gianleo67
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venerdì 1 novembre 2013
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il sonno dei sentimenti genera mostri
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Avvenente e dinamico yuppie newyorkese cela,dietro l'eleganza dei modi e l'irrestistibile appeal verso l'altro sesso, una radicale anaffettività che lo porta ad intrattenere solo rapporti mercenari e ad alimentare una insana compulsione sessuale che inquina irrimediabilmente la sua vita professionale e privata. Quando la problematica sorella, trasferitasi per qualche tempo in casa sua, cerca di scuoterlo e di riallacciare con lui un rapporto umano, reagisce dapprima con freddezza e poi con una insofferenza sempre più ostile. L'ennesimo tentativo di suicidio di quest'ultima, che egli riesce appena a sventare, sembra fargli prendere coscienza del dramma insostenibile della sua condizione.
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Avvenente e dinamico yuppie newyorkese cela,dietro l'eleganza dei modi e l'irrestistibile appeal verso l'altro sesso, una radicale anaffettività che lo porta ad intrattenere solo rapporti mercenari e ad alimentare una insana compulsione sessuale che inquina irrimediabilmente la sua vita professionale e privata. Quando la problematica sorella, trasferitasi per qualche tempo in casa sua, cerca di scuoterlo e di riallacciare con lui un rapporto umano, reagisce dapprima con freddezza e poi con una insofferenza sempre più ostile. L'ennesimo tentativo di suicidio di quest'ultima, che egli riesce appena a sventare, sembra fargli prendere coscienza del dramma insostenibile della sua condizione. Ma, si sà, il lupo perde il pelo...
Dramma compatto e ossessivo che rielabora un immaginario metropolitano alla Bret Easton Ellis ed in cui la patologia mentale di un insospettabile yuppie (là era la maschera allucinata di un killer seriale con il volto ridanciano di Christian Bale, qui lo sguardo affascinante e malato del bel Fassbender) segna la irreversibile deriva della civiltà occidentale nella sua regressione verso le pulsioni primordiali e predatorie della natura umana; dove,sotto la superficie di una apparente normalità dei rapporti e dei costumi, si cela il vuoto pneumatico di una violenza feroce e devastante, l'ultimo stadio di una involuzione culturale che annichilisce sovrastrutture e freni inibitori fino all'ineluttabile predominio degli istinti più ancestrali sepolti dai milioni di anni di evoluzione che ci separano dall'uomo di Neanderthal.
Visivamente affascinate nel suo tentativo di ricreare lo stridente contrasto tra gli elementi riconoscibili di una rutilante modernità urbana (il loft,i locali alla moda, la metropolitana, gli asettici ambienti di lavoro) e le pulsioni animali che si agitano sotto la rassicurante corazza di abiti firmati e cappelli alla moda (vintage), è attraversato dal cupo nichilismo di una inesorabile discesa agli inferi e sottolineato dall'eleganza austera di una colonna sonora che recupera il dolente virtuosismo delle interpretazioni classiche di Glenn Gould.
Forse carente e irrisolto in alcuni passaggi narrativi a causa della irriducibile allusività della materia trattata, pare invece riuscito nella costruzione del personaggio principale (un superlativo Fassbender) quale prototipo di una ferinità sessuale malata e compulsiva come insanabile conseguenza di un indicibile trauma infantile, come pure credibile appare la complessa eleganza delle caratterizzazioni psicologiche tra il pudore con cui abbozza l'ambigutà strisciante di una relazione incestuosa (suggestiva ed intensa l'interpretazione 'emotiva' di 'New York,New York' da parte della Mulligan) e lo sfrontato corteggiamento rituale di una comunicazione non verbale che chiude magistralmente il film nell'ammiccante e cinico disincanto della scena finale.
Meritatissima Coppa Volpi a Michael Fassbender per la miglior interpretazione maschile alla 68ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Il sonno dei sentimenti genera mostri.
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iankenobi
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sabato 19 ottobre 2013
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per me capolavoro
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film sul dolore...dolore per l vita,dolore per l'impossibilita' di viveralka una vita normale.
Perche'?perche' le barriere di una vita vita non possono essere cancellate.
Come al solito un mcqueen che risce a trovare la bellezza nell' orrore e viceversa.
Una new york quanto mai gelida e rarefatta, fa' da sfondo al personaggio di brandon,mi inchino di fronte a sua mesta' fassender,perche' in una catarsi totale mi sono rivisto in lui,in tutte le sue fragilita' e paure...............
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fabriziosicignano93
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venerdì 11 ottobre 2013
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voluttuoso, depravato e voyeurista
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Voglia irrefrenabile di metterlo a qualcuno.
Perdonereta la volgarità ma quando ho visto questo film è stato come vedere l'immagine riflessa della realtà vissuta da chi dipende dal sesso.
Una spirale tortuosa di nudità veritiera. Mai il sesso così esplicito e gli sguardi maliziosi, denudanti e voluttuosi di Michael Frassbender hanno dimostrato di saper mostrare cosa sia il sesso quando esso diventa una droga.
Incalzanti le scene di esposizione alla pornografia. Implacabile il desiderio di sbatterlo pagando.
Tutto ciò accompagnato da una fotografia che ci consegna l'immagine perbenista da un lato, e quella depravata dall'altro, attraverso contrasti tra illuminazioni e opacità febbrili.
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Voglia irrefrenabile di metterlo a qualcuno.
Perdonereta la volgarità ma quando ho visto questo film è stato come vedere l'immagine riflessa della realtà vissuta da chi dipende dal sesso.
Una spirale tortuosa di nudità veritiera. Mai il sesso così esplicito e gli sguardi maliziosi, denudanti e voluttuosi di Michael Frassbender hanno dimostrato di saper mostrare cosa sia il sesso quando esso diventa una droga.
Incalzanti le scene di esposizione alla pornografia. Implacabile il desiderio di sbatterlo pagando.
Tutto ciò accompagnato da una fotografia che ci consegna l'immagine perbenista da un lato, e quella depravata dall'altro, attraverso contrasti tra illuminazioni e opacità febbrili.
Perchè il sesso "corposo" è violenza, e lo si può fare solo con chi apprezza la violenza... ma non con chi si ama.
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elray
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domenica 29 settembre 2013
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shame: il labirinto della vergogna
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Immenso. Labirintico. Selvaggio.
Un melodramma intenso che scuote e ipnotizza.
La rappresentazione della vergogna di Brandon.
Un uomo slegato dal suo sé più profondo. Meccanicamente freddo, aggressivamente esplicito. Immerso nella società del profitto e della prestazione. Diviso tra pulsione animale e morale sociale castrante.
E del suo rapporto estetico/narcisistico/distruttivo con il sesso. Quello femminile. Che può essere innescato solo se distante, sconosciuto, estraneo.
Un film crudo che svela la solitudine di un uomo, così lontano così vicino, ad una società frigida e asettica, satura come le luci, i colori e le musiche che costituiscono il film e la città in cui piano sprofonda.
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Immenso. Labirintico. Selvaggio.
Un melodramma intenso che scuote e ipnotizza.
La rappresentazione della vergogna di Brandon.
Un uomo slegato dal suo sé più profondo. Meccanicamente freddo, aggressivamente esplicito. Immerso nella società del profitto e della prestazione. Diviso tra pulsione animale e morale sociale castrante.
E del suo rapporto estetico/narcisistico/distruttivo con il sesso. Quello femminile. Che può essere innescato solo se distante, sconosciuto, estraneo.
Un film crudo che svela la solitudine di un uomo, così lontano così vicino, ad una società frigida e asettica, satura come le luci, i colori e le musiche che costituiscono il film e la città in cui piano sprofonda.
Un alone malsano, incestuoso immerge i corpi dei protagonisti che sembrano sporcare tutto ciò che toccano. Sentimenti esasperati, corpi esibiti, muri di vetro, barriere. McQeen inquadra e segue Brandon nel suo delirio anaffettivo, con lunghe sequenze che ne sottolineano l'alienazione e la caduca romanticità. Lo rendono un gelido angelo caduto, destinato a morire avvolto su se stesso. Forse.
Un cane che si morde la coda, un amor fati che condanna a commettere gli stessi errori e le stesse azioni all'infinito, come se il proprio passato inficiasse in qualche modo ogni possibilità di futuro. Un presente continuo che vive di ripetizioni psicotiche e indotte. Un paziente sotto sedativi, una macchina scassata tenuta in piedi da un'innato istinto di sopravvivenza.
Shame è la volontà minata da una passività distruttrice.
Shame siamo noi.
Qui.
Adesso.
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rita branca
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lunedì 23 settembre 2013
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vergogna d’amare?
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Shame, film (2011) di Steve McQueen con Michael Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Nicole Beharie
Questo film drammatico dal ritmo lento, ambientato a New York, espone con efficacia la tragedia dello squallore umano elevato alla massima potenza, riempiendo lo spettatore dello stesso sgomento provocato da storie di cronaca contemporanea anche vicinissime a noi.
Attraverso la vita del protagonista, il single Brandon Sullivan, un algido uomo qualunque con lavoro regolare, dallo sguardo impenetrabile e vagamente inquietante, si esplora il percorso esasperante di una creatura alla ricerca di piacere solo fisico, che sembra non conoscere vie alternative, che, anzi quando casualmente le incrocia, ne è disorientato.
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Shame, film (2011) di Steve McQueen con Michael Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Nicole Beharie
Questo film drammatico dal ritmo lento, ambientato a New York, espone con efficacia la tragedia dello squallore umano elevato alla massima potenza, riempiendo lo spettatore dello stesso sgomento provocato da storie di cronaca contemporanea anche vicinissime a noi.
Attraverso la vita del protagonista, il single Brandon Sullivan, un algido uomo qualunque con lavoro regolare, dallo sguardo impenetrabile e vagamente inquietante, si esplora il percorso esasperante di una creatura alla ricerca di piacere solo fisico, che sembra non conoscere vie alternative, che, anzi quando casualmente le incrocia, ne è disorientato. Ciò avviene solo con due persone, negli innumerevoli e squallidi rapporti sessuali casuali o ricercati che vive: uno con una sua collega che, nel corso di un approccio fisico, lo tratta come succede in un vero rapporto d’amore e le carezze di lei prima lo stupiscono, facendolo frenare, e poi lo bloccano completamente come durante una comunicazione in cui il codice da usare è sconosciuto; l’altro è quello con la problematica sorella, molto desiderosa di dare e ricevere affetto e che, forse proprio per questo Brendon vorrebbe respingere, profondamente turbato. I sentimenti sono accuratamente scansati da lui, come se scottassero. La sua esistenza è colmata di pornografia sia per mezzo di riviste patinate, locali del sesso, che di chat porno on line, insomma niente che somigli anche vagamente ad un rapporto appagante che superi l’attimo fuggente anche affrontando l’altra faccia dei rapporti umani, quella che ad ognuno chiede un tributo di responsabilità.
Steve McQueen offre un caleidoscopio dalle tinte cupe dove si muovono piccole figure Infelici alla ricerca dell’effimero super temporaneo incapace di lasciare tracce d’emozione o squarci di gioia duratura e appagante.
Dopo una tragedia sfiorata che coinvolge fratello e sorella, il protagonista, inquadrato al centro di una carreggiata, si scioglie in un pianto dirotto…. finalmente il segno che forse, molto in fondo al suo cuore, qualcosa di umano è rimasto insieme ad una punta di shame, vergogna, e, ben alimentato, potrebbe crescere e far sperare in una vita più significativa e felice, degna di un uomo maturo insomma.
Rita Branca
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jacopo b98
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giovedì 22 agosto 2013
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un'opera coraggiosa con un grande fassbender
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A New York, Brandon (Fassbender) lavora in un’azienda ed è un uomo di successo, è discretamente bello e molto affascinante. Ma è profondamente infelice: è infatti un maniaco sessuale, è malato di sesso, si masturba a casa e in ufficio, va a letto con tutte le sue conquiste serali, frequenta prostitute, organizza orge, guarda video porno mentre mangia cena. Nonostante ciò non riesce a intrattenere una relazione, non riesce ad avere un rapporto fisso con una donna, proprio a causa della sua dipendenza. L’arrivo della sorella Sissy (Mulligan) lo sconvolgerà, ma servirà una tragedia a cambiarlo e guarirlo. Forse. È il secondo film dell’afroamericano McQueen ed il secondo con Fassbender protagonista, dopo Hunger (2008, ma in Italia è uscito dopo Shame, proprio per il successo di pubblico, critica e scandalo di quest’ultimo).
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A New York, Brandon (Fassbender) lavora in un’azienda ed è un uomo di successo, è discretamente bello e molto affascinante. Ma è profondamente infelice: è infatti un maniaco sessuale, è malato di sesso, si masturba a casa e in ufficio, va a letto con tutte le sue conquiste serali, frequenta prostitute, organizza orge, guarda video porno mentre mangia cena. Nonostante ciò non riesce a intrattenere una relazione, non riesce ad avere un rapporto fisso con una donna, proprio a causa della sua dipendenza. L’arrivo della sorella Sissy (Mulligan) lo sconvolgerà, ma servirà una tragedia a cambiarlo e guarirlo. Forse. È il secondo film dell’afroamericano McQueen ed il secondo con Fassbender protagonista, dopo Hunger (2008, ma in Italia è uscito dopo Shame, proprio per il successo di pubblico, critica e scandalo di quest’ultimo). È un film desolante, triste e grigio. E non parliamo solo dei colori della fotografia, bensì del colore che il film lascia nello spettatore: è un film sconvolgente quest’opera sulla dipendenza dal sesso. E qui si pone la domanda: quanto c’è di erotico nelle numerose scene di sesso e nudo (incluso quello frontale di Fassbender all’inizio)? Ben poco. La sequenze sessuali sono girate, come tutto, con occhio distaccato e l’ultima orgia, muta, con Brandon insieme alle due prostitute, è priva totalmente di erotismo, anzi, è la sua depravazione. C’è solo la musica, che fa contorno alla vera protagonista della scena e del film: la disperazione, che è dovunque. Commovente, ricco di sequenze memorabili (la corsa verso casa finale e soprattutto il ritrovamento della sorella moribonda in un lago di sangue). McQueen non commenta, si astiene dal giudicare: mostra e basta. Estrema cura nella scelta delle inquadrature che impreziosiscono un’opera di notevole valore. Fassbender, Coppa Volpi a Venezia 68, ci regala un’interpretazione da Oscar, premio a cui non fu neanche nominato. Sua degna compagna e complice è la Mulligan, all’ennesima dimostrazione di bellezza e talento. Magnifica colonna sonora musicale, che alterna pezzi originali (composti da Harry Escott) a brani classici (Bach).
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(di irene)
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tarantinofan96
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martedì 2 luglio 2013
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va visto col cervello!
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Shame non è esattamente il film da vedere con la propria ragazza, ma è un film tosto e impegnativo. Un film che parla di un uomo (Brandon) imprigionato nella sua dipendenza dal sesso senza sentimenti. Una dipendenza che alimenterà sempre di più la sua sofferenza, fino a rifiutare la sorella e ad avere anche rapporti omosessuali. La seconda opera di McQueen crea un' atmosfera cupa e drammatica che cattura lo spettatore, anche grazie alla splendida colonna sonora e lo trascina dentro i sentimenti del protagonista: un uomo che, come dice a un certo punto nel film, non riesce a capire come le persone al giorno d'oggi possano sposarsi e passare il resto della vita con una sola persona.
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Shame non è esattamente il film da vedere con la propria ragazza, ma è un film tosto e impegnativo. Un film che parla di un uomo (Brandon) imprigionato nella sua dipendenza dal sesso senza sentimenti. Una dipendenza che alimenterà sempre di più la sua sofferenza, fino a rifiutare la sorella e ad avere anche rapporti omosessuali. La seconda opera di McQueen crea un' atmosfera cupa e drammatica che cattura lo spettatore, anche grazie alla splendida colonna sonora e lo trascina dentro i sentimenti del protagonista: un uomo che, come dice a un certo punto nel film, non riesce a capire come le persone al giorno d'oggi possano sposarsi e passare il resto della vita con una sola persona. Brandon non capisce questo e non può capirlo non avendo mai provato simili sentimenti. Shame è un film che va visto col cervello e col cuore. Bisogna andare al di là delle scene esplicite per capire il vero significato del film, ovvero una storia di sofferenze a di rimpianti. Michael Fassbender torna al servizio di Steve McQueen dopo "Hunger" con un' interpretazione magistrale, forse la sua migliore.
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kondor17
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venerdì 14 giugno 2013
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dal gioco alla depravazione al dramma
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Prima ora eccezionale, seconda rivedibile per alcuni salti narrativi che spiazzano. Il cupo dramma in cui cade il sesso-dipendente Brandon è comunque un quadro ahimè realistico e crudo del baratro presente lì, dietro la porta, nel metrò, nello schermo di un computer o di uno smartphone. Un fascino sottile permette a Brandon, rampante newyorkese con "vizietto", di trasmettere desiderio e messaggi telepaticamente, in un gioco di sguardi che è reso benissimo da un regista coi fiocchi. La prima ora è un ritratto del Caravaggio, la seconda direi più un Goya, o un Munch. Tutto inizia quando Brandon viene "beccato" dal "capo-amico arrapato" David, divenuto intimo della sorella Sissy, in occasione di una riparazione necessaria al suo PC, dentro al quale viene casualmente riscontrata una quantità industriale di tutto il panorama di pornografia adulta presente nel web, dagli acronimi (BJ, DP ecc.
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Prima ora eccezionale, seconda rivedibile per alcuni salti narrativi che spiazzano. Il cupo dramma in cui cade il sesso-dipendente Brandon è comunque un quadro ahimè realistico e crudo del baratro presente lì, dietro la porta, nel metrò, nello schermo di un computer o di uno smartphone. Un fascino sottile permette a Brandon, rampante newyorkese con "vizietto", di trasmettere desiderio e messaggi telepaticamente, in un gioco di sguardi che è reso benissimo da un regista coi fiocchi. La prima ora è un ritratto del Caravaggio, la seconda direi più un Goya, o un Munch. Tutto inizia quando Brandon viene "beccato" dal "capo-amico arrapato" David, divenuto intimo della sorella Sissy, in occasione di una riparazione necessaria al suo PC, dentro al quale viene casualmente riscontrata una quantità industriale di tutto il panorama di pornografia adulta presente nel web, dagli acronimi (BJ, DP ecc.) agli incontri, dai film ai messaggi. La masturbazione, presente massiccia al'inizio del film, e comunque latente o inapparente nel resto, sembra per lui non tanto il mezzo per raggiungere il compimento del piacere, quanto invece per stimolare altre, più stimolanti, avventure. Tornato a casa Sissy lo becca, appunto, nell'atto e facendo 1+1 si arriva a 2. Brandon va nel panico, elimina altre quantità industriali di cd, videocassette, riviste, il suo laptop privato: tutto dentro 5 sacchetti neri condominiali per l'immondizia. Ma il male si è ormai insinuato, mortale, nella sua mente: e non è eliminando le prove che si guarisce. La spirale discendente è ormai inarrestabile, come la sua sete di sesso, che lo porterà, probabilmente ormai disoccupato, alla vita per strada, con tutti, ma dico tutti, gli annessi e connessi. Il finale è veramente drammatico.
Il film è ben fatto e fa riflettere. Il baratro, la porta, la sottile linea di confine... il bene, il male... il piacere e la dipendenza. Shame è un film istruttivo e intelligente, che dovrebbe essere visto dagli uomini, ma soprattutto dalle donne. Se non ha avuto il successo che merita, credo che il perchè sia più che chiaro: argomento scabroso e scomodo, soprattutto per le alte sfere di industriali e politici e di industriali-politici (:), notoriamente tra i maggiori fruitori della cosa. Fino a prova contraria, in fondo, siamo tutti dei santi ;) ... ma che non lo sappia il parroco!
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fabiana dantinelli
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martedì 11 giugno 2013
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l’uomo che non sapeva amare
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Uno come Brandon Sullivan non si dimentica. Fa parte di quel privilegiato stuolo di personaggi che riescono a far scuola, nonostante le premesse solo in apparenza scontate. Eh già, perché lui è bello, ricco, affascinante e vive al centro del mondo, in una New York notturna e misteriosa che può soddisfare ogni desiderio. Come non immaginare allora il facilissimo dark side di un rampante trentenne della grande mela? E lato oscuro sia, ma stavolta con stile, perché il problema di Brandon è cupo e inconfessabile, ma con quel quid in più che ce lo fa amare, lui che di amore non riesce a nutrirsi, famelico fruitore di perversioni sessuali d’ogni sorta e genere. Affamato sì, come il Bobby Sands di “Hunger”, di cui peraltro confessa le medesime origini irlandesi nell’unico fallimentare incontro galante del film, ma di una fame più squallida, tipicamente post-moderna.
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Uno come Brandon Sullivan non si dimentica. Fa parte di quel privilegiato stuolo di personaggi che riescono a far scuola, nonostante le premesse solo in apparenza scontate. Eh già, perché lui è bello, ricco, affascinante e vive al centro del mondo, in una New York notturna e misteriosa che può soddisfare ogni desiderio. Come non immaginare allora il facilissimo dark side di un rampante trentenne della grande mela? E lato oscuro sia, ma stavolta con stile, perché il problema di Brandon è cupo e inconfessabile, ma con quel quid in più che ce lo fa amare, lui che di amore non riesce a nutrirsi, famelico fruitore di perversioni sessuali d’ogni sorta e genere. Affamato sì, come il Bobby Sands di “Hunger”, di cui peraltro confessa le medesime origini irlandesi nell’unico fallimentare incontro galante del film, ma di una fame più squallida, tipicamente post-moderna. Eccolo lì allora, fra bordelli psichedelici, rapporti occasionali, prostitute multietniche e sesso online, sempre inquieto e ossessionato da un male di vivere che i più non riescono a comprendere. Ma se di solitudini capitaliste si parla, non può non mancare la controparte femminea, la fragile e ribelle Sissy, sorella bambina che rimbalza fra dipendenze affettive, morbosamente preda di un irrisolto complesso di Elettra e al contrario di Brandon alla disperata ricerca di sentimento. Memorabile in quel suo abitino scintillante e il taglio alla Marylin, lassù fra i picchi della skyline di Manhattan, canta con la voce più triste del mondo che sì, lei avrà un nuovo inizio, perché se può farlo a New York, potrà farlo ovunque. Eppure quella city cosmopolita e generosa si mostra infine amara, la mela lascia in bocca il sapore del marcio. Che ne resterà di questa strana coppia di fratelli maledetti? Il regista Steve Mc Queen, talento indipendente della macchina da presa, lascia lo spettatore giudice di sé stesso, perché in fondo Brandon e Sissy sono solo gli spettri esacerbati di qualcuno o qualcosa, in cui seppur malvolentieri dobbiamo ammettere di riconoscerci. Straordinarie le interpretazioni di Carey Mulligan (classe 1985 e già candidata all’Oscar per “An Education”, prima sceneggiatura dell’apprezzato romanziere Nick Hornby) e Michael Fassbender, ormai eletto feticcio cinematografico del regista afroamericano, omonimo dell’indimenticato attore dalla “vita spericolata”. In “Shame” lo ritroviamo protagonista nei panni del tenebroso Brandon, immortalato più volte fra lenzuola gualcite, là dove Bobby Sand l’aveva lasciato smunto e scheletrico, quasi un sudario umano di peccati che non scivolano più via, neppure di fronte a quella nudità fortemente ostentata, dove il corpo vuole, pretende, strepita per essere guardato e vissuto fino all’estremo. Una poesia di inquadrature pulite ed espressive, perfettamente narrative, in un sottile gioco di incastri e rimandi, dove a farla da padrone è sempre il dettaglio, dalle nocche insanguinate ai riflessi di un orecchino, col sottofondo ora di taglienti assolo di piano, ora delle note malinconiche di leggende del blues. Mc Queen si riconferma dopo “Hunger” un piccolo grnde maestro della regia, uno che non tralascia nulla, a partire dai titoli, sempre straordinariamente evocativi: nel 2009 era la “fame”, di libertà, indipendenza, rivendicazione, qui la “vergogna” verso pulsioni insopprimibili dannatamente familiari. Pellicola degna di trionfi, ma dopotutto giustamente scartata dall’Academy, troppo politically uncorrect… of course!
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matteo manganelli
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martedì 14 maggio 2013
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i piani sequenza di steve mcqueen
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Il tipo di cinema che piace a me; quello che vive più di immagini mute che di parole. E in questo caso parliamo di immagini mozzafiato di una New York grigia, buia, priva di speranze, come il protagonista. Una fotografia immensa per una regia fatta di piani sequenza infiniti, per stare al passo con i tempi morti della vita di Brandon, uomo d'affari sessodipendente alle prese con l'improvviso ritorno della sorella minore. Il film non ha molto da raccontare, è vero. Non c'è una vera trama con uno sviluppo narrativo. Per questo il film funziona; perchè è esattamente come la vita. Lunghe camminate, tempi morti infiniti, dialoghi occasionali come le avventure sessuali dello stesso Brandon e niente di positivo in nessuna inquadratura.
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Il tipo di cinema che piace a me; quello che vive più di immagini mute che di parole. E in questo caso parliamo di immagini mozzafiato di una New York grigia, buia, priva di speranze, come il protagonista. Una fotografia immensa per una regia fatta di piani sequenza infiniti, per stare al passo con i tempi morti della vita di Brandon, uomo d'affari sessodipendente alle prese con l'improvviso ritorno della sorella minore. Il film non ha molto da raccontare, è vero. Non c'è una vera trama con uno sviluppo narrativo. Per questo il film funziona; perchè è esattamente come la vita. Lunghe camminate, tempi morti infiniti, dialoghi occasionali come le avventure sessuali dello stesso Brandon e niente di positivo in nessuna inquadratura. Probabilmente a livello di soggetto non ci siamo e anche la sceneggiatura è fin troppo blanda, ma il tutto viene recuperato dalla regia di Steve McQueen e dall'interpretazione magistrale di Michael Fassbender. Lo ammetto, non mi ha fatto impazzire, ma lo consiglio a tutti quelli che vogliono vedere un cinema visivamente raffinato e artisticamente premeditato. Per le donne aggiungo anche che Fassbender fa invidia anche a Rocco Siffredi. Per gli uomini, invece, aggiungo anche che c'è una discreta quantità di vagina nel film. In generale, per concludere, dico che è davvero un film che merita di essere visto.
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[+] magari
(di irene)
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