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Ogni casa è illuminata

Terzani rivive in La fine è il mio inizio, tratto dall'omonimo libro di memorie.
di Ilaria Ravarino

Bruno Ganz ed Elio Germano in una scena del film La fine è il mio inizio di Jo Baier.
Bruno Ganz 22 marzo 1941, Zurigo (Svizzera) - 16 Febbraio 2019, Wädenswil (Svizzera). Interpreta Tiziano Terzani nel film di Jo Baier La fine è il mio inizio.

venerdì 25 marzo 2011 - Incontri

Parla svelto, Folco Terzani, senza accento, e sembra un fiume in piena. Ha 41 anni ma ne dimostra dieci di meno, con i capelli lunghi e i jeans da ragazzino, questo adulto bambino che spende fiumi di parole su suo padre ma di sé dice soltanto di esser venuto al mondo «in una valigia». A due settimane di vita era già su una nave che dall'America lo portava in Italia, poco dopo era a Singapore, e ancora attraverso l'Asia, infine in Cina, dove a 12 anni di giorno faceva l'alzabandiera e di sera piangeva di nascosto per non deludere il padre Tiziano. Un padre «ingombrante», un mostro sacro del giornalismo, corrispondente dal Vietnam e dalla Cina, che quando Folco era solo un'idea voleva chiamarlo Mao. E che prima di morire, spento da un tumore, proprio Folco ha voluto accanto a sé per raccontargli come la sua vita fosse cambiata, finalmente illuminata, e per raccogliere le sue memorie in un libro, "La fine è il mio inizio", che oggi è anche un film in sala dal 1 aprile. A presentarlo a Roma ci sono gli interpreti, Bruno Ganz, Elio Germano e Andrea Osvart, il regista Jo Baier e tutta la famiglia di Tiziano Terzani: la figlia Saskia, biondissima e mite, la moglie Angela, e Folco. Che da suo padre ha ereditato, prima di tutto, l'innata capacità di conquistare la scena.



LA FAMIGLIA TERZANI

Che cosa significa crescere con un padre così ingombrante?
Folco Terzani: Sì, papà è stato ingombrantissimo. Ma è stato anche una delle persone più interessanti che abbia mai conosciuto in vita mia. Del resto sono convinto che più le esperienze sono difficili da affrontare, e più ti insegnano qualcosa. Era un rompiscatole e con lui c'era sempre da discutere, però ti faceva sentire vivo. Anche il suo modo di essere pacifista, era un modo... non beato, ma arrabbiato. In questo trovo che l'interpretazione di Bruno Ganz sia riuscita perfettamente a restituire la sua forza. Con lui sono cresciuto molto velocemente, fino ai 18 anni: allora è cominciato il conflitto. Avevo bisogno del mio spazio, litigavamo sempre e io non vincevo mai. L'unica volta che l'ho sopraffatto è stata 2-3 settimane prima che morisse. Era debole, così tanto che l'ho battuto. Sono esploso, mi sono arrabbiato, l'ho mollato da solo in macchina esattamente come vedete nel film. E la cosa incredibile è che lui ne è stato contento: era felice di sapermi forte, soddisfatto. Poteva finalmente abbandonarmi.
Saskia Terzani: La verità è che non so immaginare per me un padre diverso da lui. Solo adesso, a distanza di tempo, ora che sono madre e adulta, capisco il significato di molte sue parole. Tante cose le ho assorbite e gestite a caldo, ma ora queste esperienze si sono sedimentate e le sue lezioni sono diventate più chiare. Mi riconosco totalmente in lui.
Angela Terziani: Io che sono stata sua moglie dico che una donna deve decidere subito, e in fretta, se vuole vivere con un uomo così. Se scegli di farlo, devi essere pronta a seguirlo: lui avrà sempre un'idea precisa di quel che vuole fare. La mia sfida è stata quella di non soccombere. Le vittime sono insopportabili, e nessun uomo ama una vittima. Ho cercato con lui di mantenere la mia identità senza gareggiare. Il ruolo pubblico era il suo, ma privatamente abbiamo parlato molto e preso le decisioni insieme, anche se alla fine si faceva quello che voleva lui. Molte donne mi dicono che ho avuto fortuna a incontrarlo: sì, è vero, ne ho avuta tanta.

Qual è il vostro giudizio sul Terzani giornalista?
Folco Terzani: Più che un giornalista era come un pellegrino dei tempi antichi, di quelli che giravano il mondo per capire, vedere, scoprire gli altri. Ecco, mio padre è stato come un pellegrino pagato, e questa straordinaria occasione lui l'ha colta prima per se stesso che per i lettori. Gli interessava la guerra? È andato a vederla. Aveva il problema dell'ingiustizia? È finito in Cina per studiare il più grande esperimento di ingegneria sociale al mondo. Ci vuole coraggio perché devi rischiare, ma in fondo questa esperienza la può fare chiunque. Il suo modello non era il giornalista ma l'esploratore: immaginava la sua professione in chiave epica. Per lui fare giornalismo non consisteva solo nell'intervistare i potenti del mondo, ma anche nel curiosare nei mercati e riportare a casa tappeti, statue, qualsiasi cosa.

Il film rispetta o tradisce il pensiero di Tiziano Terzani?
Folco Terzani: Lo rispetta, anche se nel libro sono stato più integralista. Nel romanzo ho scelto di scrivere solo ciò che avevo registrato con la mia strumentazione, mentre qui ci siamo presi delle libertà. Nel film c'è il litigio, ricostruito esattamente com'era, che manca nel libro. E quella scena in cui richiama i corvi e gli dà da mangiare non è successa in Toscana ma in Himalaya.

Siete davvero riusciti a distaccarvi da Tiziano serenamente, così come lui avrebbe voluto?
Folco Terzani: Posso dire che quegli ultimi mesi con lui sono stati tra i più bei momenti passati insieme. Nessuno poteva telefonare, nessuno poteva venire a casa nostra. Eravamo soli, alla frontiera dell'ignoto, ma tutti insieme.


GLI INTERPRETI

Bruno Ganz che idea si è fatto di Tiziano Terzani?
Bruno Ganz: Terzani è stato un importante giornalista in alcune zone del mondo, è stato un comunista alla maniera italiana, un'anima aperta al buddismo che non è mai diventata buddista, un essere umano pieno di curiosità e rispetto per la cultura degli altri. Un europeo che sapeva bene cosa significava essere un giornalista e un uomo che ha scelto il confronto, e non la lotta, con la morte. La sua era autentica spiritualità, niente a che vedere con la new age o l'esoterismo. Ho sentito in Terzani una grande profondità poetica.

L'esperienza di questo film vi ha coinvolti spiritualmente?
Elio Germano: Un vero privilegio del mio mestiere è quello di fare esperienze grandi come questa, potersi avvicinare a certi discorsi alti sulla vita, provando a capirli e restituirli al pubblico. Nella vita di tutti i giorni siamo distratti da altro, mentre io ho avuto la fortuna di potermi prendere due mesi per pensare, fare camminate, vedere parti d'Italia in cui ci sono ancora le stelle di notte, e bellissime montagne.

Vi ha condizionato interpretare personaggi viventi come Folco o Saskia?
Elio Germano: Non ho rappresentato il "vero" Folco. La verosimiglianza c'è nella misura in cui serve a portare avanti un certo tipo di discorso, tutto è al servizio della storia. Di Folco mi piaceva l'approccio critico di un figlio che trova un padre cambiato nel profondo e cerca di capire quanto sia sincera la sua scelta.
Andrea Osvart: il mio approccio al film è stato professionale ma anche personale. Ho incontrato il regista, ho letto il libro e ho subito capito che dovevo fare questo film. Ho cercato di lavorare interiormente su me stessa, trovando nell'amore e nell'inevitabile commozione la chiave del rapporto tra Saskia e suo padre.

Quali modelli e quali difficoltà per un film del genere?
Ulrich Limmer: Forse l'ispirazione più vicina a La fine è il mio inizio è La mia cena con André di Louis Malle. Fin dall'inizio sapevo che sarebbe stata una sfida, fare un film con una linea drammatica così esile. [Con il regista Jo Baier, ndr] Abbiamo considerato la possibilità di inserire dei flashback, poi ho scelto di lavorare sull'attenzione e sull'ascolto, una dinamica diventata rarissima nella nostra società moderna: avrei fatto un film su una persona che parla, e un'altra che ascolta.

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