In medias res, il mondo della danza è mero espediente narrativo: le maschere teatrali, stemperando la policromia veristica della psiche, assurgono a emblemi della condizione umana tout court. Potenziano, semplificando. Black Swan è l’allegoria del percorso formativo di ciascuno, in forma di dialettica triadica, sulla scorta della lezione hegeliana. No, non trattasi di onanismo nominalistico: Nina - il cigno bianco, l’illibatezza e la probità, l’infante rousseauiano – si confronta con un insorgente cigno nero, suo alter ego (reificato in Lily), inveramento di effrenatezza, empietà maliarda, in una parola sensualità (concezione un poco oleografica, invero). Tesi e antitesi. Nina è soverchiata dall’erompere del suo intimo cigno nero (fisicamente!), è repentinamente sbalzata sul palco delle sue pulsioni (autolesionistiche, omoerotiche, narcisistiche, prevaricatrici), incidentalmente anche proscenio teatrale. Il climax del film sta precisamente nella sua lotta per padroneggiare, incorporandolo, il lato tenebroso della sua personalità. L’oramai irriducibile coacervo energetico e pulsionale imbrigliato e canalizzato nella forma apollinea, graziosa, serafica della prima Nina. La sintesi, nell’atto finale di Odette morente, è una novella e vivificata Nina che, edotta dell’abisso, attinge l’acme dell’estasi artistica. Magnificamente fotografato, Black Swan è la versione onirica e visionaria, manieristica e parossistica dell’altrimenti trita esperienza dell’uomo comune.
[+] lascia un commento a flavius1986 »
[ - ] lascia un commento a flavius1986 »
|