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Il corpo e la metropoli

Passioni e contraddizioni dello Shame di McQueen.
di Roy Menarini

In foto Michael Fassbender in una scena del film Shame di Steve McQueen.
Michael Fassbender (47 anni) 2 aprile 1977, Heidelberg (Germania) - Ariete. Interpreta Brandon nel film di Steve McQueen (II) Shame.

lunedì 16 gennaio 2012 - Approfondimenti

Nel suo film precedente, purtroppo mai distribuito in Italia – Hunger – il videoartista e regista Steve McQueen portava frontalmente sullo schermo la sofferenza corporea di Bobby Sands e altri prigionieri irlandesi nell'atto di sopportare un mortale sciopero della fame. L'intuizione stava nel ribaltare di segno la tradizione del film di denuncia e spostare l'attenzione al dramma del corpo, sempre più consunto, sino a lasciare ischeletrito l'involucro e nuda l'anima del militante. Pareva, in quel film, piuttosto evidente l'influenza di Michel Foucault e del suo Sorvegliare e punire: il filosofo francese già nel 1975 spiegava come l'istituzione carceraria ponga un problema di potere disciplinare che coinvolge il corpo umano e la sua sofferenza, supplizio, punizione. Oggi McQueen rispolvera invece la filosofia orfica e l'idea che l'anima sia imprigionata nel corpo. I patimenti sessuali dei due fratelli inquinano una forza propulsiva e vitale (l'erotismo) finendo col punire ossessivamente se stessi e il proprio corpo. Fin qui, nulla da dire: un tema ampiamente sfruttato ma degno di proiettarsi sulla società contemporanea e sulla mercificazione dell'erotismo da essa prodotta.
Il dibattito à la page sulla dipendenza dalla pornografia sembra, tuttavia, fornire a McQueen lo spunto per un conte philosohique che – sia pure elegante e visivamente raffinato – pare appesantito da un certo qual cupo moralismo. Anzitutto, mescolare patologie tra di loro raramente intrecciate o quanto meno non tutte insieme (dipendenza dalla pornografia, dipendenza dal sesso, ricerca di rapporti a pagamento, erotomania, autoerotismo compulsivo, autoerotismo in luoghi pubblici, esibizionismo) risulta abbastanza superficiale; ma anche quando – correttamente – non si volesse far la tara alla verosimiglianza medica del film, e ci si occupasse della dimensione culturale del discorso, c'è da notare come McQueen corra il rischio, spesso precipitandovi, di trascinare nella disfunzione carnale tutto il resto. Di travolgere nella malattia le mille sfumature dell'erotismo. La discussione accademica sulla pornografia, per esempio, ha ormai da anni ampiamente superato lo stadio della mera condanna, per concentrarsi sulle funzioni contraddittorie, a volte degradanti ma a volte anche liberatorie, della stessa; la rappresentazione biblica di certi rapporti sessuali del personaggio principale fanno pericolosamente rima con decadimento morale per il fatto stesso di attuarli (basti pensare alla sequenza del locale omosessuale, rappresentato come ultimo pozzo della propria umiliazione: scena, questa, che sta giustamente scatenando l'ira delle comunità gay americane, mortificate dalla scelta narrativa); Il personaggio del capo ufficio, presentato come un uomo disgustoso per il fatto stesso di tradire moglie e famiglia, pare uscito da un film anni Cinquanta. Insomma, tra l'abisso dei due fratelli e la perfetta dirittura morale sembra quasi che non esistano spazi intermedi. Una forma di determinismo che non ci saremmo aspettati da un artista profondo come Steve McQueen.

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