“Shame” è un film prodotto in Gran Bretagna nel 2011, diretto da Steve McQueen e con Michael Fassbender. La pellicola è stata presentata alla sessantottesima mostra del Cinema di Venezia.
Il regista Steve McQueen e l’attore Michael Fassbender hanno avuto il merito di affrontare nel 2011 nel film “Shame” (“Vergogna”) un argomento tanto delicato quanto complicato come la dipendenza dal sesso che, come ogni ossessione psicologica, va trattata con quella giusta dose di verità unitamente ad un tocco pregno di sensibilità.
Convenientemente ad una simile questione, il regista ci mostra dapprima la “natura fisica” del protagonista vittima del problema, attraverso la nudità integrale di un Fassbender in splendida forma fisica ed attorica, per poi allontanarsi dalla superficie, come si suol dire, per approdare nel profondo, nel suo mondo interiore, che fa fatica, peraltro, ad emergere, se non significativamente quando entra a contatto con un altro personaggio debole e fragile, ma più forte di lui, ovvero una donna, che inizialmente crediamo possa trattarsi di una prostituta o di una delle tante donne con cui ha rapporti sessuali, mentre invece è spiazzante la ritardante scelta rivelatrice del legame di parentela che non è il solo ad unirli. Appunto, i due sono entrambi vittima di se stessi, dei loro problemi, cosicché ad omologarli nella società è in un certo senso anche una personale vergogna. La vergogna della propria identità che, mentre nella sorella, interpretata magistralmente da una Carey Mulligan capace di farci innamorare del suo personaggio, destando grande tenerezza, si manifesta attraverso il tentativo di annullarla, anche fisicamente (ricerca del suicidio), riguardo il protagonista, invece, risiede nell’annullamento già avvenuto, perché dall’inizio alla fine il suo personaggio è asettico, freddo, anche quando fa sesso, come assuefatto da una vita vissuta con quella stessa finzione meccanica scandita dal ripetuto suono prodotto dal suo orgasmo che sembra scandire come un orologio, di tanto in tanto nel corso della pellicola, un tempo imprecisato, “freddo”, senza componente emozionale (appunto, il suo).
E a quanto pare al regista piace giocare sul tempo, considerando la sospensione della maggior parte delle scene, senza correre il rischio di rallentare la vicenda nel montaggio. Avrebbe forse potuto, però, mettere maggiormente in luce il rapporto tormentato dei due fratelli simili ma diversi, divisi e uniti, ma riduce a poche battute e sequenze quest’amabile immagine di apparente contrasto familiare. E infatti, sono questi i momenti più belli del film, insieme al necessario ma inaspettato crollo emotivo che pervade il protagonista verso la fine, al seguito di una parabola degenerativa che lo conduce ormai al sesso sfrenato e orgiastico con donne e uomini. Giungiamo poi ad una conclusione ciclica su quel treno visto, appunto, anche nei primi minuti del film, dopo l’immagine di Fassbender nudo, assorto, coperto quasi per metà da un lenzuolo azzurro, come pronto ad iniziare a narrare la sua storia, senza pronunciar parola, con quello stesso sguardo assente che lo pervade fino al crollo emotivo (a parte rari momenti di commozione e risate). Si presenta così ed inizia il suo viaggio emotivo, senza bisogno di uno psicologo, ed in questo sa muoversi con abilità il regista, che ce lo mostra tutto questo scavo interiore, ci dimostra che l’unico trauma fonte della vergogna esistenziale può forse ricondursi solo alla solitudine e ad una vita di routine a lavoro. E al termine dell’affondo, eccolo di nuovo sul treno il protagonista, che sembra essere guarito nel finale, sembra provare vera attrazione fisico-sentimentale per una bella ragazza che viaggia sul suo stesso vagone, ma a McQuenn piace lasciare aperta con mistero di svolgimento una porta, che si presuma possa portare a cambiamenti, perché in fondo, realisticamente parlando, l’esistenza si muove poco alla volta verso altre direzioni, contrariamente a dire il vero a quanto faccia il regista stesso quando d’un tratto improvvisamente, forse complice il corpo apollineo di Fassbender, non riesce bene a districarsi tra genere drammatico e genere erotico, ma poi ci sorprende, per l’appunto, verso la fine.
Valutazione: Ottimo
Christian Liguori
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