Il film con Emma Watson e Tom Hanks mette a fuoco l'ingenuità con cui approcciamo ai social, l'idea naif secondo la quale possano davvero migliorarci la vita. Al cinema.
di Claudia Catalli
Siamo circondati. Registrati, studiati, seguiti in ogni nostro minimo gesto e movimento. Non è una paranoia, tanto meno una novità: ogni giorno registriamo il nostro nome da qualche parte, replichiamo testimonianze di identità, accettiamo che un'app registri i nostri contatti, condivida le nostre foto personali, registri le nostre posizioni, i ristoranti che amiamo, gli hotel in cui siamo, le persone che frequentiamo. Tutta la nostra vita è registrata e documentata - da noi stessi, dettaglio non trascurabile - in una Second Life che oggi ha davvero poco di virtuale e troppo di reale.
Fa sorridere che il cinema racconti tutto questo servendosi in genere di un taglio complottista. Mira per lo più a raccontare una trama di intrighi, a stanare i cattivi, a mettere in luce come siano "gli altri" a volerci rubare l'identità. Se Oliver Stone in Snowden racconta un caso politico eclatante, James Ponsoldt in The Circle mostra - in maniera un po' manichea - uno scenario più quotidiano e a noi vicino.
Una ragazza mira a fare carriera in un'azienda smart e giovane ossessionata dall'iperconnessione e dall'iperreperibilità. Il che ha i suoi vantaggi: ti trovi in mezzo al mare e stai per affogare? The Circle - che monitora ogni tuo movimento - viene a salvarti. Neanche a dirlo, gli svantaggi, dal furto della privacy in poi, sono di portata notevolmente superiore. Lo scoprirà a sue spese Emma Watson, volto prestato alla più bieca promozione social a sua insaputa (vi ricorda qualcuno?), faticando fino alla fine a mettere in discussione il geniale guru modello Zuckerberg interpretato - in maniera convincente come sempre - da Tom Hanks.
Rispetto al film di Stone, che pure aveva il merito di sottolineare le inquietudini politiche ad ampio raggio di ogni singolo click che facciamo con disinvoltura, The Circle mette a fuoco ancora meglio l'ingenuità con cui approcciamo ai social, l'idea naif secondo la quale possano davvero migliorarci la vita. Intendiamoci: lo fanno, quando ci consentono di chiacchierare in tempo reale con chiunque, in qualunque momento e parte (dotata di connessione) della terra. L'illusione è credere che siamo noi a migliorare insieme alla tecnologia. Che diventiamo ogni giorno più smart, più eruditi, più veloci. Che gli altri si interessino davvero delle vite patinate che ci affatichiamo a costruire e condividere online, che dietro quei "mi piace" ci sia altro che un click di fame onnivora da schermo. E tutto questo The Circle ha il merito di raccontarlo, e bene, seguendo le pagine omonime dello scrittore Dave Eggers (il vero difetto del film, va detto, è il finale, troppo sbrigativo e hollywoodiano).
L'inquietudine da ipercontrollo è qualcosa che il cinema ha sempre indagato, in modalità, stili e tempi diversi.
Oggi si ragiona principalmente sullo "webetismo", ovvero su come la mancanza (deficit?) di attenzione e di scrupolo da parte degli users nel dare il consenso al trattamento dei propri dati stia facendo di fatto la fortuna di tutti quegli imprenditori - così detti geniali - che ammantano di 'evoluzione tecnologica' lo sfruttamento economico bieco di quegli stessi dati. Una riflessione che vale la pena fare e portare avanti, se è vero - come ha appena ribadito Giuliano Montaldo al BiFest 2017 - che "il cinema, quando fa pensare e discutere, diventa importante".