ashtray_bliss
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martedì 19 giugno 2012
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la schiavitu' della materialita'
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Piu incisivo per le tematiche che per le interpretazioni o la trama come e' stata sviluppata, Shame resta un parabola estremamente realistica sul vuoto personale che le persone di oggi provano. Un vuoto che alcune persone come Brandon cercano di opprimere tramite il sesso senza impegno sentimentale, un sesso materialistico basato sui soldi (con le prostitute o i siti online). Si e' incapaci e involonterosi di cimentarsi in relazioni piu profonde e cosi si trova sfogo nel sesso e dopo quello resta la solitudine, amara e sempre piu assordante nel silenzio che porta con se. Altre persone invece, come Sissy trovano conforto al dolore e alla solitudine con la bottiglia e l'autolesionismo.
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Piu incisivo per le tematiche che per le interpretazioni o la trama come e' stata sviluppata, Shame resta un parabola estremamente realistica sul vuoto personale che le persone di oggi provano. Un vuoto che alcune persone come Brandon cercano di opprimere tramite il sesso senza impegno sentimentale, un sesso materialistico basato sui soldi (con le prostitute o i siti online). Si e' incapaci e involonterosi di cimentarsi in relazioni piu profonde e cosi si trova sfogo nel sesso e dopo quello resta la solitudine, amara e sempre piu assordante nel silenzio che porta con se. Altre persone invece, come Sissy trovano conforto al dolore e alla solitudine con la bottiglia e l'autolesionismo. Personalita diverse e ugualmente fragili. Personalita smarrite e vuote che vorrebbero essere aiutate ma al contempo amano la loro situazione di infelicita'. Trovano piccoli momenti di piacere sessuale che rappresenta l'unico motivo della loro esistenza prima di sprofondare nella Vergogna, quella di essere incapaci di amare veramente e anche quella di uscire dalla propria strada di autodistruzione. Film che fa riflettere. In alcun modo volgare ma anzi poetico nel rappresentare quanta solitudine puo esserci in una persona e come questa si cerca di reprimerla tramitte il sesso che diventa una delle tante dipendenze, insieme alla droga, un biglietto verso l'inferno della infelicita e insoddisfazione. Un film sulla alienazione dei rapporti umani rappresentati attraverso un uomo Brandon, tanto incapace di creare relazioni sentimentali con le donne quanto incapace di ricambiare l'affetto della sorella minore, Sissi, allontanandola con ogni pretesto dal suo piccolo universo di spirali viziose.
Consigliatissimo.
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monicac.
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giovedì 10 maggio 2012
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storia di un dolore
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Un film profondo che ambisce a narrare una storia senza eventi e che, dipingendo la quotidianità di un uomo, è stato in grado di tracciarne il dramma facendo addentrare lo spettatore nell’antro di una mente danneggiata.
Il protagonista viene raffigurato come un uomo che conduce una vita apparentemente perfetta ma che, già dalle prime sequenze, appare avulsa da ogni significato. Il senso sembra essere, infatti, un elemento assente che spoglia ogni azione dalle emozioni e, così, il sesso assume le sembianze di una compulsione e per Brandon appare interdetto ogni legame affettivo.
Il corpo diviene dunque il teatro sul quale si inscena un dramma interiore, diviene mero strumento al servizio di una mente che, troppo impegnata a sopravvivere, non è più in grado di vivere.
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Un film profondo che ambisce a narrare una storia senza eventi e che, dipingendo la quotidianità di un uomo, è stato in grado di tracciarne il dramma facendo addentrare lo spettatore nell’antro di una mente danneggiata.
Il protagonista viene raffigurato come un uomo che conduce una vita apparentemente perfetta ma che, già dalle prime sequenze, appare avulsa da ogni significato. Il senso sembra essere, infatti, un elemento assente che spoglia ogni azione dalle emozioni e, così, il sesso assume le sembianze di una compulsione e per Brandon appare interdetto ogni legame affettivo.
Il corpo diviene dunque il teatro sul quale si inscena un dramma interiore, diviene mero strumento al servizio di una mente che, troppo impegnata a sopravvivere, non è più in grado di vivere.
Ciò che si coglie sono, quindi, gli esiti di una storia che lasciano intravedere il dolore che un uomo può portarsi addosso con le sue tragiche conseguenze.
"Noi non siamo cattive persone è solo che veniamo da un brutto posto"...quando la difesa spezza la psiche ed il significato abbandona il corpo e la vita
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kronos
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lunedì 18 giugno 2012
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scandalo programmatico
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Ecco un esempio di cinema "alla moda" che manca alla produzione italiana odierna: modesto ma *scandaloso* quanto basta per scatenare i pennivendoli imbucati nei festival.
Non c'è molto da dire su questo "Shame": la trama si riassume su un pacchetto di sigarette (e infatti non regge la durata del lungometraggio), la realizzazione è professionale ma blanda, la sensazione di programmaticità e didascalismo aleggia dall'inizo alla fine.
Rimane la bella, intensa interpretazione di Fassbender ... un pò pochetto a dire il vero.
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franzrosebud
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martedì 2 ottobre 2012
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desiderio ossessivo di carne e di morte
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Brandon, trentacinque anni, uomo d’affari, New York. Dipendente dal sesso. Riviste, internet, prostitute, incontri occasionali. Un uomo malato e conscio di esserlo. Si disprezza Brandon, detesta la sua natura incontrollata e incontrollabile, che lo spinge all’emarginazione sentimentale, impossibilitato ad avere dei rapporti normali ed emozionali. L’arrivo della sorella Sissy potrebbe salvarlo, e invece crea ancora più attrito («Sei un peso per me»), guidandolo in una metaforica discesa negli inferi (la scena del club sotterraneo omosessuale) mentre la sorella si taglia i polsi.
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Brandon, trentacinque anni, uomo d’affari, New York. Dipendente dal sesso. Riviste, internet, prostitute, incontri occasionali. Un uomo malato e conscio di esserlo. Si disprezza Brandon, detesta la sua natura incontrollata e incontrollabile, che lo spinge all’emarginazione sentimentale, impossibilitato ad avere dei rapporti normali ed emozionali. L’arrivo della sorella Sissy potrebbe salvarlo, e invece crea ancora più attrito («Sei un peso per me»), guidandolo in una metaforica discesa negli inferi (la scena del club sotterraneo omosessuale) mentre la sorella si taglia i polsi.
Brandon è una piccola amnesia della vita. Un uomo assente, fumoso, nel quale la malattia è solo una parte del suo squallore. Steve McQueen tratteggia un personaggio penoso, che non ispira alcun sentimento se non, appunto, pena e infelicità. Ecco, forse è proprio questa la parola: infelice. Il passato, che si intuisce essere stato problematico per entrambi i fratelli, piomba nella sua vita nella figura di Sissy, l’unica che riesce a strappargli una lacrima di emozione, nella splendida scena in cui canta una sofferta e struggente New York, New York. Il resto è assenza, è corpo, è morte. Un desiderio ossessivo di carne che non riempie, ma svuota, non colora, ma cancella, non scalda, ma congela. Non è un caso che nell’unica speranza di un rapporto normale, scandito dal primo appuntamento, da chiacchere, risate, semplicità, il protagonista vada in bianco. Una scena di una tristezza inaudita: i sentimenti come ostacolo. Un battito d’amore che suona come l’ascia di un boia.
McQueen inserisce Brandon e il suo carico di nulla in una New York bellissima e luccicante, dipinta attraverso una splendida fotografia. L’appartamento del protagonista è moderno, pulito, di un architettura senz’anima e senza calore. Freddo e disaccato, come senza ossigeno, l’ambiente e la personalità di Brandon si fondono in un tutt’uno, compiendo un’ interessante contrapposizione tra ciò che dovrebbe arroventare (il sesso) e l’effetto che invece ne deriva: una raggelante forma di affetto, una sorta di contatto corporeo estraniante senza alcun coinvolgimento emotivo che non può che portare all’autodistruzione.
Tutto questo sarebbe impossibile da rappresentare senza due variabili: l’indubbia eleganza stilistica di McQueen e la straordinaria interpretazione di Michael Fassbender (Coppa Volpi a Venezia).
Il regista inglese dimostrò in Hunger di avere un innato talento nell’accostare uno stile garbato e colmo di finezza ad un contesto duro e sporco come quello di una prigione. Anche qui, non scadendo mai nella volgarità, riesce a muoversi sinuosamente sull’orlo dell’abisso, con grazia e maestria, accostando immagini e musiche (una colonna sonora incantevole, di una malinconia esplosiva) in un esperimento sonoro di grande impatto. L’attore irlandese, probabilmente uno dei più talentuosi nel panorama mondiale odierno, lavora splendidamente sull’espressività celata, sul dettaglio e sull’interiorizzazione e sull’annullamento dei sentimenti. Una recitazione che nasconde più che mostrare, per poi esplodere nel finale in un pianto che non ha nulla di liberatorio. Lacrime di un uomo che si è visto per la prima volta allo specchio e si è accorto di essere un mostro.
Shame è un film provocante ma non scandaloso. Le scene, i nudi, sono un pretesto per mostrare un uomo moderno, per il quale il sesso è solo una delle tante droghe che potrebbero imprigionarlo. Un consumatore di morte. E il film, così esplicito, ha il merito di nascondere ciò che più di ogni altra cosa dovrebbe essere chiara: la fine. Sta a noi decidere di salvare Brandon, oppure di mollare la presa e lasciarlo precipitare. Forse, per dimostrarci davvero diversi, dovremmo afferrare quella mano e stringere forte.
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filippo catani
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sabato 21 gennaio 2012
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fratello e sorella disperatamente soli
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Brandon è un uomo affascinante e con una bella casa. Il suo problema è quello di avere una vera e propria dipendenza dal sesso per cui non solo non riesce a intrattenere relazioni con nessuna donna ma cerca di portarsi a letto chi gli capita, frequenta prostitute e siti pornografici. La sua routine verrà interrotta dall'arrivo della fragile sorella con il suo notevole carico di problemi.
Pellicola arrivata nelle sale carica di attese che bisogna dire soddisfa in pieno. Intanto per l'interpretazione magistrale del protagonista Michael Fassdember capace di prodursi in scene a dir poco difficili e dure tra rapporti prulimi, un nudo integrale e un paio di masturbazioni.
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Brandon è un uomo affascinante e con una bella casa. Il suo problema è quello di avere una vera e propria dipendenza dal sesso per cui non solo non riesce a intrattenere relazioni con nessuna donna ma cerca di portarsi a letto chi gli capita, frequenta prostitute e siti pornografici. La sua routine verrà interrotta dall'arrivo della fragile sorella con il suo notevole carico di problemi.
Pellicola arrivata nelle sale carica di attese che bisogna dire soddisfa in pieno. Intanto per l'interpretazione magistrale del protagonista Michael Fassdember capace di prodursi in scene a dir poco difficili e dure tra rapporti prulimi, un nudo integrale e un paio di masturbazioni. Un personaggio quello del protagonista che è ormai dilaniato e lanciato irrimediabilmente verso l'autodistruzione. Ed è così che a causa di questi problemi, che lui cercherà tragicamente di scaricare sulla sorella, l'uomo non riuscirà ad installare un minimo di relazione con una collega di lavoro per cui pare provare qualche sentimento. E poi c'è la sorella (bravissima anche Carey Mullighan) che purtroppo rappresenta l'altra tragica metà della mela. Carina, sorridente e con una voce meravigliosa, la ragazza non riesce a uscire dalle sue insicurezze croniche. Cerca nel fratello una sorta di scialuppa di salvataggio che lui però non è assolutamente in grado di offrire. Giusta durata per la pellicola e dialoghi brevi ma serrati coadiuvati da una struggente colonna sonora. Il regista ci porta con grande chiarezza alla scoperta di quanto sesso a buon mercato si possa trovare, di quanto questo non può risolvere i nostri problemi se vissuto in maniera ossessiva-compulsiva. Un film che non può lasciare indifferente chi lo vede e che lascia nello spettatore tanti spunti di riflessione. Sicuramente una delle migliori pellicole degli ultimi mesi.
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germano f.
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domenica 10 marzo 2013
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veniamo da un brutto posto
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E' un film profondo "Shame". Un film che alla fine lascia in uno stato di profonda frustazione morale. Steve McQueen colpisce nel segno descrivendo una società e una comunità contrassegnata da ipocrisie e subdole inclinazioni alle perversioni (di cui il sesso è solo una delle tante metafore). E non parliamo ovviamente solo del protagonista. Lui è solo l'apice, l'elemento più manifesto, il personaggio che metaforizza un'intera società. Sono gli altri personaggi che più fanno riflettere. A cominciare dal suo capo (James Badge Dale) nella duplice veste di seduttore da quattro soldi la notte e in quella di efficente padre di famiglia la mattina seguente.
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E' un film profondo "Shame". Un film che alla fine lascia in uno stato di profonda frustazione morale. Steve McQueen colpisce nel segno descrivendo una società e una comunità contrassegnata da ipocrisie e subdole inclinazioni alle perversioni (di cui il sesso è solo una delle tante metafore). E non parliamo ovviamente solo del protagonista. Lui è solo l'apice, l'elemento più manifesto, il personaggio che metaforizza un'intera società. Sono gli altri personaggi che più fanno riflettere. A cominciare dal suo capo (James Badge Dale) nella duplice veste di seduttore da quattro soldi la notte e in quella di efficente padre di famiglia la mattina seguente. Il regista è abile a delineare con luci e toni una città, e con essa una società, piovosa, grigia, sporca, che vive indubbiamente in sottotraccia, pronta ad emergere in conflittualità apparentemente insolubili. Bellissima la fotografia, bellissimo il sonoro, sfruttati ambedue al massimo delle loro possibilità di esemplificazione degli stati psicologici e morali dei personaggi. Fassbender interpreta il suo ruolo con partecipazione e coraggio, riuscendogli a dare un'intensa e misurata drammaticità, vitale per non cadere nell'involontariamente comico in alcune scene di seeso. Carrey Mulligan è sempre più brava, sempre più coraggiosa e sempre più capace di captare ogni più intensa e fragile emozione del suo complesso personaggio. McQueen si dimostra qui regista di rarissima sensibilità, capace di trattare l'argomento con un'intelligenza e con una capacità focalizzante che in ben pochi autori dell'ultima generazione riusciamo a trovare. L'evento centrale del film è la parte in cui la Mulligan canta "New York, New York" : molta intensa, molto drammatica, capace di farci intuire l'emotività di Fassbender e il suo profondo travaglio interiore. Ma sono poi tantissime le scene che ci rimangono nello stomaco : Fassbender nudo che girovaga nell'apatica solitudine di casa sua; Il protagonista che corre nella notte newyorkese caotica, sporca e nei suoi luoghi più vissuti (vedi Madison Square Garden ) sola; il dialogo, privato, intimo, che per due volte vediamo tra fratello e sorella, momento di vicinanza e apertura, di brutale confronto e di sfogo; lo sguardo intenso e rasserenante che si scambiano in ufficio vicino alla macchinetta del caffè Fassbender e Nicole Beharie; la bellissima e commovente frase di Mulligan "...Noi non siamo cattive persone. E' solo che veniamo da un brutto posto. Grazie di avermi fatto restare..." ...dice tutto, così lontani e così vicini. E' normale se vedendo questo film ci sentiamo un po' disturbati, un pizzico colpevoli: in fondo parla della nostra società moderna, parla di noi, delle nostre ipocrisie, del nostro latente perbenismo, della nostra incapacità di relazionarci con gli altri, in un mondo sempre più estremo e spinto verso un nulla e un vuoto che solo un'intensa capacità dialogica possono colmare.
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ultimoboyscout
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giovedì 10 maggio 2012
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il coraggio di steve mcqueen.
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Razionalità contro instabilità. Quella di un uomo, Fassbender, che trascorre la sua piatta esistenza tra routine e sesso (di cui ne è dipendente), contrapposta a quella di una donna, Carey Mulligan, sua sorella, emotivamente fragilissima. L'opera di McQueen parte minimalista, per crescere col trascorrere dei minuti, finendo in maniera convulsa e mostrando la freddezza di passioni mai risolte, cercando di scardinare le grandi certezze quotidiane del suo protagonista (senza riuscirci del tutto) che viene messo a nudo solo fisicamente. E' un film molto complesso, a tratti durissimo e spietato, che giunge al cuore a intermittenza e che non a tutti piacerà. Film realisticamente hot, una storia di eccessi, stavolta erotici, come fu storia d'eccessi il primo film del videoartista britannico, "Hunger" (al cinema da noi in questi giorni, finalmente!!!), così carico di sangue e violenza.
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Razionalità contro instabilità. Quella di un uomo, Fassbender, che trascorre la sua piatta esistenza tra routine e sesso (di cui ne è dipendente), contrapposta a quella di una donna, Carey Mulligan, sua sorella, emotivamente fragilissima. L'opera di McQueen parte minimalista, per crescere col trascorrere dei minuti, finendo in maniera convulsa e mostrando la freddezza di passioni mai risolte, cercando di scardinare le grandi certezze quotidiane del suo protagonista (senza riuscirci del tutto) che viene messo a nudo solo fisicamente. E' un film molto complesso, a tratti durissimo e spietato, che giunge al cuore a intermittenza e che non a tutti piacerà. Film realisticamente hot, una storia di eccessi, stavolta erotici, come fu storia d'eccessi il primo film del videoartista britannico, "Hunger" (al cinema da noi in questi giorni, finalmente!!!), così carico di sangue e violenza. Come per il suo esordio da regista, McQueen sceglie ancora Fassbender, maturo, intenso, credibile, nella sua vita che spazia dal sesso al sesso e ci abbaglia con la sua immensa capacità di raccontare con tocco proprio e originalità lasciando che siano spazi, cose e suoni a narrare più (e meglio) delle parole e dei fatti. Anche i corpi servono a questo e Fassbender riesce a dare un'anima al suo corpo nudo, straziante e struggente come un grido senza voce. Regista e attore formano una coppia affiata e già al lavoro per girare il terzo film assieme, ma non potrebbero essere più diversi e ricordano per molti versi, il binomio dei tempi d'oro Scorsese-DeNiro. Tornando al film, che avrebbe meritato maggiore attenzione agli Oscar, è duro e innovativo, un vero e proprio viaggio negli inferi di un uomo libero che si fa imprigionare da un'ossessione, da spazi asettici e da vestiti, con la sciarpa a far da cappio. Anche la New York buia e selvaggia mostrata aiuta a rendere il dramma ancora più torbido, cupo e pericolosamente affascinanate mentre la storia personale del protagonista diventa occasione per riflettere in maniera universale e sfaccettata sul tema del bisogno. L'occhio di McQueen rimane sempre neutrale, il taglio va dal documentaristico al sofisticato perchè l'opera è carica di musica, colpi di classe e virtuosismi registici e segue un percorso logico ben definito. Va visto, ma anche sentito e vissuto, non risultando scandaloso (semmai scabroso), piuttosto un triste melò contemporaneo che fa di McQueen il miglior giovane autore in circolazione e di Fassbender uno dei migliori giovani attori assieme a Ryan Gosling, capace già di di vantare una galleria di personaggi straordinari, da Stelios al giovane Magneto, dal bastardo senza gloria al sex-addict disperatamente incapace di avere relazioni autentiche e di essere schiavo delle sue pulsioni, che forse è quello meglio riuscito e che gli è anche valso una Coppa Volpi.
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lisadp
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mercoledì 20 marzo 2013
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come la prigione non ha per forza le sbarre
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Una colonna sonora mozzafiato accompagna una storia di degradazione e schiavitù provocati dalle proprie dipendenze.
Da un lato troviamo il protagonista, dipendente dal sesso e nauseato da se stesso, ma rassegnato alla sua vita; dall'altra c'è la sorella insicura ed imprigionata nelle proprie paure e difficoltà. con fatica e lavoro possono essere l'uno la salvezza dell'altro, ma prima di poterlo capire dovranno toccare il fondo entrambi, arrivare al punto di rottura che possa permettere loro di detestarsi a tal punto di non poter più convivere con se stessi e cercare un modo nuovo di guardare le cose.
Gli sguardi sono infatti un punto focale del film, intrisi di rancore, disperazione, nausea.
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Una colonna sonora mozzafiato accompagna una storia di degradazione e schiavitù provocati dalle proprie dipendenze.
Da un lato troviamo il protagonista, dipendente dal sesso e nauseato da se stesso, ma rassegnato alla sua vita; dall'altra c'è la sorella insicura ed imprigionata nelle proprie paure e difficoltà. con fatica e lavoro possono essere l'uno la salvezza dell'altro, ma prima di poterlo capire dovranno toccare il fondo entrambi, arrivare al punto di rottura che possa permettere loro di detestarsi a tal punto di non poter più convivere con se stessi e cercare un modo nuovo di guardare le cose.
Gli sguardi sono infatti un punto focale del film, intrisi di rancore, disperazione, nausea. Persino nelle scene in cui si dovrebbe stare bene, lo sguardo tradisce l'atmosfera e funge da cornice ai comportamenti spesso fuoriluogo del protagonista. Come se non bastasse gli sguardi in questo film sono tanto importanti da aprirne la storia e chiuderla, lasciando il pubblico in un dolce dubbio conclusivo.
E' dovere lasciare anche due parole ai protagonisti, la recitazione infatti è meravigliosa, credibile, molto vera e Fassbender è davvero incredibile nei panni di questo personaggio angosciato e perso in se stesso, diviso tra la sua dipendenza ed il desiderio di liberarsene.
Essendo un film che lasciava molto parlare il corpo e le espressioni è stata fatta l'ottima scelta di una sceneggiatura con pochi dialoghi che sono però d'impatto e che non vogliono trasmettere pietà per i protagonisti, ma vogliono far si che ci si immerga nella loro inquietudine. L'assenza di motivazioni su come i due protagonisti siano giunti a questo punto dimostra che non è importante il come, il perchè, ma importa solo l'esserci e l'affrontarlo, sia che si scelga di rassegnarsi o che si sgelga di combatterlo.
Davvero un'ottima regia di McQueen che è riuscito a creare un film di sesso, che non parla di sesso, ma della disperazione di un uomo.
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fabiana dantinelli
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martedì 11 giugno 2013
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l’uomo che non sapeva amare
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Uno come Brandon Sullivan non si dimentica. Fa parte di quel privilegiato stuolo di personaggi che riescono a far scuola, nonostante le premesse solo in apparenza scontate. Eh già, perché lui è bello, ricco, affascinante e vive al centro del mondo, in una New York notturna e misteriosa che può soddisfare ogni desiderio. Come non immaginare allora il facilissimo dark side di un rampante trentenne della grande mela? E lato oscuro sia, ma stavolta con stile, perché il problema di Brandon è cupo e inconfessabile, ma con quel quid in più che ce lo fa amare, lui che di amore non riesce a nutrirsi, famelico fruitore di perversioni sessuali d’ogni sorta e genere. Affamato sì, come il Bobby Sands di “Hunger”, di cui peraltro confessa le medesime origini irlandesi nell’unico fallimentare incontro galante del film, ma di una fame più squallida, tipicamente post-moderna.
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Uno come Brandon Sullivan non si dimentica. Fa parte di quel privilegiato stuolo di personaggi che riescono a far scuola, nonostante le premesse solo in apparenza scontate. Eh già, perché lui è bello, ricco, affascinante e vive al centro del mondo, in una New York notturna e misteriosa che può soddisfare ogni desiderio. Come non immaginare allora il facilissimo dark side di un rampante trentenne della grande mela? E lato oscuro sia, ma stavolta con stile, perché il problema di Brandon è cupo e inconfessabile, ma con quel quid in più che ce lo fa amare, lui che di amore non riesce a nutrirsi, famelico fruitore di perversioni sessuali d’ogni sorta e genere. Affamato sì, come il Bobby Sands di “Hunger”, di cui peraltro confessa le medesime origini irlandesi nell’unico fallimentare incontro galante del film, ma di una fame più squallida, tipicamente post-moderna. Eccolo lì allora, fra bordelli psichedelici, rapporti occasionali, prostitute multietniche e sesso online, sempre inquieto e ossessionato da un male di vivere che i più non riescono a comprendere. Ma se di solitudini capitaliste si parla, non può non mancare la controparte femminea, la fragile e ribelle Sissy, sorella bambina che rimbalza fra dipendenze affettive, morbosamente preda di un irrisolto complesso di Elettra e al contrario di Brandon alla disperata ricerca di sentimento. Memorabile in quel suo abitino scintillante e il taglio alla Marylin, lassù fra i picchi della skyline di Manhattan, canta con la voce più triste del mondo che sì, lei avrà un nuovo inizio, perché se può farlo a New York, potrà farlo ovunque. Eppure quella city cosmopolita e generosa si mostra infine amara, la mela lascia in bocca il sapore del marcio. Che ne resterà di questa strana coppia di fratelli maledetti? Il regista Steve Mc Queen, talento indipendente della macchina da presa, lascia lo spettatore giudice di sé stesso, perché in fondo Brandon e Sissy sono solo gli spettri esacerbati di qualcuno o qualcosa, in cui seppur malvolentieri dobbiamo ammettere di riconoscerci. Straordinarie le interpretazioni di Carey Mulligan (classe 1985 e già candidata all’Oscar per “An Education”, prima sceneggiatura dell’apprezzato romanziere Nick Hornby) e Michael Fassbender, ormai eletto feticcio cinematografico del regista afroamericano, omonimo dell’indimenticato attore dalla “vita spericolata”. In “Shame” lo ritroviamo protagonista nei panni del tenebroso Brandon, immortalato più volte fra lenzuola gualcite, là dove Bobby Sand l’aveva lasciato smunto e scheletrico, quasi un sudario umano di peccati che non scivolano più via, neppure di fronte a quella nudità fortemente ostentata, dove il corpo vuole, pretende, strepita per essere guardato e vissuto fino all’estremo. Una poesia di inquadrature pulite ed espressive, perfettamente narrative, in un sottile gioco di incastri e rimandi, dove a farla da padrone è sempre il dettaglio, dalle nocche insanguinate ai riflessi di un orecchino, col sottofondo ora di taglienti assolo di piano, ora delle note malinconiche di leggende del blues. Mc Queen si riconferma dopo “Hunger” un piccolo grnde maestro della regia, uno che non tralascia nulla, a partire dai titoli, sempre straordinariamente evocativi: nel 2009 era la “fame”, di libertà, indipendenza, rivendicazione, qui la “vergogna” verso pulsioni insopprimibili dannatamente familiari. Pellicola degna di trionfi, ma dopotutto giustamente scartata dall’Academy, troppo politically uncorrect… of course!
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dario
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sabato 2 gennaio 2016
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inconcludente
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La sceneggiatura non funziona, fa mancare lo sviluppo alla storia. Così c'è la costrizione di un continuo ripetersi di scene concatenate a forza senza una vera ragione, se non una morale sotterranea e convenzionale. Meglio la prima parte dove, per lo meno, tutto è sospeso, in attesa di qualcosa, mentre la seconda è una banale discesa all'inferno con tanto di disperazione programmata. Il fatto è che la dipendenza del protagonista vuole avere valenze esistenzialistiche, ma delle stesse si ha un sentito dire e si mostra una presunzione, magari innocente, da new age, ovviamente inadatta. Bravi gli interpreti. Fassbendere è una garanzia.
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La sceneggiatura non funziona, fa mancare lo sviluppo alla storia. Così c'è la costrizione di un continuo ripetersi di scene concatenate a forza senza una vera ragione, se non una morale sotterranea e convenzionale. Meglio la prima parte dove, per lo meno, tutto è sospeso, in attesa di qualcosa, mentre la seconda è una banale discesa all'inferno con tanto di disperazione programmata. Il fatto è che la dipendenza del protagonista vuole avere valenze esistenzialistiche, ma delle stesse si ha un sentito dire e si mostra una presunzione, magari innocente, da new age, ovviamente inadatta. Bravi gli interpreti. Fassbendere è una garanzia. Regia volonterosa aiutata dalla scenografia. Sbandamenti e superficialità. Momenti intensi fini a se stessi.
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