beatrice fiorentino
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martedì 17 gennaio 2012
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le prigioni di steve mcqueen
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Quanti sguardi tristi in questo film, opera seconda dell’inglese Steve McQueen, classe ’69, videoartista e scultore approdato al cinema nel 2008 con il film rivelazione Hunger.
Tanti personaggi smarriti per un film che è molto più angosciante che “erotico” (nonostante l’ingiustificato clamore suscitato dalle scene più esplicite).
Shame è la fotografia sobria e minimale della vita solitaria di un uomo che potrebbe avere tutto e che invece non ha niente. Distante dalle abili strategie di conquista messe in atto da Valmont o dall’ironia pervasiva del Bertrand Morane de L’uomo che amava le donne, Brandon Sullivan (un intenso Michael Fassbender) non ama né seduce, chiuso com’è in quella sua prigione fatta di una serie infinita quanto insoddisfacente di rapporti sessuali, orgasmi, chat erotiche e pornografia di ogni genere, alla ricerca compulsiva di quell’attimo di oblio che gli offre la “piccola morte”.
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Quanti sguardi tristi in questo film, opera seconda dell’inglese Steve McQueen, classe ’69, videoartista e scultore approdato al cinema nel 2008 con il film rivelazione Hunger.
Tanti personaggi smarriti per un film che è molto più angosciante che “erotico” (nonostante l’ingiustificato clamore suscitato dalle scene più esplicite).
Shame è la fotografia sobria e minimale della vita solitaria di un uomo che potrebbe avere tutto e che invece non ha niente. Distante dalle abili strategie di conquista messe in atto da Valmont o dall’ironia pervasiva del Bertrand Morane de L’uomo che amava le donne, Brandon Sullivan (un intenso Michael Fassbender) non ama né seduce, chiuso com’è in quella sua prigione fatta di una serie infinita quanto insoddisfacente di rapporti sessuali, orgasmi, chat erotiche e pornografia di ogni genere, alla ricerca compulsiva di quell’attimo di oblio che gli offre la “piccola morte”. Niente amici, niente gioia, nessun rapporto stabile e la desolante incapacità di averne. Un appartamento da single curato ma asettico, un lavoro descritto poco più che come spazio fisico, pochi momenti di apparente normalità che mal celano il dramma esistenziale di quest’uomo.
Fanno capolino la sorella Sissy (Carey Mulligan), anima fragile e bisognosa d’amore, e Marianne (Nicole Beharie) la bella collega che offre a Brandon, senza successo, l’occasione di una vita e un rapporto normali.
Chissà in quale passato affonda le origini tanta sofferenza, il male di vivere dei fratelli Sullivan, che come non manca di sottolineare Sissy “non sono cattivi, vengono solo da un brutto posto”, un posto che non ci è dato conoscere e di cui possiamo solamente constatare gli effetti.
Nessuna via di fuga. Neanche il bellissimo carrello con cui seguiamo Brandon nella sua affannosa e cieca corsa notturna sulle note circolari di J.S. Bach, in una NY fredda e indifferente, riesce a stemperare la rabbia, lasciandoci senza fiato in una sequenza che sta, nella storia del cinema, al lato opposto dell’ultima inquadratura de I Quattrocento colpi in cui Truffaut accompagna il suo Antoin Doinel verso la libertà. Analogamente la struggente versione di “New York, New York” cantata da Sissy in un club, sovvertendo completamente l’ottimismo del sogno americano, è antitetica alla carica di esplosiva vitalità trasmessa dall’interpretazione di Liza Minelli nell’omonimo film di Scorsese.
McQueen realizza un’opera raffinata e calibrata in cui si respira l’atmosfera opprimente dei romanzi di Bret Easton Ellis (più che in altre pellicole direttamente tratte dai suoi romanzi). A sorreggerne l’abile regia, la fotografia livida curata da Sean Bobbitt e il lavoro di Harry Escott, che ha realizzato per questo film una colonna sonora splendida. Sia la scelta dei brani musicali che la composizione di un tema che mette i brividi, fanno crescere un’ossessione che ci fa scivolare sempre più giù fino all’ultimo disperato amplesso a tre in cui il volto di Brandon si trasforma in una tragica maschera di dolore.
Impossibile non riscontrare una continuità stilistica e tematica con il precedente film Hunger, in cui il protagonista Bobby Sands, militante dell’IRA morto nel carcere di Maze in seguito allo sciopero della fame proclamato per riottenere lo status di prigioniero politico, utilizzava il proprio corpo come strumento per affermare la “libertà dell’anima”. L’esatto contrario del prestante Brandon, che pur essendo libero nel paese delle libertà, trova nel suo corpo la propria prigione.
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osteriacinematografo
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mercoledì 18 luglio 2012
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il sesso come dolore e assuefazione
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“Shame”, opera seconda del regista inglese Steve McQueen, è l’impietosa e glaciale rappresentazione cinematografica della vita di Brandon, un controverso single newyorkese: da un lato è un brillante e disinvolto uomo d’affari, dall’altro una persona arida e solitaria, incapace di coinvolgimenti emotivi, dedita al sesso in modo compulsivo e incontrollabile.
Brandon conduce un’esistenza asettica e squallida, in cui il sesso viene vissuto e “utilizzato”come valvola di sfogo, come unico linguaggio possibile, come via di fuga da un tempo che diviene schiavitù, come frenesia di colmare un vuoto costante e impossibilità di affrontare affettivamente una relazione. L’uomo riduce ogni cosa all’atto sessuale, atto nel quale inizia e termina ogni suo rapporto con il prossimo (e forse con se stesso).
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“Shame”, opera seconda del regista inglese Steve McQueen, è l’impietosa e glaciale rappresentazione cinematografica della vita di Brandon, un controverso single newyorkese: da un lato è un brillante e disinvolto uomo d’affari, dall’altro una persona arida e solitaria, incapace di coinvolgimenti emotivi, dedita al sesso in modo compulsivo e incontrollabile.
Brandon conduce un’esistenza asettica e squallida, in cui il sesso viene vissuto e “utilizzato”come valvola di sfogo, come unico linguaggio possibile, come via di fuga da un tempo che diviene schiavitù, come frenesia di colmare un vuoto costante e impossibilità di affrontare affettivamente una relazione. L’uomo riduce ogni cosa all’atto sessuale, atto nel quale inizia e termina ogni suo rapporto con il prossimo (e forse con se stesso).
Brandon posa il suo sguardo languido su ogni donna, e, nella “maledizione” che lo condanna, l’impersonale universo femminile cui si rivolge capta inevitabilmente quel suo contorto e irresistibile magnetismo di segno negativo. Le prostitute rappresentano la spezia ideale, che concede di vivere rapidamente e intensamente la carnalità senza il boomerang di un rapporto umano che lui non potrebbe sostenere.
Egli tollera a stento perfino il torbido rapporto con la sorella (Carey Mulligan), una giovane e fragile donna, il cui bisogno estremo di affettività la spinge a concedersi a uomini cui vorrebbe affidare la vita stessa. Anche lei utilizza il sesso in modo istintivo, ma le sue motivazioni sono opposte rispetto al fratello: per Sissy, questo tipo di approccio rappresenta uno strumento di accesso facilitato alle persone cui vorrebbe legarsi, in un procedimento illusorio che diviene l’anticamera dell’autolesionismo.
Michael Fassbender interpreta magistralmente il protagonista del film, prestando ogni singola piega espressiva del viso e del corpo a un personaggio complicato, fastidioso, irrisolto.
Il sesso, in “Shame”, diventa dolore e assuefazione, impedisce di sentire, amare, corrispondere, costringendo ai gesti più estremi, agli ambienti più infimi, all’evidenza del rischio, alle prove più assurde, a visi sconosciuti e inconoscibili, in una città come New York che tutto permette e nasconde, che non pone limiti di coscienza, che muta ad ogni angolo, che consente di agire senza pause, di non smettere mai, di indossare ogni giorno una nuova maschera senza complicazioni di sorta.
McQueen mostra Brandon e Sissy come le due facce arrugginite della stessa medaglia, che nasconde a fatica i segni di un’usura profonda e remota, legata forse all’infanzia, che s’intravede appena, come un’ombra pallida e indefinibile.
Il finale resta sospeso nello sguardo tentennante e metropolitano di Fassbender e in un corpo femminile che vacilla e freme, prima che la vicenda sprofondi nel tetro abisso della solitudine da cui era emerso.
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[+] new york come il mondo
(di enricofermi)
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writer58
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domenica 29 gennaio 2012
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lo straniero
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New Iork, 2011. Brandon è un trentenne affermato, bello, che si muove con disinvoltura nei paesaggi urbani della "Grande Mela". E' un uomo affascinante, che sa di piacere alle donne, ma non riesce a stabilire un rapporto stabile con loro, le "consuma" come fossero aperitivi da 25 dollari l'uno ordinati in un locale elegante. In realtà, i problemi di Brandon (un ottimo Fassbender) non sono solo circoscritti alla sfera del sesso, di cui è dipendente, ma attengono alla sfera delle relazioni, al suo rapporto con la realtà. Come in tutte le dipendenze, lui cerca oggetti sostitutivi per coprire il proprio "mal di vivere", la sua inadeguatezza a stabilire un rapporto soddisfacente con gli investimenti e gli oggetti significativi.
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New Iork, 2011. Brandon è un trentenne affermato, bello, che si muove con disinvoltura nei paesaggi urbani della "Grande Mela". E' un uomo affascinante, che sa di piacere alle donne, ma non riesce a stabilire un rapporto stabile con loro, le "consuma" come fossero aperitivi da 25 dollari l'uno ordinati in un locale elegante. In realtà, i problemi di Brandon (un ottimo Fassbender) non sono solo circoscritti alla sfera del sesso, di cui è dipendente, ma attengono alla sfera delle relazioni, al suo rapporto con la realtà. Come in tutte le dipendenze, lui cerca oggetti sostitutivi per coprire il proprio "mal di vivere", la sua inadeguatezza a stabilire un rapporto soddisfacente con gli investimenti e gli oggetti significativi. Sua sorella Sissy, che lo raggiunge e s'installa nel suo appartamento a Manhattan, costituisce un po' il suo negativo fotografico. E' dipendente dai rapporti affettivi che instaura, anche quelli occasionali ed effimeri, è incapace di vivere la solitudine senza provare sensazioni di abbandono e di perdita devastanti. La città, in qualche modo, alimenta le loro patologie: i rapporti si estinguono nello spazio di una serata, dalla conoscenza in un bar al frettoloso amplesso consumato a ridosso di un muro o in un'anonima stanza di hotel; la richiesta di prestazioni sessuali (a pagamento o gratuite) sostituisce il piacere (e la fatica) degli investimenti affettivi; la disponibilità a fare sesso procede di pari passo con lo svuotamento di contenuti e di senso delle relazioni.
"Shame" narra la discesa dei due fratelli verso il purgatorio della compulsione con un linguaggio elegante e, a tratti, ispirato. Le scene sono accurate e i dialoghi non banali. La fotografia appare molto curata e la scelta dei colori è adeguata all'inverno atmosferico e psicologico della città e dei protagonisti.
Tuttavia, anche se la caduta di Brandon è rappresentata efficacemente (anche con primi piani del suo volto che manifesta angoscia e sgomento durante un amplesso), il film risente di un approccio moralistico che lo appesantisce nel finale. Brandon viene picchiato in un bar dal compagno di una donna che aveva "avvicinato", si concede un fugace rapporto omosessuale in un ritrovo di gay e la sorella tenta il suicidio. Sembra quasi che il regista abbia voluto suggerire che la perversione debbe essere necessarianente essere accompagnata da una punizione e che la vergogna ("shame") sia il destino di chi evita di affrontare i propri conflitti interiori. Messaggio che stride con la diffusione planetaria delle dipendenze, diffusione che pare integrarsi alla perfezione con lo stile di vita e le aspettative sociali di questa fase storica dell'occidente.
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24luce
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sabato 10 settembre 2011
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shame
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SHAME
Shame, un film che nel titolo richiama il biblico sesso come vergogna per la perduta innocenza, per la quale i nostri progenitori- secondo il cattolicesimo- subirono la cacciata dal Paradiso Terrestre . Steve McQueen in conferenza stampa a Venezia lo definisce un lavoro di indagine sulla dipendenza dal sesso.Ci si aspetterebbe che un film su di un fenomeno così diffuso in politica, oltre a descriverlo, provasse a spiegarlo. Per Brandon, il trentenne protagonista, il sesso è una pratica da attuare con la massima efficienza. E' l' efficientismo, che ha fatto di lui un mietitore di successi sul lavoro, e della sua casa una macchina ben oliata, dove tutto funziona e nulla è fuori posto, lo trasferisce ai rapporti sessuali.
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SHAME
Shame, un film che nel titolo richiama il biblico sesso come vergogna per la perduta innocenza, per la quale i nostri progenitori- secondo il cattolicesimo- subirono la cacciata dal Paradiso Terrestre . Steve McQueen in conferenza stampa a Venezia lo definisce un lavoro di indagine sulla dipendenza dal sesso.Ci si aspetterebbe che un film su di un fenomeno così diffuso in politica, oltre a descriverlo, provasse a spiegarlo. Per Brandon, il trentenne protagonista, il sesso è una pratica da attuare con la massima efficienza. E' l' efficientismo, che ha fatto di lui un mietitore di successi sul lavoro, e della sua casa una macchina ben oliata, dove tutto funziona e nulla è fuori posto, lo trasferisce ai rapporti sessuali. Nelle sue pratiche sessuali la partner è un oggetto da pagare perchè esegua ordini finalizzati. Oppure è consenziente per una sveltina dopocena, in un angolo di strada poco illuminato. Atteggiamento che nasce da lontano, dalla masturbazione fisica protratta senza tregua oltre i comprensibili ambiti adolescenziali. Per una smisurata paura di confrontarsi con una donna? Non si sa. Brandon scappa in bagno a masturbarsi anche durante le ore di lavoro, intervallate da chat erotiche su Internet (col progredire della tecnica la masturbazione si è fatta anche virtuale). Non lo sfiora l'idea che il sesso che strumentalizza l'altro-sorretto da una filosofia del tipo “se non ci fosse la partner si farebbe prima”- lungi da portare piacere, si riduce a una mera ginnastica inappagante e via via più faticosa, più ancora delle corse notturne esagerate che fa per stancarsi e non pensare. McQueen non ci fa mancare neppure la scena di un rapporto a tre, con i giusti effetti flu antivolgarità.
Considerando Shame come documentario, gli si deve riconoscere una grande ricercatezza formale e una giusta scelta dell'attore, un Fassbender bello e scattante, un corpo che regge le scene di nudo.
Il vuoto di significati trasmette però un senso di ineluttabilità della tragedia nei rapporti uomo donna. La sessuofobia della bibbia che trionfa dopo millenni? Il personaggio femminile della sorella Sissy, interpretata da Carey Mulligan, è assai imèrobabile . Riesce ad essere cantante di grande sensibilità e bravura, capace di reinventare, in versione deeply blues, New York New York, (per inciso l'unica sequenza scenica seduttiva di “Shame”). Come fa ad essere così cieca da ostinarsi a chiedere aiuto ad uno di cui conosce benissimo l'anaffettività? E soprattutto a tagliarsi le vene per la delusione? Il rosso vivo del sangue accende di una luce di morte il grigio imperante del film.
E le altre donne descritte? Ragazze giovani che lo adescano in metropolitana; lavoratrici del sesso che gli vanno a casa nei ristretti tempi che il nostro si ritaglia fra una masturbazione ed una chat erotica al computer. L'unica donna che si muove con vero interesse verso di lui, una collega di lavoro, si addossa l'insuccesso del rapporto sessuale sparendo in tutta fretta. Vergognosa per il fallimento di una prestazione, che andrebbe invece apprezzato per il barlume di rapporto che Brandon è riuscito, almeno con lei, ad instaurare, e che per questo lo rende incapace di violentarla.
LUCIA EVANGELISTI
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(di aragornvr)
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(di giovanni semeria)
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renato volpone
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sabato 14 gennaio 2012
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la morte dei sentimenti
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Il film e' durissimo e racconta dell'incapacità di oggi di vivere sane relazioni umane. Il mondo del consumismo, anche sessuale, dell'individualismo, dell'era digitale, isola le persone impossibilitandole a costruire relazioni sociali, amicali, affettive di un certo rilievo. Brandon e sissy, fratello e sorella, vivono questo distacco sofferente, amandosi e odiandosi, ricercando uno il contino sfogo sessuale e l'altra surrogati disastrosi di relazioni affettive. Si riabbracceranno dolorosamente nel dramma senza davvero incontrarsi mai col cuore: "non siamo cattivi, veniamo da un posto cattivo". film grandioso, ma non per tutti, sfrontato, sessualmente disinibito, pochi dialoghi ma profondi, bellissima la musica, grandiosa la versione di "new York new York" cantata da sissy.
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Il film e' durissimo e racconta dell'incapacità di oggi di vivere sane relazioni umane. Il mondo del consumismo, anche sessuale, dell'individualismo, dell'era digitale, isola le persone impossibilitandole a costruire relazioni sociali, amicali, affettive di un certo rilievo. Brandon e sissy, fratello e sorella, vivono questo distacco sofferente, amandosi e odiandosi, ricercando uno il contino sfogo sessuale e l'altra surrogati disastrosi di relazioni affettive. Si riabbracceranno dolorosamente nel dramma senza davvero incontrarsi mai col cuore: "non siamo cattivi, veniamo da un posto cattivo". film grandioso, ma non per tutti, sfrontato, sessualmente disinibito, pochi dialoghi ma profondi, bellissima la musica, grandiosa la versione di "new York new York" cantata da sissy. Fotografia e sceneggiatura veramente al top. Da non perdere per chi ama sondare l'animo umano anche nelle situazioni più borderline, che diventano sempre più diffuse e quotidiane.
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andrea giostra
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martedì 4 marzo 2014
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triste, angosciante e claustrofobico.
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La “Sexual addiction” sembra essere solo il pretesto che Steve McQueen utilizza in questo film per raccontare la prigionia mentale di un giovane uomo newyorkese, attraente e ricco, vittima delle sue angoscianti compulsioni comportamentali finalizzate all’atto sessuale meccanico e soffocante al contempo. Non c’è alcun piacere, né fisico né mentale, nel rincorrere compulsive e incontrollabili eccitazioni e copulazioni depersonalizzate. Solo tormento e solitudine inconfessabili, anche a se stessi, che conducono inesorabilmente Michael Fassbender verso un altrettanto terribile e schizofrenico sdoppiamento di personalità divisa tra una fragile intimità che anela apatica affetto sincero, e un robotico porno-agire che gli svuota l’anima e la vita sociale e familiare.
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La “Sexual addiction” sembra essere solo il pretesto che Steve McQueen utilizza in questo film per raccontare la prigionia mentale di un giovane uomo newyorkese, attraente e ricco, vittima delle sue angoscianti compulsioni comportamentali finalizzate all’atto sessuale meccanico e soffocante al contempo. Non c’è alcun piacere, né fisico né mentale, nel rincorrere compulsive e incontrollabili eccitazioni e copulazioni depersonalizzate. Solo tormento e solitudine inconfessabili, anche a se stessi, che conducono inesorabilmente Michael Fassbender verso un altrettanto terribile e schizofrenico sdoppiamento di personalità divisa tra una fragile intimità che anela apatica affetto sincero, e un robotico porno-agire che gli svuota l’anima e la vita sociale e familiare. Il film è come la storia narrata: triste, angosciante e claustrofobico. E se questo è l’obiettivo di McQueen, allora il prodotto è ottimamente servito.
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numenoreano
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sabato 11 febbraio 2012
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voyeurismo kafkiano
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Non è solo la storia di un erotomane cronico, ma è anche il manifesto dell'inquietudine dell'uomo contemporaneo. Un moderno personaggio kafkiano (un ottimo Fassbender) il quale, nascosto nel suo personale usbergo (il suo appartamento) in difesa della sua voyeuristica intimità, come un'automa riceve stimoli freddi dal mondo facile di internet e, senza rendersene conto, alimenta un vortice di egoismo e solitudine.
La sua sconosciuta vita precedente lo ha portato a vivere distaccato la monotonia di ogni cosa, rapporti interpersonali e lavoro, come se fossero anonime figure uscite da un quadro di Magritte che fanno da evanescente contorno alla sua dipendenza; dipendenza da soddisfare ovunque ed in ogni modo.
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Non è solo la storia di un erotomane cronico, ma è anche il manifesto dell'inquietudine dell'uomo contemporaneo. Un moderno personaggio kafkiano (un ottimo Fassbender) il quale, nascosto nel suo personale usbergo (il suo appartamento) in difesa della sua voyeuristica intimità, come un'automa riceve stimoli freddi dal mondo facile di internet e, senza rendersene conto, alimenta un vortice di egoismo e solitudine.
La sua sconosciuta vita precedente lo ha portato a vivere distaccato la monotonia di ogni cosa, rapporti interpersonali e lavoro, come se fossero anonime figure uscite da un quadro di Magritte che fanno da evanescente contorno alla sua dipendenza; dipendenza da soddisfare ovunque ed in ogni modo.
Invece di giocare con ossessive inquadrature come farebbe il miglior Polanski, questo omonimo regista del più celebre McQueen trasmette ossessione con un ottimo studio del sonoro, con una fotografia fredda come un coltello, liscia e vagamente patinata. Ancora di più con una messa in scena blasé del sesso, come se i fornicanti fossero robot o insetti senz'anima ed il ritmo martellante ed insistente dell'amplesso fosse il ticchettio di un freddo orologio. Si può guarire? Non è detto che lo si voglia. Comunque nessuna certezza, di scampo e di finale. Un film coraggioso che vale, senza standing ovation finale, il prezzo del biglietto.
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hidalgo
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domenica 19 febbraio 2012
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un uomo disperato
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Sullo sfondo di una New York grigia, Fassbender è lo strepitoso protagonista di un film estremo e disperato, terribilmente reale e realistico nelle scene e nel linguaggio, diretto magistralmente da un McQueen talmente maniacale nelle inquadrature che non ci sarebbe nemmeno bisogno dei dialoghi per capire pensieri e stati d'animo dei vari personaggi. I primi piani, specialmente quelli di Fassbender, trasmettono ansia, inquietudine e pietà per un uomo malato di sesso, incapace di fare l'amore e per questo schiavo della pornografia sia online che reale. Un film duro, curato nei minimi particolari, dove anche le musiche hanno un ruolo fondamentale e i personaggi sono ben definiti.
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Sullo sfondo di una New York grigia, Fassbender è lo strepitoso protagonista di un film estremo e disperato, terribilmente reale e realistico nelle scene e nel linguaggio, diretto magistralmente da un McQueen talmente maniacale nelle inquadrature che non ci sarebbe nemmeno bisogno dei dialoghi per capire pensieri e stati d'animo dei vari personaggi. I primi piani, specialmente quelli di Fassbender, trasmettono ansia, inquietudine e pietà per un uomo malato di sesso, incapace di fare l'amore e per questo schiavo della pornografia sia online che reale. Un film duro, curato nei minimi particolari, dove anche le musiche hanno un ruolo fondamentale e i personaggi sono ben definiti. Fassbender è un uomo solo con i suoi problemi, vive una vita "segreta" in cui non c'è spazio per i sentimenti ma solo per il sesso che consuma avidamente con una bionda conosciuta (?) in un locale, mentre non riesce ad avere un rapporto "normale" con la ragazza di colore con la quale sembrava potesse nascere qualcosa. L'unica che a suo modo prova, o crede di provare, a stargli vicino è la sorella, ma anche lei è una vittima della vita, una ragazza disperata e carica di problemi ben più gravi di quelli del fratello. McQueen non da "risposte" allo spettatore, racconta la tragedia umana e psicologica di un uomo consapevolo del suo stato, consapevole del fatto che nessuno può capirlo ma solo giudicarlo, che desidera, che brama la donna come un predatore affamato. E alla fame non si comanda. La fine è come l'inizo: stessa scena, stesso primo piano che vale più di mille parole, stesso sguardo fisso sulla stessa donna. La storia continua.
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cinemascoop.altervista.org
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giovedì 19 gennaio 2012
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quando il sesso non è un piacere ma una dipendenza
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Shame di Steve McQueen (regista inglese di colore omonimo del più famoso attore spericolato degli anni settanta/ottanta). Il protagonista assoluto è Michael Fassbender che interpreta un uomo malato di sesso. Proprio così. Il sesso è vissuto da Brandon non come fonte di piacere o come frutto di una profonda affettività ma come grido di dolore, di sofferenza, di rabbia. Il sesso è una necessità da soddisfare continuamente. Brandon rifiuta totalmente ogni accenno di amore inteso come sentimento da condividere. L’unica volta che si ritrova in procinto di fare l’amore con la collega di lavoro con cui riscontra una certa affinità e con la quale si scopre capace di provare un affetto sincero ecco che si blocca e non riesce ad andare oltre.
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Shame di Steve McQueen (regista inglese di colore omonimo del più famoso attore spericolato degli anni settanta/ottanta). Il protagonista assoluto è Michael Fassbender che interpreta un uomo malato di sesso. Proprio così. Il sesso è vissuto da Brandon non come fonte di piacere o come frutto di una profonda affettività ma come grido di dolore, di sofferenza, di rabbia. Il sesso è una necessità da soddisfare continuamente. Brandon rifiuta totalmente ogni accenno di amore inteso come sentimento da condividere. L’unica volta che si ritrova in procinto di fare l’amore con la collega di lavoro con cui riscontra una certa affinità e con la quale si scopre capace di provare un affetto sincero ecco che si blocca e non riesce ad andare oltre. Preferisce (o si trova costretto) fare sesso magari a pagamento ma senza nessun coinvolgimento emotivo. L’unico rapporto affettivamente profondo è con la sorella (Carey Mulligan) con cui condivide temporaneamente il suo appartamento a New York. Una vita triste, cupa, insoddisfatta porta Brandon a soffrire e a tormentarsi. Ha bisogno di masturbarsi, di circondarsi di pornografia via internet, di sesso intenso ogni minuto della giornata. La fotografia scura che ritrae Brandon a spasso in una New York notturna rende l’idea della solitudine e dell’emarginazione tutta interiore. Il film è drammatico ma non melodrammatico. Le numerose scene di sesso esplicito sono girate con un occhio che trasmette pura fisicità ma nessun erotismo. Un mero esercizio di sfogo fisiologico e psicologico che non sfocia mai in amore o sentimento. Michael Fassbender ha ricevuto a Venezia la Coppa Volpi come migliore interprete maschile per questo personaggio intrigante e sofferente. Sofferente di una malattia di cui non si conosce la cura. La forte sessualità vissuta come necessità e non come conseguenza di un sentimento profondo porta l’essere ad un baratro che sprofonda all’infinito. Un film intenso che cattura e fa riflettere.
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mario conti
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giovedì 26 aprile 2012
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ferisce, il sesso in testa
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Perturbabilissime anime candide si concentrano sulla visione frontale del fallo di Fassbender. E' lo stupore un po' beota di chi guarda il dito (beh, non proprio) anziché la luna.
Ma in "Shame" non c'è sesso. C'è una genitalità rituale eppur consapevole, c'è l'ostinata ricerca di un non senso all'interno di una vita che lo ha perso, dal primo vagito.
Allora diciamola tutta: scopare con pezzi di carne senza anima e parole, masturbarsi all'ora del break, accendere distrattamente il computer e posizionarlo sulle chat erotiche mentre due bacchette violano l'ordine di un cartoccio di cibi precotti, equivale ad un qualsiasi nostro rituale, di noi che ci riteniamo normali. Corrisponde ai pomeriggi con la Venier, alle domeniche con Del Piero, alle feste comandate, alle torte, alle candeline, ai conati di felicità.
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Perturbabilissime anime candide si concentrano sulla visione frontale del fallo di Fassbender. E' lo stupore un po' beota di chi guarda il dito (beh, non proprio) anziché la luna.
Ma in "Shame" non c'è sesso. C'è una genitalità rituale eppur consapevole, c'è l'ostinata ricerca di un non senso all'interno di una vita che lo ha perso, dal primo vagito.
Allora diciamola tutta: scopare con pezzi di carne senza anima e parole, masturbarsi all'ora del break, accendere distrattamente il computer e posizionarlo sulle chat erotiche mentre due bacchette violano l'ordine di un cartoccio di cibi precotti, equivale ad un qualsiasi nostro rituale, di noi che ci riteniamo normali. Corrisponde ai pomeriggi con la Venier, alle domeniche con Del Piero, alle feste comandate, alle torte, alle candeline, ai conati di felicità.
Guardare, per credere, il lungo, spossante, meraviglioso, straniante (nel quieto e fastidioso candore del cameriere che snocciola i topoi della cena - della vita - "come deve essere") piano sequenza al ristorante.
Ci sono due corpi, due menti che non si incontreranno mai.
Il dramma è questo: la consapevolezza della propria unicità malata e dell'impossibilità di armonizzarla con chi sia disposto ad aprirsi ad essa, senza mai poterla capire fino in fondo.
Come con i legami familiari. "Tu sei soltanto mia sorella. Io non ti ho messo al mondo". Non ci si può occupare e preoccupare dei corpi altrui, se non bruciarli in un uso reciprocamente (e ferinamente) snob. Fino alla fine, fino al sangue, che lacera vene e ferite dell'anima che si pensavano già cauterizzate.
Da"Shame" esala un quasi inebriante odore di morte. E' facile capirlo. Meno facile, più doloroso, è capire che nei primi piani (facciali) del superbo Fassbender ci siamo noi e la nostra vita, e la ricerca di quel salto nell'infinito che solo una mezzora di oblio può (non) dare.
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