Gioie e dolori del palcoscenico, il difficile passaggio dall'adolescenza alla maturità (solito taglio del cordone ombelicale da genitore possessivo), scoperta del limite ed anelito alla perfezione. Su questi temi Darren Aronofsky, nella cornice del palco e dei suo camerini del New York City Ballet, ci racconta la parabola di Nina e la sua - dolorosa - discesa agli inferi per nascere stella - cadente - e cigno - bianco o nero alla fine non ha più importanza.
C'è una sensazione di incompiuto uscendo dalla sala cinematografica dopo questo film, nonostante la girandola liquida dei generi abbia spaziato su una vasta tavolozza ed inondato lo spazio emotivo toccando corde differenti e spesso contrapposte. Se i primi lavori del regista ci avevano stuzzicato con un'immagine veloce, nuda, dal contrasto netto ed un ritmo spesso drogato, il successo di "The Wrestler" e probabilmente la lezione del cinema europeo hanno messo in discussione formalmente uno stile personale, da un lato rendendolo certamente di più facile accesso, dall'altro imbrogliando e deludendo le aspettative. Black Swan è cinema e, come cinema, vive in un immaginario ai confini della realtà, ma si sente che vorrebbe essere di più: vorrebbe sostituirsi alla realtà. La musica, questa misteriosa forma del tempo, e il balletto, la materia in movimento del tempo, sono discipline antiche, molto più dense e storiche del cinema. La loro rappresentazione, pur a livello di teatro di posa di tensioni umane ed emozionali, comporta necessariamente dei rischi sostanziali che il gioco degli attori riesce difficilmente a sostenere: la Portman è bravissima, ma a mio avviso risulta inchiodata alla parola "frigida" che limita e descrive il suo punto di partenza del suo personaggio e l'evoluzione della dialettica tra bianco e nero emerge alla superficie solo a tratti, Cassel rimane troppo se stesso (nella versione originale, quando impreca, lo fa in francese), non lasciando spazio al coreografo visionario e crudele nella sua pedagogia del'estremo, forse il personaggiio più a tutto tondo rimane Beth (Winona Ryder), portata, come già in passato il personaggio di Mickey Rourke in "The Wrestler", a manifestare se stessa dall'occhio del regista.
Rimane il sonoro, un film da godersi ad occhi chiusi, come suggeriva Orson Welles, un sonoro fatto di ansiti e sospiri, ticchettii di carion e scarpette da ballo sugli impiantiti di teatri e camerini, di frammenti di specchi rotti, di fruscii di passi di danza e mugolii adolescenziali.
E naturalmente la musica di Čajkovskij che vive e passa oltre un film contemporaneo che mischia tutto e piacerà a tanti/e, proprio perchè tocca un po' di tutto, fantasia compresa.
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