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angelo umana
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venerdì 31 ottobre 2014
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bello ricco emigrato new york
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‘Bello, ricco, emigrato…’ a New York dall’Irlanda avrebbe bisogno di una famiglia o di qualcuno di cui prendersi cura, ma non ne è ancora consapevole. Brandon vive solo in un bell’appartamento, è visitato da donne pagate e non, sta fuori quanto vuole e approfitta appena può di “scopate senza cerniera” (citazione da 'Paura di volare' di Erica Jong). La sua più lunga relazione è durata 4 mesi, confessa ad una collega d’ufficio che cercherebbe con lui una relazione stabile. Del resto Brandon non vede nessun attrattivo nelle coppie, basta osservarle sedute al ristorante dove i due si trovano: neanche si parlano, non hanno niente da dirsi e non può essere vero chesi capiscono anche senza parlare, come dice l’amica.
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‘Bello, ricco, emigrato…’ a New York dall’Irlanda avrebbe bisogno di una famiglia o di qualcuno di cui prendersi cura, ma non ne è ancora consapevole. Brandon vive solo in un bell’appartamento, è visitato da donne pagate e non, sta fuori quanto vuole e approfitta appena può di “scopate senza cerniera” (citazione da 'Paura di volare' di Erica Jong). La sua più lunga relazione è durata 4 mesi, confessa ad una collega d’ufficio che cercherebbe con lui una relazione stabile. Del resto Brandon non vede nessun attrattivo nelle coppie, basta osservarle sedute al ristorante dove i due si trovano: neanche si parlano, non hanno niente da dirsi e non può essere vero chesi capiscono anche senza parlare, come dice l’amica.
La famiglia a cui approderà è quella con Sissy, la sua giovane sorella un po’ sbandata, che canta in un locale notturno (perfetta e accorata una sua interpretazione di ‘New York New York’), che si è piazzata nella casa del single ed è da lui mal sopportata. Brandon evade, continua la sua ricerca di sesso, la cerca pure in ambienti omosessuali, così, perché non sa più dove trovar pace. Eppure è Sissy, paziente e disperata, che lo richiamerà a sé con l’ennesimo tentativo di suicidio. Gli aveva detto: Tu sei mio fratello, siamo una famiglia. Sempre arrabbiato, nessuno che ti ami. Se me ne andassi non ti faresti più sentire, non è una cosa triste?
E’ un film molto semplice che crea la continua attesa di un epilogo o almeno di uno sviluppo. A Hunger Michael Fassbender aveva prestato la faccia, ed era una storia di maggior peso. Anche qui però il suo viso osserva come da un angolino la realtà che lo attornia, una realtà on demand che costa cara, basta ordinarla e la si ottiene.
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gabriella
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martedì 16 febbraio 2016
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a single man
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La dipendenza di Brandon, affascinane trentenne, ha origini lontane e rimangono fumose per tutto il film. Il suo costante e reiterato bisogno di sesso, che non ha difficoltà a esercitare nei vari incontri in metropolitana o nei pub, chat erotiche , onanismo nel bagno di casa e dell’ufficio , è ossessivo e non gli produce nessun benessere o appagamento. Nessuna complicazione sentimentale nella sua vita, nessun affetto, fino a che gli piomba in casa la sorella minore Sissy, ragazza problematica e depressa, alla ricerca dell’uomo giusto che puntualmente si rivela sbagliato. La convivenza tra i due destabilizza l’equilibrio del fratello, costretto a confrontarsi con la sua parte nascosta, tanto lui è ermetico, tanto lei esterna il suo disagio anche se in maniera disordinata e confusa, così che i sentimenti esplodono in dissolvenze incrociate, la ricerca di armonia di lei e lacerazione della vita per lui che sembra essere condannato alla chiusura e al solipismo , una catena irreversibile e circolare che lo conduce sempre al punto di partenza.
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La dipendenza di Brandon, affascinane trentenne, ha origini lontane e rimangono fumose per tutto il film. Il suo costante e reiterato bisogno di sesso, che non ha difficoltà a esercitare nei vari incontri in metropolitana o nei pub, chat erotiche , onanismo nel bagno di casa e dell’ufficio , è ossessivo e non gli produce nessun benessere o appagamento. Nessuna complicazione sentimentale nella sua vita, nessun affetto, fino a che gli piomba in casa la sorella minore Sissy, ragazza problematica e depressa, alla ricerca dell’uomo giusto che puntualmente si rivela sbagliato. La convivenza tra i due destabilizza l’equilibrio del fratello, costretto a confrontarsi con la sua parte nascosta, tanto lui è ermetico, tanto lei esterna il suo disagio anche se in maniera disordinata e confusa, così che i sentimenti esplodono in dissolvenze incrociate, la ricerca di armonia di lei e lacerazione della vita per lui che sembra essere condannato alla chiusura e al solipismo , una catena irreversibile e circolare che lo conduce sempre al punto di partenza.
Il film di Steve Mc Quenn è un’opera intensa e ben realizzata con degli ottimi interpreti e una potente colonna sonora, ricco di lunghi e splendidi piani sequenza su Brandon con una telecamera sempre puntata,
che lo spia, lo pedina nei suoi movimenti, irrompe nei suoi spazi geometrici di relazione, lo insegue nel suo girovagare notturno in una New York di dolente bellezza immersa in un blu prussiano, una New York sussurrata ( come l’omonima canzone di Sissy al night club, che sembra non finire mai nella sua struggente bellezza, ma anche di disperato bisogno) ), con la verticalità dello skyline nel vuoto urbano delle sue notti solitarie. La stessa telecamera che si mette in disparte, incapace d’indagare, di approfondire quando Brandon è con la sorella, i dialoghi tra i due sono sempre presi di spalle, figure condensate nella loro immobilità al riverbero di un’antica sofferenza. Così come di spalle sono sempre i contatti fisici tra loro, Sissy che salta sulla schiena del fratello, che entra nel suo letto e lo abbraccia da dietro ( si insinua ma non si svela un rapporto ambiguo), ma il trascorso tra i due non è preso in esame. Mc Queen non intende analizzare Brandon e tantomeno suggerirgli una qualche terapia, non lo giudica né lo giustifica, si limita a osservarlo nel suo spingersi al massimo del vuoto, fino all’esplosiva e implosiva frenetica scena nel prefinale, un ottundimento e un torpore desolante e inquietante. Il film si chiude con una moltitudine di forse, nel suo finale sospeso che però non dà nessuna garanzia di sopravvivenza, solo una vaga speranza di una presa di coscienza che sembra raggiungerlo là, dove batte il cuore.
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christian liguori
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mercoledì 29 gennaio 2020
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il sesso e la psicologia secondo mcqueen e fassbender
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“Shame” è un film prodotto in Gran Bretagna nel 2011, diretto da Steve McQueen e con Michael Fassbender. La pellicola è stata presentata alla sessantottesima mostra del Cinema di Venezia.
Il regista Steve McQueen e l’attore Michael Fassbender hanno avuto il merito di affrontare nel 2011 nel film “Shame” (“Vergogna”) un argomento tanto delicato quanto complicato come la dipendenza dal sesso che, come ogni ossessione psicologica, va trattata con quella giusta dose di verità unitamente ad un tocco pregno di sensibilità.
Convenientemente ad una simile questione, il regista ci mostra dapprima la “natura fisica” del protagonista vittima del problema, attraverso la nudità integrale di un Fassbender in splendida forma fisica ed attorica, per poi allontanarsi dalla superficie, come si suol dire, per approdare nel profondo, nel suo mondo interiore, che fa fatica, peraltro, ad emergere, se non significativamente quando entra a contatto con un altro personaggio debole e fragile, ma più forte di lui, ovvero una donna, che inizialmente crediamo possa trattarsi di una prostituta o di una delle tante donne con cui ha rapporti sessuali, mentre invece è spiazzante la ritardante scelta rivelatrice del legame di parentela che non è il solo ad unirli.
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“Shame” è un film prodotto in Gran Bretagna nel 2011, diretto da Steve McQueen e con Michael Fassbender. La pellicola è stata presentata alla sessantottesima mostra del Cinema di Venezia.
Il regista Steve McQueen e l’attore Michael Fassbender hanno avuto il merito di affrontare nel 2011 nel film “Shame” (“Vergogna”) un argomento tanto delicato quanto complicato come la dipendenza dal sesso che, come ogni ossessione psicologica, va trattata con quella giusta dose di verità unitamente ad un tocco pregno di sensibilità.
Convenientemente ad una simile questione, il regista ci mostra dapprima la “natura fisica” del protagonista vittima del problema, attraverso la nudità integrale di un Fassbender in splendida forma fisica ed attorica, per poi allontanarsi dalla superficie, come si suol dire, per approdare nel profondo, nel suo mondo interiore, che fa fatica, peraltro, ad emergere, se non significativamente quando entra a contatto con un altro personaggio debole e fragile, ma più forte di lui, ovvero una donna, che inizialmente crediamo possa trattarsi di una prostituta o di una delle tante donne con cui ha rapporti sessuali, mentre invece è spiazzante la ritardante scelta rivelatrice del legame di parentela che non è il solo ad unirli. Appunto, i due sono entrambi vittima di se stessi, dei loro problemi, cosicché ad omologarli nella società è in un certo senso anche una personale vergogna. La vergogna della propria identità che, mentre nella sorella, interpretata magistralmente da una Carey Mulligan capace di farci innamorare del suo personaggio, destando grande tenerezza, si manifesta attraverso il tentativo di annullarla, anche fisicamente (ricerca del suicidio), riguardo il protagonista, invece, risiede nell’annullamento già avvenuto, perché dall’inizio alla fine il suo personaggio è asettico, freddo, anche quando fa sesso, come assuefatto da una vita vissuta con quella stessa finzione meccanica scandita dal ripetuto suono prodotto dal suo orgasmo che sembra scandire come un orologio, di tanto in tanto nel corso della pellicola, un tempo imprecisato, “freddo”, senza componente emozionale (appunto, il suo).
E a quanto pare al regista piace giocare sul tempo, considerando la sospensione della maggior parte delle scene, senza correre il rischio di rallentare la vicenda nel montaggio. Avrebbe forse potuto, però, mettere maggiormente in luce il rapporto tormentato dei due fratelli simili ma diversi, divisi e uniti, ma riduce a poche battute e sequenze quest’amabile immagine di apparente contrasto familiare. E infatti, sono questi i momenti più belli del film, insieme al necessario ma inaspettato crollo emotivo che pervade il protagonista verso la fine, al seguito di una parabola degenerativa che lo conduce ormai al sesso sfrenato e orgiastico con donne e uomini. Giungiamo poi ad una conclusione ciclica su quel treno visto, appunto, anche nei primi minuti del film, dopo l’immagine di Fassbender nudo, assorto, coperto quasi per metà da un lenzuolo azzurro, come pronto ad iniziare a narrare la sua storia, senza pronunciar parola, con quello stesso sguardo assente che lo pervade fino al crollo emotivo (a parte rari momenti di commozione e risate). Si presenta così ed inizia il suo viaggio emotivo, senza bisogno di uno psicologo, ed in questo sa muoversi con abilità il regista, che ce lo mostra tutto questo scavo interiore, ci dimostra che l’unico trauma fonte della vergogna esistenziale può forse ricondursi solo alla solitudine e ad una vita di routine a lavoro. E al termine dell’affondo, eccolo di nuovo sul treno il protagonista, che sembra essere guarito nel finale, sembra provare vera attrazione fisico-sentimentale per una bella ragazza che viaggia sul suo stesso vagone, ma a McQuenn piace lasciare aperta con mistero di svolgimento una porta, che si presuma possa portare a cambiamenti, perché in fondo, realisticamente parlando, l’esistenza si muove poco alla volta verso altre direzioni, contrariamente a dire il vero a quanto faccia il regista stesso quando d’un tratto improvvisamente, forse complice il corpo apollineo di Fassbender, non riesce bene a districarsi tra genere drammatico e genere erotico, ma poi ci sorprende, per l’appunto, verso la fine.
Valutazione: Ottimo
Christian Liguori
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achab50
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lunedì 3 maggio 2021
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morboso ed a tratti imbarazzante
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Un giovane uomo di successo, con un mestiere appagante che però non si capisce quale sia, perchè nei film se uno non è un meccanico passa automaticamente ad interminabili riunioni attorno ad un tavolo ovale, è quel che si definisce un sex addicted all'ultimo stadio, che passa da conquiste di una sera ad escort d'alto bordo, da frequentazioni omoerotiche ad un onanismo sfrenato. Dev'essere un vizio di famiglia visto che la sorella più giovane non è da meno. E qui siamo chiaramente nella patologia.
Bene, in un racconto ordinario dopo aver elencato con tratti più o meno colorati questa dipendenza, non diversa da quella verso gli stupefacenti o l'alcool, dovrebbe iniziare lo sviluppo della vicenda, che invece continua con una triste e fin noiosa sequela di avventure con piccolissimi sprazzi i consapevolezza che durano un battito di ciglia al punto che il finale ci riporta alla situazioneiniziale.
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Un giovane uomo di successo, con un mestiere appagante che però non si capisce quale sia, perchè nei film se uno non è un meccanico passa automaticamente ad interminabili riunioni attorno ad un tavolo ovale, è quel che si definisce un sex addicted all'ultimo stadio, che passa da conquiste di una sera ad escort d'alto bordo, da frequentazioni omoerotiche ad un onanismo sfrenato. Dev'essere un vizio di famiglia visto che la sorella più giovane non è da meno. E qui siamo chiaramente nella patologia.
Bene, in un racconto ordinario dopo aver elencato con tratti più o meno colorati questa dipendenza, non diversa da quella verso gli stupefacenti o l'alcool, dovrebbe iniziare lo sviluppo della vicenda, che invece continua con una triste e fin noiosa sequela di avventure con piccolissimi sprazzi i consapevolezza che durano un battito di ciglia al punto che il finale ci riporta alla situazioneiniziale.
Sono stato attratto dalle recensioni sostanzialmente molto positive ed ho fatto male, qualcuno dovrà rimborsarmi i novanta minuti di vita che ho dedicato a questa inutile opera.
In tutta questa miseria umana spicca a contrasto la musica di JS Bach, per altro in una interpretazione molto discutibile, tirando di mezzo il più grande dei musicisti che si sarebbe alterato grandemente per questo uso improprio.
Una storia che non conduce da nessuna parte, anzi che non ha uno sviluppo in nessun senso. Forse può interessare qualche voyeur che non ammette di esserlo.
Bravi gli attori, interessante la fotografia, accurata la regia ma manca tutto il resto. Mutatis mutandis fate conto di vedere un acquario di pesci tropicali per 90 minuti. Lo sviluppo cercatelo altrove.
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jonnylogan
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sabato 23 agosto 2025
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la solitudine dell''uomo moderno
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Il secondo lungometraggio del regista Britannico, allora poco più che quarantenne, Steve McQueen esplora una condizione molto particolare dell’animo umano: la difficoltà di rendersi conto di quando un atteggiamento apparentemente visto come sano e normale, le abitudini sessuali, diventi una dipendenza impossibile da dominare e domare. Michal Fassbender proprio con l’aiuto del regista, con il quale aveva già lavorato tre anni prima, al momento del suo esordio con Hunger (id.; 2008) riguardante il trattamento subito dai terroristi dell’Ira, riesce a descrivere perfettamente le inquietudini urbane di un solitario agente di borsa.
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Il secondo lungometraggio del regista Britannico, allora poco più che quarantenne, Steve McQueen esplora una condizione molto particolare dell’animo umano: la difficoltà di rendersi conto di quando un atteggiamento apparentemente visto come sano e normale, le abitudini sessuali, diventi una dipendenza impossibile da dominare e domare. Michal Fassbender proprio con l’aiuto del regista, con il quale aveva già lavorato tre anni prima, al momento del suo esordio con Hunger (id.; 2008) riguardante il trattamento subito dai terroristi dell’Ira, riesce a descrivere perfettamente le inquietudini urbane di un solitario agente di borsa. Veloce a chiudere i contratti quanto inadatto ad avere una vita di coppia e affettiva. Fra spostamenti per mezzo della metro di New York, non luogo fatto d’isolamento inevitabilmente forzato e ravvicinato, capace di riunire persone fra loro differenti in spazi angusti e compressi. Brandon Sullivan si dimostra al tempo stesso inadatto per domandare una qualunque forma di aiuto, pur essendo al tempo stesso sempre freddo, impassibile e consapevole del suo problema, la dipendenza da sesso in ogni forma e grado, ma desideroso di rimanere comunque solo, capace nel mantenere a debita distanza anche sua sorella Sissy, piena di altrettanti problemi e interpretata in maniera altrettanto efficace da Carey Mulligan, candidata all’Oscar per Driven (id.; 2011) firmato dal regista e sceneggiatore Nicolas Winding Refn. Il tutto in un clima costituito da atmosfere cupe e metropolitane, segnate da una luce perennemente filtrata oppure assente. Ove New York viene utilizzata per veicolare un messaggio intriso di solitudine, disperazione per una vita priva di redenzione o cura. Proprio la Metro rappresenta questo tratto solitario, con il desiderio del protagonista, e degli altri passeggeri come lui, di sfiorarsi, di guardarsi, sorridersi, ma sempre stando un passo indietro per la paura di disturbare o esporsi.
Quindi se siete appassionati di storie riguardanti i rapporti umani e la difficoltà nell’intrecciarli all’ombra di problemi ben più vasti, relazionali, ma senza una morale di fondo, questo è il film che fa per voi.
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edwood87
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giovedì 29 marzo 2012
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la vergogna del presente.
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"My tears fell like rain, ain't that a shame" cantava Fatz Domino diversi decenni fa.
Oggi quella canzone viene ripresa e modificata ai giorni nostri attraverso una pellicola cinematografica targata Steve McQueen (da non confondere con la nota star, i due non hanno alcuna parentela).
Per la sua seconda opera (la prima è Hunger del 2008), McQueen sceglie di raccontare la lugubre ed elusiva quotidianità seguendo le orme della scuola Zavattini, quasi fosse un pedinamento del reale, per riportare su pellicola la tanta trasgressione che funge da protagonista nel nostro tempo. Il film riesce a strappare nomination agli Oscar e, in punta di piedi, fa parlare di sé.
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"My tears fell like rain, ain't that a shame" cantava Fatz Domino diversi decenni fa.
Oggi quella canzone viene ripresa e modificata ai giorni nostri attraverso una pellicola cinematografica targata Steve McQueen (da non confondere con la nota star, i due non hanno alcuna parentela).
Per la sua seconda opera (la prima è Hunger del 2008), McQueen sceglie di raccontare la lugubre ed elusiva quotidianità seguendo le orme della scuola Zavattini, quasi fosse un pedinamento del reale, per riportare su pellicola la tanta trasgressione che funge da protagonista nel nostro tempo. Il film riesce a strappare nomination agli Oscar e, in punta di piedi, fa parlare di sé. Struggente ed emozionante al tempo stesso, Shame si ritaglia uno spazio tra le pellicole più riuscite del 2012, presentando sequenze destinate a diventare cult come quella dei giochi di sguardi nella metropolitana.
Brandon (interpretato da un ottimo Michael Fassbender) è il protagonista del film. Devoto alla prigionia sessuale, egli non può condurre uno stile di vita appagante, ma piuttosto continua a chiudersi in se stesso e ad afferrare quelle piccole soddisfazioni che gli concede la masturbazione, per poi abbandonarsi all'atto sessuale vero e proprio con la prima persona che gli capita davanti. Grigia, costernata e maniacale, la pellicola di McQueen ci conduce verso l'esplorazione dell'individualismo e dell'impossibilità dell'essere, o meglio, dell'essere vivi. La New York che vediamo nel film consuma la sua popolazione pilotandoli verso l'esasperazione e l'ossessione. Una perla non può brillare per la sua bellezza estetica, perchè offuscata dal grigiore: New York, New York di Frank Sinatra non può suscitare gioia e sorrisi a chi l'ascolta. Brandon è un uomo affascinante, con un ottimo posto di lavoro, piace alle donne, tuttavia, nonostante i 99 minuti di pellicola, egli riesce a sorridere solo durante una cena con una collega di lavoro che, però, non riuscirà a strappare Brandon dalle grinfie della solitudine. Neppure sua sorella Sissy sarà in grado di aiutarlo, anzi, la sua presenza finirà per opprimere maggiormente il protagonista. "Noi non siamo cattive persone, è solo che veniamo da un brutto posto" esclama Sissy a Brandon. Questa frase è quello che possiamo definire come l'elisir filmico: non si tratta di una critica al genere umano, piuttosto è una constatazione su come la crescita e lo sviluppo sociale conducano ad un costrutto strumentalizzato.
Ad un certo punto del film, dopo una cena con la collega di lavoro, Brandon confessa di voler vivere negli anni Sessanta e di voler essere un musicista, proprio come Fatz Domino. Le parole di Ain't that shame esplicitano che non c'era alcuna vergogna in quegli anni, ma adesso è diverso, come Brandon stesso sostiene "sono le azioni che contano, non le parole" e le sue azioni ci riportano al titolo del film.
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gianleo67
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venerdì 1 novembre 2013
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il sonno dei sentimenti genera mostri
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Avvenente e dinamico yuppie newyorkese cela,dietro l'eleganza dei modi e l'irrestistibile appeal verso l'altro sesso, una radicale anaffettività che lo porta ad intrattenere solo rapporti mercenari e ad alimentare una insana compulsione sessuale che inquina irrimediabilmente la sua vita professionale e privata. Quando la problematica sorella, trasferitasi per qualche tempo in casa sua, cerca di scuoterlo e di riallacciare con lui un rapporto umano, reagisce dapprima con freddezza e poi con una insofferenza sempre più ostile. L'ennesimo tentativo di suicidio di quest'ultima, che egli riesce appena a sventare, sembra fargli prendere coscienza del dramma insostenibile della sua condizione.
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Avvenente e dinamico yuppie newyorkese cela,dietro l'eleganza dei modi e l'irrestistibile appeal verso l'altro sesso, una radicale anaffettività che lo porta ad intrattenere solo rapporti mercenari e ad alimentare una insana compulsione sessuale che inquina irrimediabilmente la sua vita professionale e privata. Quando la problematica sorella, trasferitasi per qualche tempo in casa sua, cerca di scuoterlo e di riallacciare con lui un rapporto umano, reagisce dapprima con freddezza e poi con una insofferenza sempre più ostile. L'ennesimo tentativo di suicidio di quest'ultima, che egli riesce appena a sventare, sembra fargli prendere coscienza del dramma insostenibile della sua condizione. Ma, si sà, il lupo perde il pelo...
Dramma compatto e ossessivo che rielabora un immaginario metropolitano alla Bret Easton Ellis ed in cui la patologia mentale di un insospettabile yuppie (là era la maschera allucinata di un killer seriale con il volto ridanciano di Christian Bale, qui lo sguardo affascinante e malato del bel Fassbender) segna la irreversibile deriva della civiltà occidentale nella sua regressione verso le pulsioni primordiali e predatorie della natura umana; dove,sotto la superficie di una apparente normalità dei rapporti e dei costumi, si cela il vuoto pneumatico di una violenza feroce e devastante, l'ultimo stadio di una involuzione culturale che annichilisce sovrastrutture e freni inibitori fino all'ineluttabile predominio degli istinti più ancestrali sepolti dai milioni di anni di evoluzione che ci separano dall'uomo di Neanderthal.
Visivamente affascinate nel suo tentativo di ricreare lo stridente contrasto tra gli elementi riconoscibili di una rutilante modernità urbana (il loft,i locali alla moda, la metropolitana, gli asettici ambienti di lavoro) e le pulsioni animali che si agitano sotto la rassicurante corazza di abiti firmati e cappelli alla moda (vintage), è attraversato dal cupo nichilismo di una inesorabile discesa agli inferi e sottolineato dall'eleganza austera di una colonna sonora che recupera il dolente virtuosismo delle interpretazioni classiche di Glenn Gould.
Forse carente e irrisolto in alcuni passaggi narrativi a causa della irriducibile allusività della materia trattata, pare invece riuscito nella costruzione del personaggio principale (un superlativo Fassbender) quale prototipo di una ferinità sessuale malata e compulsiva come insanabile conseguenza di un indicibile trauma infantile, come pure credibile appare la complessa eleganza delle caratterizzazioni psicologiche tra il pudore con cui abbozza l'ambigutà strisciante di una relazione incestuosa (suggestiva ed intensa l'interpretazione 'emotiva' di 'New York,New York' da parte della Mulligan) e lo sfrontato corteggiamento rituale di una comunicazione non verbale che chiude magistralmente il film nell'ammiccante e cinico disincanto della scena finale.
Meritatissima Coppa Volpi a Michael Fassbender per la miglior interpretazione maschile alla 68ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Il sonno dei sentimenti genera mostri.
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stefanocapasso
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martedì 11 marzo 2014
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un esplosione di dolore
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Shame è un film molto duro, narrato con cruda chiarezza anche nel suo dettaglio fotografico e che ci porta lentamente all’interno del dramma del protagonista. Insieme a lui cominciamo lentamente ad acquisire consapevolezza di quanto sia grande il disagio che vive. Al principio Brandon è un uomo solitario, che soddisfa parte dei suoi bisogni con la pornografia e la masturbazione, in modo quasi compulsivo. Apparentemente gestisce la sua vita in modo equilibrato. Ha una sorella, Sissy con un forte disagio da dipendenza affettiva, evidentemente entrambi legati da una storia infantile complessa, e con la quale ha un rapporto perlomeno difficile. Nello svolgersi del racconto le conferme della sua impossibilità di stabilire una relazione affettiva con l ‘altro in senso generale definisce chiara ed implacabile la natura del suo disagio.
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Shame è un film molto duro, narrato con cruda chiarezza anche nel suo dettaglio fotografico e che ci porta lentamente all’interno del dramma del protagonista. Insieme a lui cominciamo lentamente ad acquisire consapevolezza di quanto sia grande il disagio che vive. Al principio Brandon è un uomo solitario, che soddisfa parte dei suoi bisogni con la pornografia e la masturbazione, in modo quasi compulsivo. Apparentemente gestisce la sua vita in modo equilibrato. Ha una sorella, Sissy con un forte disagio da dipendenza affettiva, evidentemente entrambi legati da una storia infantile complessa, e con la quale ha un rapporto perlomeno difficile. Nello svolgersi del racconto le conferme della sua impossibilità di stabilire una relazione affettiva con l ‘altro in senso generale definisce chiara ed implacabile la natura del suo disagio. E’ assolutamente incapace di amare, e la compulsione sessuale è un sostituto sempre meno efficace.
Quando gli eventi dolorosi rendono definitivamente chiaro a lui e a noi spettatori questo aspetto, l’esplosione di dolore data da questa nuova consapevolezza è drammaticamente reale.
Difficile da definire bello un film che suscita emozioni cosi dolorose, certamente è capace di indagare in maniera chirurgica e asettica, con una fotografia poetica, sulla natura di alcuni dei disagi dell’uomo.
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dandy
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mercoledì 8 ottobre 2014
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il sesso...
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Al suo secondo film dopo "Hunger",McQueen tratteggia il ritratto gelido e scabroso di uomo che si compiace di essere schiavo delle proprie pulsioni,sebbene sia conscio di non trarne alcun piacere.Il sesso,alla pari della compulsione del protagonista,è esibito in modo ostentato ma meccanico,freddo,senza passione né gioia.Con uno sguardo distaccato che ricorda per certi versi Michael Haneke.Fassbender(Coppa Volpi a Venezia come miglior attore)offre un'interpretazione fantastica.Peccato che il personaggio della sorella sbandata con tendenze suicide sia decisamente più stereotipato,e che il classico finale con tragedia sfiorata finisca per offuscare quel senso di vuoto e disagio che contraddistingue la prima parte.
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Al suo secondo film dopo "Hunger",McQueen tratteggia il ritratto gelido e scabroso di uomo che si compiace di essere schiavo delle proprie pulsioni,sebbene sia conscio di non trarne alcun piacere.Il sesso,alla pari della compulsione del protagonista,è esibito in modo ostentato ma meccanico,freddo,senza passione né gioia.Con uno sguardo distaccato che ricorda per certi versi Michael Haneke.Fassbender(Coppa Volpi a Venezia come miglior attore)offre un'interpretazione fantastica.Peccato che il personaggio della sorella sbandata con tendenze suicide sia decisamente più stereotipato,e che il classico finale con tragedia sfiorata finisca per offuscare quel senso di vuoto e disagio che contraddistingue la prima parte.Ma è azzeccata e ambigua l'ultima scena(che rimanda a quella iniziale),lasciata in sospeso.Bella colonna sonora(John Coltrane,Blondie,Chet Baker e una toccante interpretazione di "New York New York"di Carey Mulligan).Non per tutti i gusti di certo.Ma dolente e profondo,genuino come deve essere il vero cinema.
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homer52
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domenica 15 marzo 2015
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non c'è vergogna nella solitudine del cuore
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Un ottimo film, ben interpretato e diretto, sulla tematica della sessualità intesa come relazione con l'altro. Il protagonista del film (uno straordinario Fassbender), bene interpreta la solitudine dell'uomo, eternamente sospeso fra il desiderio ed il timore del rapporto che neppure il tentato suicidio della sorella riesce a scuotere e a ravvedere. Un film che, grazie alla potenza delle immagini e alla bravura di interpreti e regista, potrebbe pure essere visto togliendo l'audio, come fosse muto. Una favola moderna dove il principe azzurro rimarrà sempre un rospo, e nessuna principessa potrà mai redimerlo.
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