Drammatico,
durata 99 min.
- Gran Bretagna 2011.
- Bim Distribuzione
uscita venerdì 13gennaio 2012.
- VM 14 -
MYMONETROShame
valutazione media:
3,46
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Ecco un esempio di cinema "alla moda" che manca alla produzione italiana odierna: modesto ma *scandaloso* quanto basta per scatenare i pennivendoli imbucati nei festival.
Non c'è molto da dire su questo "Shame": la trama si riassume su un pacchetto di sigarette (e infatti non regge la durata del lungometraggio), la realizzazione è professionale ma blanda, la sensazione di programmaticità e didascalismo aleggia dall'inizo alla fine.
Rimane la bella, intensa interpretazione di Fassbender ... un pò pochetto a dire il vero.
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Dopo vari primi piani sul membro di fassbender, il film si trascina stancamente fino alla fine, non si capisce neanche perchè ha quel rapporto conflittuale con la sorella, lento, si vivacizza solo nelle scene di sesso, un film per guardoni, nulla di più...
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Abbiamo visto film sulla dipendenza dall’ alcool e sulla dipendenza dalla droga, era inevitabile che ne arrivasse uno anche sulla dipendenza dal sesso – devianza d’attualità e soprattutto maschile, alimentata com’è dall’eccesso di offerta. Con una differenza, però: lo spettatore medio non è certo attratto dalla messa in scena dell’ennesima bottiglia scolata o di un’altra spada in vena, ma il discorso può essere diverso se si tratta di una nuova scopata (poi, personalmente, trovo che nove scene di sesso su dieci siano in sostanza inutili e rallentino l’azione, ma dev’essere una convinzione minoritaria). Così, il primo rischio di una pellicola come questa è il voyeurismo e da questo punto di vista Steve McQueen (che è inglese, nero, grande e grosso – in pratica l’opposto dell’attore di ‘Getaway’) e la sua co-sceneggiatrice Abi Morgan vincono la sfida.
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Abbiamo visto film sulla dipendenza dall’ alcool e sulla dipendenza dalla droga, era inevitabile che ne arrivasse uno anche sulla dipendenza dal sesso – devianza d’attualità e soprattutto maschile, alimentata com’è dall’eccesso di offerta. Con una differenza, però: lo spettatore medio non è certo attratto dalla messa in scena dell’ennesima bottiglia scolata o di un’altra spada in vena, ma il discorso può essere diverso se si tratta di una nuova scopata (poi, personalmente, trovo che nove scene di sesso su dieci siano in sostanza inutili e rallentino l’azione, ma dev’essere una convinzione minoritaria). Così, il primo rischio di una pellicola come questa è il voyeurismo e da questo punto di vista Steve McQueen (che è inglese, nero, grande e grosso – in pratica l’opposto dell’attore di ‘Getaway’) e la sua co-sceneggiatrice Abi Morgan vincono la sfida. I rapporti sessuali sono glissati oppure mostrati in modo da sembrare il più possibile gelidi e meccanici: del resto, l’ossessionato Brandon funziona solo se l’accoppiamento è scevro da qualsiasi, seppur minimo coinvolgimento emotivo, tanto da far clamorosa cilecca quando cerca un approccio diverso con una collega d’ufficio. In questa esistenza fatta di prostitute, rapporti occasionali, siti internet e fai da te, piomba non annunciata la sorella Sissy, emotivamente instabile e con tendenze al suicidio: risulta subito chiaro che le cose prenderanno una brutta piega. Proprio nelle dinamiche fra i due fratelli e nel racconto delle loro nevrosi (si scopre che vengono da un ‘brutto posto’ e basta) il film mostra la sua parte più fragile e irrisolta, senza però inficiare un giudizio complessivo che non può essere che positivo. McQueen dimostra la propria capacità di raccontare per immagini, e stupirebbe il contrario, visto che viene dalle arti visive. Oltre a filmare una toccante versione di una canzone di per sé piuttosto tronfia come ‘New York, New York’, il regista mostra la città che non dorme mai senza sole, dominata da luci fredde e colori opachi che raccontano la vuota vita di Brandon (ogni tanto riesce anche ad andare nel suo bell’ufficio e stare cinque minuti concentrato) prima di virare in un sottofinale turgidamente (ehm…) drammatico, in cui le due scene clou sono in pratica mute - riempie la sala il quasi solo accompagnamento musicale. Al pubblico viene lasciato decidere se il protagonista abbia saputo vincere i propri demoni oppure no: la pellicola si chiude così sull’ennesimo primo piano di Fassbender, la cui interpretazione sostiene tutto il film meritandogli ampiamente la Coppa Volpi vinta a Venezia (curiosamente, dopo ‘A dangerous method’ e ‘Jane Eyre’, incrocio per la terza volta in pochi mesi l’attore tedesco-irlandese, la prima in vesti – quando le indossa – contemporanee). [-]
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Un film fatto di silenzi e sguardi che racconta una storia di un uomo sesso-dipendente. Un vuoto affettivo, l'incapacità di provare le emozioni, avvicinarsi ad un'altra persona, una sorta di handicap affettivo..... Nel ruolo di sorella, molto brava Mulligan, a sua volta ci mostra una donna molto insicura di sé, una "vittima" dei propri vuoti, infelice e dipendente degli uomini.
La solitudine.......
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Non capisco dove stia la bellezza in questo film. E' un film in cui ci si trascina per un'ora e mezza per esprimere tutto quello che era riducibile in 20-30 minuti. Apprezzabile l'esercizio di trasmettere il disagio di due vite molto diverse e separatamente difficili, ma davvero, si è davanti a una messa in scena inutilmente allungata per essere coerente coi tempi cinematografici, con abbondanza di scene nulle e inutili ripetizioni tali veramente da "slavare" la storia in una minestra che dopo mezz'ora non ha più nulla da dire.
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Non capisco dove stia la bellezza in questo film. E' un film in cui ci si trascina per un'ora e mezza per esprimere tutto quello che era riducibile in 20-30 minuti. Apprezzabile l'esercizio di trasmettere il disagio di due vite molto diverse e separatamente difficili, ma davvero, si è davanti a una messa in scena inutilmente allungata per essere coerente coi tempi cinematografici, con abbondanza di scene nulle e inutili ripetizioni tali veramente da "slavare" la storia in una minestra che dopo mezz'ora non ha più nulla da dire.
film che racconta in un'ora e mezza quello che dopo 20 minuti ha già trasmesso tutto quello che ha da dire, il resto è solo un dilungarsi che non porta nulla
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Ho molto amato quest’uomo chiuso nel suo desiderio malato, intrappolato nella tela del ragno che più ti avvolge più cerchi di scioglierti, fino a soffocarti fino a non venire più, inchiodato in una smorfia di dolore, senza liberazione, senza fine o appagato sfinimento.
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Razionalità contro instabilità. Quella di un uomo, Fassbender, che trascorre la sua piatta esistenza tra routine e sesso (di cui ne è dipendente), contrapposta a quella di una donna, Carey Mulligan, sua sorella, emotivamente fragilissima. L'opera di McQueen parte minimalista, per crescere col trascorrere dei minuti, finendo in maniera convulsa e mostrando la freddezza di passioni mai risolte, cercando di scardinare le grandi certezze quotidiane del suo protagonista (senza riuscirci del tutto) che viene messo a nudo solo fisicamente. E' un film molto complesso, a tratti durissimo e spietato, che giunge al cuore a intermittenza e che non a tutti piacerà. Film realisticamente hot, una storia di eccessi, stavolta erotici, come fu storia d'eccessi il primo film del videoartista britannico, "Hunger" (al cinema da noi in questi giorni, finalmente!!!), così carico di sangue e violenza.
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Razionalità contro instabilità. Quella di un uomo, Fassbender, che trascorre la sua piatta esistenza tra routine e sesso (di cui ne è dipendente), contrapposta a quella di una donna, Carey Mulligan, sua sorella, emotivamente fragilissima. L'opera di McQueen parte minimalista, per crescere col trascorrere dei minuti, finendo in maniera convulsa e mostrando la freddezza di passioni mai risolte, cercando di scardinare le grandi certezze quotidiane del suo protagonista (senza riuscirci del tutto) che viene messo a nudo solo fisicamente. E' un film molto complesso, a tratti durissimo e spietato, che giunge al cuore a intermittenza e che non a tutti piacerà. Film realisticamente hot, una storia di eccessi, stavolta erotici, come fu storia d'eccessi il primo film del videoartista britannico, "Hunger" (al cinema da noi in questi giorni, finalmente!!!), così carico di sangue e violenza. Come per il suo esordio da regista, McQueen sceglie ancora Fassbender, maturo, intenso, credibile, nella sua vita che spazia dal sesso al sesso e ci abbaglia con la sua immensa capacità di raccontare con tocco proprio e originalità lasciando che siano spazi, cose e suoni a narrare più (e meglio) delle parole e dei fatti. Anche i corpi servono a questo e Fassbender riesce a dare un'anima al suo corpo nudo, straziante e struggente come un grido senza voce. Regista e attore formano una coppia affiata e già al lavoro per girare il terzo film assieme, ma non potrebbero essere più diversi e ricordano per molti versi, il binomio dei tempi d'oro Scorsese-DeNiro. Tornando al film, che avrebbe meritato maggiore attenzione agli Oscar, è duro e innovativo, un vero e proprio viaggio negli inferi di un uomo libero che si fa imprigionare da un'ossessione, da spazi asettici e da vestiti, con la sciarpa a far da cappio. Anche la New York buia e selvaggia mostrata aiuta a rendere il dramma ancora più torbido, cupo e pericolosamente affascinanate mentre la storia personale del protagonista diventa occasione per riflettere in maniera universale e sfaccettata sul tema del bisogno. L'occhio di McQueen rimane sempre neutrale, il taglio va dal documentaristico al sofisticato perchè l'opera è carica di musica, colpi di classe e virtuosismi registici e segue un percorso logico ben definito. Va visto, ma anche sentito e vissuto, non risultando scandaloso (semmai scabroso), piuttosto un triste melò contemporaneo che fa di McQueen il miglior giovane autore in circolazione e di Fassbender uno dei migliori giovani attori assieme a Ryan Gosling, capace già di di vantare una galleria di personaggi straordinari, da Stelios al giovane Magneto, dal bastardo senza gloria al sex-addict disperatamente incapace di avere relazioni autentiche e di essere schiavo delle sue pulsioni, che forse è quello meglio riuscito e che gli è anche valso una Coppa Volpi.
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Un film profondo che ambisce a narrare una storia senza eventi e che, dipingendo la quotidianità di un uomo, è stato in grado di tracciarne il dramma facendo addentrare lo spettatore nell’antro di una mente danneggiata.
Il protagonista viene raffigurato come un uomo che conduce una vita apparentemente perfetta ma che, già dalle prime sequenze, appare avulsa da ogni significato. Il senso sembra essere, infatti, un elemento assente che spoglia ogni azione dalle emozioni e, così, il sesso assume le sembianze di una compulsione e per Brandon appare interdetto ogni legame affettivo.
Il corpo diviene dunque il teatro sul quale si inscena un dramma interiore, diviene mero strumento al servizio di una mente che, troppo impegnata a sopravvivere, non è più in grado di vivere.
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Un film profondo che ambisce a narrare una storia senza eventi e che, dipingendo la quotidianità di un uomo, è stato in grado di tracciarne il dramma facendo addentrare lo spettatore nell’antro di una mente danneggiata.
Il protagonista viene raffigurato come un uomo che conduce una vita apparentemente perfetta ma che, già dalle prime sequenze, appare avulsa da ogni significato. Il senso sembra essere, infatti, un elemento assente che spoglia ogni azione dalle emozioni e, così, il sesso assume le sembianze di una compulsione e per Brandon appare interdetto ogni legame affettivo.
Il corpo diviene dunque il teatro sul quale si inscena un dramma interiore, diviene mero strumento al servizio di una mente che, troppo impegnata a sopravvivere, non è più in grado di vivere.
Ciò che si coglie sono, quindi, gli esiti di una storia che lasciano intravedere il dolore che un uomo può portarsi addosso con le sue tragiche conseguenze.
"Noi non siamo cattive persone è solo che veniamo da un brutto posto"...quando la difesa spezza la psiche ed il significato abbandona il corpo e la vita
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Perturbabilissime anime candide si concentrano sulla visione frontale del fallo di Fassbender. E' lo stupore un po' beota di chi guarda il dito (beh, non proprio) anziché la luna.
Ma in "Shame" non c'è sesso. C'è una genitalità rituale eppur consapevole, c'è l'ostinata ricerca di un non senso all'interno di una vita che lo ha perso, dal primo vagito.
Allora diciamola tutta: scopare con pezzi di carne senza anima e parole, masturbarsi all'ora del break, accendere distrattamente il computer e posizionarlo sulle chat erotiche mentre due bacchette violano l'ordine di un cartoccio di cibi precotti, equivale ad un qualsiasi nostro rituale, di noi che ci riteniamo normali. Corrisponde ai pomeriggi con la Venier, alle domeniche con Del Piero, alle feste comandate, alle torte, alle candeline, ai conati di felicità.
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Perturbabilissime anime candide si concentrano sulla visione frontale del fallo di Fassbender. E' lo stupore un po' beota di chi guarda il dito (beh, non proprio) anziché la luna.
Ma in "Shame" non c'è sesso. C'è una genitalità rituale eppur consapevole, c'è l'ostinata ricerca di un non senso all'interno di una vita che lo ha perso, dal primo vagito.
Allora diciamola tutta: scopare con pezzi di carne senza anima e parole, masturbarsi all'ora del break, accendere distrattamente il computer e posizionarlo sulle chat erotiche mentre due bacchette violano l'ordine di un cartoccio di cibi precotti, equivale ad un qualsiasi nostro rituale, di noi che ci riteniamo normali. Corrisponde ai pomeriggi con la Venier, alle domeniche con Del Piero, alle feste comandate, alle torte, alle candeline, ai conati di felicità.
Guardare, per credere, il lungo, spossante, meraviglioso, straniante (nel quieto e fastidioso candore del cameriere che snocciola i topoi della cena - della vita - "come deve essere") piano sequenza al ristorante.
Ci sono due corpi, due menti che non si incontreranno mai.
Il dramma è questo: la consapevolezza della propria unicità malata e dell'impossibilità di armonizzarla con chi sia disposto ad aprirsi ad essa, senza mai poterla capire fino in fondo.
Come con i legami familiari. "Tu sei soltanto mia sorella. Io non ti ho messo al mondo". Non ci si può occupare e preoccupare dei corpi altrui, se non bruciarli in un uso reciprocamente (e ferinamente) snob. Fino alla fine, fino al sangue, che lacera vene e ferite dell'anima che si pensavano già cauterizzate.
Da"Shame" esala un quasi inebriante odore di morte. E' facile capirlo. Meno facile, più doloroso, è capire che nei primi piani (facciali) del superbo Fassbender ci siamo noi e la nostra vita, e la ricerca di quel salto nell'infinito che solo una mezzora di oblio può (non) dare.
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Da una parte c'è un bravissimo attore - Fassbender - che da solo regge tutto il suo personaggio, dall'altra c'è una trama che, molte volte, stenta a decollare e necessiterebbe di un quid narrativo che purtroppo manca. Peccato che il personaggio di Carey Mulligan sia stato poco approfondito: meritava un trattamento meno scontato e, soprattutto, un'indagine introspettiva che manca anche al protagonista: qualcosa che scavi nel passato per scoprire le radici di tante ossessioni e infelicità.
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Da una parte c'è un bravissimo attore - Fassbender - che da solo regge tutto il suo personaggio, dall'altra c'è una trama che, molte volte, stenta a decollare e necessiterebbe di un quid narrativo che purtroppo manca. Peccato che il personaggio di Carey Mulligan sia stato poco approfondito: meritava un trattamento meno scontato e, soprattutto, un'indagine introspettiva che manca anche al protagonista: qualcosa che scavi nel passato per scoprire le radici di tante ossessioni e infelicità. Emotivamente "Shame" ha un impatto piuttosto forte, ma per essere davvero completo dovrebbe avere delle radici più profonde e chiarificatrici.[-]
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