Il quinto lungometraggio di Aronofsky è una malsana parabola sulle aspettative psico-attitudinali martorianti di una predestinata vittima del perfezionismo, sul piano di una dicotomia insanabile fra luce e oscurità caratteriale, un percorso che nasce dall'elezione di un obiettivo in virtù del proprio talento innato (il successo, la glorificazione degli sforzi compiuti) fino all'angoscia del fallimento, attraverso le suggestioni più spiacevoli e penetranti a cui man mano il regista si lascia andare, descrivendo un'alienazione ai limiti del masochismo - penso alla colluttazione con quella che è frutto dell’allucinazione in cui Nina cade in preda a sé stessa, dietro le quinte, nel proscenio della più grande e forse unica opportunità della sua vita di eccellere le sue fragilità, idiosincrasie e paure che si acutizzano fino alla catarsi dell'epilogo.
Nina Sayers è una giovane di belle speranze, una promessa del balletto, frequenta con assiduità sfibrante la New York Academy of Ballet e un giorno viene scelta dal direttore artistico, Leroy (Cassel), come prima ballerina per la nuova stagione, inaugurata dallo spettacolo “Il Lago dei Cigni” di Čajkovskij. Il personaggio di Cassel si delinea subito come severo intermediario della realizzazione artistica di Nina, che stabilirà un legame cruciale nello sviluppo psicofisico che deve affrontare, nelle sue restrizioni emotive, alla vigilia della necessaria metamorfosi artistica/mentale a cui viene messa di fronte fin da subito. Le scene di ambientazione preparatorie della danza sono descritte in modo iperrealistico, dettagliato e disturbante: inquadrature sulle nocche in punta di piedi, il rumore delle ossa che digrignano, la nitidezza snervante con cui si sofferma sull'esercizio e lo stress della danza in un ambito competitivo simile, che disumanizza per prerogativa e tende ad 'alienare' le giovani aspiranti nel fiore del perfezionismo e dell'età, facendone un'ossessione. Nina appare fisicamente infaticabile ma debole di spirito, eccetto che per quanto rappresenta per sé stessa un adempimento liberatorio: una ragazza semi-adulta, fragile per via delle lacune e degli stimoli della madre, che si intuiscono nel loro rapporto vizioso, in virtù dei suoi tratti sensibili della personalità. Un carattere affettuoso, inquieto e bisognoso, delusionale e triste che la costringe a rispettare le aspettative di una madre che ha fallito lì dove pretende che sua figlia abbia successo, per compensare l'amara realtà, psicologicamente differita sulle spalle di Nina, a prescindere dall’effetto di ribellione generato da quest’aspettativa in controluce al suo 'angelo di casa'. E’ come se l’agonismo non permettesse altro che questo rapporto in cui consolazione e frustrazione si richiamano nel tentativo di eccellere le defezioni che traspaiono dalla difficoltà di Nina a relazionarsi con il resto della compagnia. A questo punto entra in scena la sua antagonista/rivale: Lily, una sostituta papabile di Odette con la quale Nina stringe un rapporto di apprensione e di confidenza, con cui il cerchio dei comprimari si chiude, insieme alla figura dell'ex-prima ballerina del corpo di ballo, ormai in decadenza psicofisica e di qui preclusa al rinnovamento del ruolo, Beth (Winona Ryder).
Sulla carta, un thriller astinenziale sull’incubo da prestazione, ambientato in un lasso di bulimia e turbe immaginarie in cui la realtà si assottiglia sempre di più verso un febbrile stato di paranoia, cauzione emotiva, insicurezze, ostilità, rimostranze, fino al parossismo (notare come in alcune allucinazioni il riflesso disobbedisca alla realtà percepita da un movimento) in vista della première, la consacrazione, la luce della ribalta finale, che si preannuncia come punto di risolvimento psicologico e vede una trasfigurazione nelle caratteristiche negative del cigno nero, la sublimazione del doppio ruolo. Nel ritrovarsi in competizione con il fantasma della rinuncia (la madre, in occasione di uno screzio, imputa il suo fallimento al concepimento di Nina come ragione di rivalsa di una carriera interrotta, che lei dovrà espiare), Nina sembra non soccombere mai alla tensione viscerale ed espressiva (che la Portman rispecchia con un'immedesimazione assoluta, straordinaria, si può parlare di "metodo Stanislavskij") sottoponendosi ad una prova psico-attitudinale massacrante. Film a dir poco fegatoso, con implicazioni degne di nota sulla morbosità del ruolo, sulla repressione comportamentale e sulla 'maturazione' catartica del carattere tramite la propria aspirazione artistica. Voto: 8.5/10
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