Parlare di Ozu Yasujiro significa fatalmente ripetersi: ogni film o quasi è un capolavoro, i temi ricorrono tra un'opera e l'altra, la tecnica si attiene a un rigore immutabile. Ma guardare i film di Ozu Yasujiro, e poi guardarli di nuovo fino ad assaporarne ogni dettaglio, significa una continua scoperta, un continuo rimettersi in gioco; una lezione di filosofia e uno sguardo su un mondo che non c'è più, ma è che bello sapere che sia esistito, anche nelle sue storture. Il cinema di Ozu è il cinema della sobrietà, dell'essenzialità; quello a cui i maestri di oggi e di ieri - Wim Wenders, Paul Schrader, Martin Scorsese, ma l'elenco degli autori che lo hanno omaggiato è chilometrico - guardano quando hanno bisogno di certezze.

Riconoscere un film di Ozu, dopo averne visti anche solo un paio, è un gioco da ragazzi. Piani fissi e movimenti di macchina pressoché inesistenti; personaggi al centro dell'inquadratura che dialogano con chi sta di fronte, sovvertendo il découpage classico per reinventare un mondo in cui ogni ingresso in scena corrisponde a uno scavalcamento di campo (e a una possibile svolta nel registro narrativo). E, firma inconfondibile, macchina da presa posta all'altezza del tavolino da tè, per aumentare la sensazione di immersione nell'intimità del nucleo familiare. Generazioni di padri e figli che cercano di capirsi, tra asperità e compromessi. Viaggi che costituiscono altrettante epifanie, con il fischio di un treno ad aprire o a chiudere una storia. Una dimensione atemporale ma contagiosa, un punto di osservazione sugli affanni delle umane genti a cui fare ritorno per trovare un conforto spirituale.

54 film in 35 anni di carriera, scoperti quasi tutti tardivamente (a parte Kurosawa Akira, poco o nulla giungeva da noi del cinema giapponese) e alcuni smarriti per sempre. Titoli che attraversano le tappe fondamentali della storia del cinema, come l'introduzione del sonoro e poi quella del colore: Ozu lo adotta il primo nel 1935, il secondo nel 1958. Ozu tarderà ad abbandonare il bianco e nero, ma l'uso espressivo che saprà fare del colore aggiungerà un ulteriore tassello alla sua arte.

I sei film scelti da MYMOVIESLIVE - Nuovo Cinema Repubblica per questa visione speciale in streaming sono altrettanti classici del regista giapponese. Quattro di loro appartengono all'ultimo periodo della carriera (1958-1962) e all'introduzione del colore: Fiori d'equinozio, Tardo autunno, Buon giorno e Il gusto del sakè. Con l'eccezione di Buon giorno - irriverente digressione sul mondo dell'infanzia, testimone dei mutamenti introdotti dalla modernità - i film si interrogano sull'ingerenza dei genitori nelle scelte sentimentali dei figli e sul divario tra le generazioni di fronte a un Giappone in continua evoluzione. Riprendendo il tema che fu di Tarda primavera (1949) - un altro dei sei titoli scelti per lo streaming - i padri si trovano di fronte a una nuova realtà e alla necessità di farsi da parte per lasciar decidere ai figli del proprio destino.

Ma il titolo centrale della selezione e dell'intero corpus di Ozu è certamente Tokyo Monogatari, o Viaggio a Tokyo, opera ripetutamente citata nei consuntivi sui film più importanti della storia del cinema. Nel film del 1953 il regista condensa le riflessioni che caratterizzano la sua poetica, elevando ulteriormente il proprio lirismo. Graziato dalle indimenticabili interpretazioni di Ryu Chishu e Hara Setsuko, Tokyo Monogatari è (anche) un'indimenticabile e struggente riflessione sul senso del tempo e su come sia possibile rapportarsi ad esso, moralmente e filosoficamente.

Sei visioni imprescindibili, che per molti potrebbero aprire un orizzonte nuovo tutto da esplorare, consapevoli che il cinema possa rappresentare anche qualcosa di diverso, inaspettato e profondo.

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