un brutto posto
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E' un film profondo "Shame". Un film che alla fine lascia in uno stato di profonda frustazione morale. Steve McQueen colpisce nel segno descrivendo una società e una comunità contrassegnata da ipocrisie e subdole inclinazioni alle perversioni (di cui il sesso è solo una delle tante metafore). E non parliamo ovviamente solo del protagonista. Lui è solo l'apice, l'elemento più manifesto, il personaggio che metaforizza un'intera società. Sono gli altri personaggi che più fanno riflettere. A cominciare dal suo capo (James Badge Dale) nella duplice veste di seduttore da quattro soldi la notte e in quella di efficente padre di famiglia la mattina seguente.
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E' un film profondo "Shame". Un film che alla fine lascia in uno stato di profonda frustazione morale. Steve McQueen colpisce nel segno descrivendo una società e una comunità contrassegnata da ipocrisie e subdole inclinazioni alle perversioni (di cui il sesso è solo una delle tante metafore). E non parliamo ovviamente solo del protagonista. Lui è solo l'apice, l'elemento più manifesto, il personaggio che metaforizza un'intera società. Sono gli altri personaggi che più fanno riflettere. A cominciare dal suo capo (James Badge Dale) nella duplice veste di seduttore da quattro soldi la notte e in quella di efficente padre di famiglia la mattina seguente. Il regista è abile a delineare con luci e toni una città, e con essa una società, piovosa, grigia, sporca, che vive indubbiamente in sottotraccia, pronta ad emergere in conflittualità apparentemente insolubili. Bellissima la fotografia, bellissimo il sonoro, sfruttati ambedue al massimo delle loro possibilità di esemplificazione degli stati psicologici e morali dei personaggi. Fassbender interpreta il suo ruolo con partecipazione e coraggio, riuscendogli a dare un'intensa e misurata drammaticità, vitale per non cadere nell'involontariamente comico in alcune scene di seeso. Carrey Mulligan è sempre più brava, sempre più coraggiosa e sempre più capace di captare ogni più intensa e fragile emozione del suo complesso personaggio. McQueen si dimostra qui regista di rarissima sensibilità, capace di trattare l'argomento con un'intelligenza e con una capacità focalizzante che in ben pochi autori dell'ultima generazione riusciamo a trovare. L'evento centrale del film è la parte in cui la Mulligan canta "New York, New York" : molta intensa, molto drammatica, capace di farci intuire l'emotività di Fassbender e il suo profondo travaglio interiore. Ma sono poi tantissime le scene che ci rimangono nello stomaco : Fassbender nudo che girovaga nell'apatica solitudine di casa sua; Il protagonista che corre nella notte newyorkese caotica, sporca e nei suoi luoghi più vissuti (vedi Madison Square Garden ) sola; il dialogo, privato, intimo, che per due volte vediamo tra fratello e sorella, momento di vicinanza e apertura, di brutale confronto e di sfogo; lo sguardo intenso e rasserenante che si scambiano in ufficio vicino alla macchinetta del caffè Fassbender e Nicole Beharie; la bellissima e commovente frase di Mulligan "...Noi non siamo cattive persone. E' solo che veniamo da un brutto posto. Grazie di avermi fatto restare..." ...dice tutto, così lontani e così vicini. E' normale se vedendo questo film ci sentiamo un po' disturbati, un pizzico colpevoli: in fondo parla della nostra società moderna, parla di noi, delle nostre ipocrisie, del nostro latente perbenismo, della nostra incapacità di relazionarci con gli altri, in un mondo sempre più estremo e spinto verso un nulla e un vuoto che solo un'intensa capacità dialogica possono colmare.
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mariagiorgia
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giovedì 17 gennaio 2013
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in shame si palesa l'eros e il thanatos freudiano
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Dopo il primo impatto, soprattutto femminile, di un «Uhmm» generale, carico di sospiri per il nudo integrale e frontale del seducente Michael Fassbender, dalla fisicità asciutta e scultorea, si procede verso un intreccio narrativo complesso dal quale emerge una riflessione sull’uomo. Steve McQueen ci racconta, in modo lucido e diretto, l’alienazione di un uomo che vive il sesso in modo meccanico e impersonale. Uno sfogo che anziché rinvigorire, indebolisce emotivamente l’individuo svuotandolo dall’interno. Il sesso stesso è depotenziato, sterile e fine a se stesso.
Brandon è ingordo, mai si sazia. Si masturba in qualsiasi luogo, fa sesso online, si porta a letto prostitute, ha rapporti occasionali con sconosciute, si fa sedurre e seduce chiunque passi davanti al suo algido sguardo.
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Dopo il primo impatto, soprattutto femminile, di un «Uhmm» generale, carico di sospiri per il nudo integrale e frontale del seducente Michael Fassbender, dalla fisicità asciutta e scultorea, si procede verso un intreccio narrativo complesso dal quale emerge una riflessione sull’uomo. Steve McQueen ci racconta, in modo lucido e diretto, l’alienazione di un uomo che vive il sesso in modo meccanico e impersonale. Uno sfogo che anziché rinvigorire, indebolisce emotivamente l’individuo svuotandolo dall’interno. Il sesso stesso è depotenziato, sterile e fine a se stesso.
Brandon è ingordo, mai si sazia. Si masturba in qualsiasi luogo, fa sesso online, si porta a letto prostitute, ha rapporti occasionali con sconosciute, si fa sedurre e seduce chiunque passi davanti al suo algido sguardo. Il suo è puro sesso, carnale, crudo e viscerale, senza un margine di sentimento, contornato solo dal desiderio di consumare una voglia che, tuttavia, è priva di quella vitalità che alberga nel sano sesso.
Non c’è nessun tentativo da parte del regista di psicanalizzare il protagonista. Lo segue silenziosamente, mostrando al pubblico un’ossessione reiterata attraverso una nudità costante e insistente che a tratti eccita e a tratti nausea lo stesso pubblico. Eppure, si palesa Dopo il primo impatto, soprattutto femminile, di un «Uhmm» generale, carico di sospiri per il nudo integrale e frontale del seducente Michael Fassbender, dalla fisicità asciutta e scultorea, si procede verso un intreccio narrativo complesso dal quale emerge una riflessione sull’uomo. Steve McQueen ci racconta, in modo lucido e diretto, l’alienazione di un uomo che vive il sesso in modo meccanico e impersonale. Uno sfogo che anziché rinvigorire, indebolisce emotivamente l’individuo svuotandolo dall’interno. Il sesso stesso è depotenziato, sterile e fine a se stesso.
Brandon è ingordo, mai si sazia. Si masturba in qualsiasi luogo, fa sesso online, si porta a letto prostitute, ha rapporti occasionali con sconosciute, si fa sedurre e seduce chiunque passi davanti al suo algido sguardo. Il suo è puro sesso, carnale, crudo e viscerale, senza un margine di sentimento, contornato solo dal desiderio di consumare una voglia che, tuttavia, è priva di quella vitalità che alberga nel sano sesso.
Non c’è nessun tentativo da parte del regista di psicanalizzare il protagonista. Lo segue silenziosamente, mostrando al pubblico un’ossessione reiterata attraverso una nudità costante e insistente che a tratti eccita e a tratti nausea lo stesso pubblico. Eppure, si palesa l’eros e il thanatos freudiano. Il protagonista vive un conflitto interno caratterizzato dalla pulsione di vita e dalla pulsione di morte. Quest’ultima prevale maggiormente e si manifesta sottoforma di aggressione nei confronti dell’amore e nella difficoltà di relazionarsi con qualcuno. Di conseguenza, è presente un senso di autodistruzione che affligge il protagonista nel suo consumo incessante e brutale di sesso, soprattutto nella seconda parte del film dove si susseguono svariate avventure trasgressive ed estremamente forti.
Poi c’è Sissy, interpretata da Carey Mulligan, eccezionale sopratutto nella sua interpretazione ovattata e delicata di New York! New York! che emoziona tutti. Bella in tutta la sua fragilità e ingenuità, anche essa, non riesce a gestire bene la sua vita e le sue relazioni sentimentali. Dalla sua entrata in scena, Sissy vuole avvicinarsi al fratello, cercando di ricucire un rapporto forse finito da tempo. Tuttavia, resta qualcosa di celato e di non detto del loro passato. Probabilmente, è una scelta del regista per lasciare libera interpretazione al pubblico.
Shame è stato curato in ogni minimo dettaglio. C’è tanto rigore e precisione dietro i primi piani e lunghi piani sequenza che seguono il protagonista attraverso inquadrature dilatate nel tempo. Non a caso, è un film dall’andamento lento, ma sicuramente non soporifero. Più che concentrarsi sui dialoghi, McQueen si sofferma sui volti, sui corpi, sui dettagli e sulle immagini che danno continue istantanee delle persone che vivono in una metropoli che mai si ferma.
Fassbender, vincitore della Coppa Volpi a Venezia, e la Mulligan sono eccezionali, sembrano sempre sul punto di rompersi in mille pezzi. Tutto questo rende Shame un’opera struggente, quanto provocatoria, avvolta in una colonna sonora raffinata ed elegante che crea un immancabile nodo alla gola come solo la musica è capace di fare.
. Il protagonista vive un conflitto interno caratterizzato dalla pulsione di vita e dalla pulsione di morte. Quest’ultima prevale maggiormente e si manifesta sottoforma di aggressione nei confronti dell’amore e nella difficoltà di relazionarsi con qualcuno. Di conseguenza, è presente un senso di autodistruzione che affligge il protagonista nel suo consumo incessante e brutale di sesso, soprattutto nella seconda parte del film dove si susseguono svariate avventure trasgressive ed estremamente forti.
Poi c’è Sissy, interpretata da Carey Mulligan, eccezionale sopratutto nella sua interpretazione ovattata e delicata di New York! New York! che emoziona tutti. Bella in tutta la sua fragilità e ingenuità, anche essa, non riesce a gestire bene la sua vita e le sue relazioni sentimentali. Dalla sua entrata in scena, Sissy vuole avvicinarsi al fratello, cercando di ricucire un rapporto forse finito da tempo. Tuttavia, resta qualcosa di celato e di non detto del loro passato. Probabilmente, è una scelta del regista per lasciare libera interpretazione al pubblico.
Shame è stato curato in ogni minimo dettaglio. C’è tanto rigore e precisione dietro i primi piani e lunghi piani sequenza che seguono il protagonista attraverso inquadrature dilatate nel tempo. Non a caso, è un film dall’andamento lento, ma sicuramente non soporifero. Più che concentrarsi sui dialoghi, McQueen si sofferma sui volti, sui corpi, sui dettagli e sulle immagini che danno continue istantanee delle persone che vivono in una metropoli che mai si ferma.
Fassbender, vincitore della Coppa Volpi a Venezia, e la Mulligan sono eccezionali, sembrano sempre sul punto di rompersi in mille pezzi. Tutto questo rende Shame un’opera struggente, quanto provocatoria, avvolta in una colonna sonora raffinata ed elegante che crea un immancabile nodo alla gola come solo la musica è capace di fare.
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gianmarco.diroma
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sabato 10 novembre 2012
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gli integrati
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4 stelle invece di 5, solamente perché Steve McQueen, forse perché proviene dalla videoarte, quindi amando a tratti forse più la forma che la sostanza della bellissima storia che sta raccontando, contribuisce ad avvalorare ulteriormente un'affermazione contenuta ne "L'illusione difficile" di Federco di Chio: "Sempre più, insomma, le storie sono occasioni di smarrimento e non più guide per affrontare il caos". Gli integrati perché per chi abbia letto "Apocalittici e integrati" di Eco o chi, come me, ne conosca solo il titolo, potrebbe risultare "easy" leggere Shame come il complementare di Hunger. Complementare o speculare. Poco cambia. Il senso sta nel fatto che lì dove Hunger racconta la storia di un uomo che va incontro alla morte, martirizzando il proprio corpo, elevando il proprio corpo ad una causa (un verbo), affrontando il mondo senza compromessi, e per questo in chiave apocalittica, Shame parte e segna la via dell'integrazione silenziosa tra le "contorsioni" erotico-pornografiche del mondo, metafora di una condizione "shared & worldwide spread" che si propaga come un rizoma tra "case per uomini fieramente soli" e camere di alberghi affacciati sull'Hudson che non a caso di nome fanno Standard.
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4 stelle invece di 5, solamente perché Steve McQueen, forse perché proviene dalla videoarte, quindi amando a tratti forse più la forma che la sostanza della bellissima storia che sta raccontando, contribuisce ad avvalorare ulteriormente un'affermazione contenuta ne "L'illusione difficile" di Federco di Chio: "Sempre più, insomma, le storie sono occasioni di smarrimento e non più guide per affrontare il caos". Gli integrati perché per chi abbia letto "Apocalittici e integrati" di Eco o chi, come me, ne conosca solo il titolo, potrebbe risultare "easy" leggere Shame come il complementare di Hunger. Complementare o speculare. Poco cambia. Il senso sta nel fatto che lì dove Hunger racconta la storia di un uomo che va incontro alla morte, martirizzando il proprio corpo, elevando il proprio corpo ad una causa (un verbo), affrontando il mondo senza compromessi, e per questo in chiave apocalittica, Shame parte e segna la via dell'integrazione silenziosa tra le "contorsioni" erotico-pornografiche del mondo, metafora di una condizione "shared & worldwide spread" che si propaga come un rizoma tra "case per uomini fieramente soli" e camere di alberghi affacciati sull'Hudson che non a caso di nome fanno Standard. La sequenza iniziale (quella che dal titolo di testa che compare lì sul letto dove il corpo nudo del protagonista principale poggiava un attimo prima, passa tra le folle della metro di New York, tra donne che pur di essere richiamate da Brandon lasciano messaggi sconcertanti ma che alla fine strappano anche un sorriso in segreteria del tipo "ho un cancro, mi rimane una settimana di vita", tra occhi che tra le folle che affollano la metro di New York s'incontrano e non riescono più a mollarsi) rivela tutta la forza e la bravura di McQueen. Una forza che non perde di vigore nel corso del racconto, ma che semplicemente si disperde. Non perdita bensì dispersione. Dispersione nel mondo. Citando ancora di Chio, "messa in crisi della chiusura". Il film infatti non ha una chiusura, e per assurdo è un film tremendamente romantico. Romantico per come romantico era uno come Franz Schubert: romantico nel senso che il tema (musicale) non viene sviluppato (la forma sonata beethoviana), ma rimane su sé stesso, implode (come l'Incompiuta proprio di Schubert), rimane (nonostante l'alta fattura registica) materia grezza piegata, ripiegata su sé stessa che non diventa mai prodotto finito, ma che viene esposta così com'è. Come una colata di cemento esposta in una teca cercando di preservarne la caduta originaria. Nulla a che fare con Pollock però, perché di sicuro il corpo di Fassbender non è un corpo che balla, forse di più... le sculture di Medardo Rosso!
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break
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lunedì 5 novembre 2012
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introspettivo
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Ritratto di un maniaco sessuale che cerca inutilmente di reprimere il proprio disagio. Shame offre una riflessione sulla società moderna, mettendo in discussione l'eccessivo individualismo che ne genera. Film ben diretto e interprato, sottile nell'esposizione.
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tanus78
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mercoledì 24 ottobre 2012
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nudo e al dente
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Buon film, da ricordare soprattutto per l'eleganza della messa in scena: una New York icona spinta dell'individualismo 2.0 a base di free porn accoglie magnificamente le turbe e i morbi di uno (apparentemente) statuario Fassbender ma in realtà fragile quanto la sorellina Carey Mulligan, sempre a suo agio nei panni di quella che sta vedendo i "mostri".
Buon film, ripeto, ma un tantino troppo osannato da una critica polverosa ancora slegata (per ragioni anagrafiche, soprattutto) da un modello culturale che ormai vive di milioni di individui chiusi nelle proprie armature e costretti a sgomitare per avere gratificazioni di qualsiasi tipo, dall'alimentare al sessuale.
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Buon film, da ricordare soprattutto per l'eleganza della messa in scena: una New York icona spinta dell'individualismo 2.0 a base di free porn accoglie magnificamente le turbe e i morbi di uno (apparentemente) statuario Fassbender ma in realtà fragile quanto la sorellina Carey Mulligan, sempre a suo agio nei panni di quella che sta vedendo i "mostri".
Buon film, ripeto, ma un tantino troppo osannato da una critica polverosa ancora slegata (per ragioni anagrafiche, soprattutto) da un modello culturale che ormai vive di milioni di individui chiusi nelle proprie armature e costretti a sgomitare per avere gratificazioni di qualsiasi tipo, dall'alimentare al sessuale. Io non mi sono stupito tanto, loro sì. Il problema è evidentemente più mio che loro.
La messa in scena, dicevo... bei piani sequenza e buone prove d'attore, interni significativamente claustrofobici ed esterni labirintici e molto urbani. Bravo McQueen, a parte un'omonimìa francamente eccessiva...
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franzrosebud
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martedì 2 ottobre 2012
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desiderio ossessivo di carne e di morte
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Brandon, trentacinque anni, uomo d’affari, New York. Dipendente dal sesso. Riviste, internet, prostitute, incontri occasionali. Un uomo malato e conscio di esserlo. Si disprezza Brandon, detesta la sua natura incontrollata e incontrollabile, che lo spinge all’emarginazione sentimentale, impossibilitato ad avere dei rapporti normali ed emozionali. L’arrivo della sorella Sissy potrebbe salvarlo, e invece crea ancora più attrito («Sei un peso per me»), guidandolo in una metaforica discesa negli inferi (la scena del club sotterraneo omosessuale) mentre la sorella si taglia i polsi.
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Brandon, trentacinque anni, uomo d’affari, New York. Dipendente dal sesso. Riviste, internet, prostitute, incontri occasionali. Un uomo malato e conscio di esserlo. Si disprezza Brandon, detesta la sua natura incontrollata e incontrollabile, che lo spinge all’emarginazione sentimentale, impossibilitato ad avere dei rapporti normali ed emozionali. L’arrivo della sorella Sissy potrebbe salvarlo, e invece crea ancora più attrito («Sei un peso per me»), guidandolo in una metaforica discesa negli inferi (la scena del club sotterraneo omosessuale) mentre la sorella si taglia i polsi.
Brandon è una piccola amnesia della vita. Un uomo assente, fumoso, nel quale la malattia è solo una parte del suo squallore. Steve McQueen tratteggia un personaggio penoso, che non ispira alcun sentimento se non, appunto, pena e infelicità. Ecco, forse è proprio questa la parola: infelice. Il passato, che si intuisce essere stato problematico per entrambi i fratelli, piomba nella sua vita nella figura di Sissy, l’unica che riesce a strappargli una lacrima di emozione, nella splendida scena in cui canta una sofferta e struggente New York, New York. Il resto è assenza, è corpo, è morte. Un desiderio ossessivo di carne che non riempie, ma svuota, non colora, ma cancella, non scalda, ma congela. Non è un caso che nell’unica speranza di un rapporto normale, scandito dal primo appuntamento, da chiacchere, risate, semplicità, il protagonista vada in bianco. Una scena di una tristezza inaudita: i sentimenti come ostacolo. Un battito d’amore che suona come l’ascia di un boia.
McQueen inserisce Brandon e il suo carico di nulla in una New York bellissima e luccicante, dipinta attraverso una splendida fotografia. L’appartamento del protagonista è moderno, pulito, di un architettura senz’anima e senza calore. Freddo e disaccato, come senza ossigeno, l’ambiente e la personalità di Brandon si fondono in un tutt’uno, compiendo un’ interessante contrapposizione tra ciò che dovrebbe arroventare (il sesso) e l’effetto che invece ne deriva: una raggelante forma di affetto, una sorta di contatto corporeo estraniante senza alcun coinvolgimento emotivo che non può che portare all’autodistruzione.
Tutto questo sarebbe impossibile da rappresentare senza due variabili: l’indubbia eleganza stilistica di McQueen e la straordinaria interpretazione di Michael Fassbender (Coppa Volpi a Venezia).
Il regista inglese dimostrò in Hunger di avere un innato talento nell’accostare uno stile garbato e colmo di finezza ad un contesto duro e sporco come quello di una prigione. Anche qui, non scadendo mai nella volgarità, riesce a muoversi sinuosamente sull’orlo dell’abisso, con grazia e maestria, accostando immagini e musiche (una colonna sonora incantevole, di una malinconia esplosiva) in un esperimento sonoro di grande impatto. L’attore irlandese, probabilmente uno dei più talentuosi nel panorama mondiale odierno, lavora splendidamente sull’espressività celata, sul dettaglio e sull’interiorizzazione e sull’annullamento dei sentimenti. Una recitazione che nasconde più che mostrare, per poi esplodere nel finale in un pianto che non ha nulla di liberatorio. Lacrime di un uomo che si è visto per la prima volta allo specchio e si è accorto di essere un mostro.
Shame è un film provocante ma non scandaloso. Le scene, i nudi, sono un pretesto per mostrare un uomo moderno, per il quale il sesso è solo una delle tante droghe che potrebbero imprigionarlo. Un consumatore di morte. E il film, così esplicito, ha il merito di nascondere ciò che più di ogni altra cosa dovrebbe essere chiara: la fine. Sta a noi decidere di salvare Brandon, oppure di mollare la presa e lasciarlo precipitare. Forse, per dimostrarci davvero diversi, dovremmo afferrare quella mano e stringere forte.
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(di irene)
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yiasemi
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giovedì 30 agosto 2012
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disagio e fragilità
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Quando ripenso al film, la prima cosa che mi viene in mente è la solitudine. Una solitudine lacerante, paradossalmente cercata e voluta da Brandon che intorno a sè crea un vuoto immenso dove non c'è spazio per affetti e relazioni che vadano al di là della più pura superficialità . Gli fa da contraltare la sorella con il suo disperato bisogno d'amore che non riesce a colmare e che precipita in un'ossessione feroce che la porta, ogni volta, a implorare attenzione e affetto all'amante di turno. Sono complementari, rispecchiano una fragilità di fondo che trova canali diversi per esprimersi (lei si lascia dominare dalle emozioni) e reprimersi (lui fa di tutto per dominarle).Non ho potuto fare a meno di chiedermi come fosse la loro famiglia e come fossero cresciuti.
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Quando ripenso al film, la prima cosa che mi viene in mente è la solitudine. Una solitudine lacerante, paradossalmente cercata e voluta da Brandon che intorno a sè crea un vuoto immenso dove non c'è spazio per affetti e relazioni che vadano al di là della più pura superficialità . Gli fa da contraltare la sorella con il suo disperato bisogno d'amore che non riesce a colmare e che precipita in un'ossessione feroce che la porta, ogni volta, a implorare attenzione e affetto all'amante di turno. Sono complementari, rispecchiano una fragilità di fondo che trova canali diversi per esprimersi (lei si lascia dominare dalle emozioni) e reprimersi (lui fa di tutto per dominarle).Non ho potuto fare a meno di chiedermi come fosse la loro famiglia e come fossero cresciuti...ma anche come fosse stato il rapporto tra loro due...nel loro incontrarsi/scontrarsi c'è qualcosa che sembra rimandare ad un abisso inconfessabile... la famiglia è una gran bella cosa, ma spesso crea "mostri" e disagi affettivi impensabili. Magnifica la colonna sonora. Struggente l'accostamento tra musica classica nelle cuffie e il jogging serale per la città (in cui Brandon si precipita dopo essere tornato a casa e aver sentito la sorella ed il suo capo a letto insieme).Non ci sono parole per la scena finale: lui in metro che osserva la donna che gli si offre sorridente e sembra guardarsi dentro ed interrogarsi per la prima volta...grande Fassbender!
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