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Habemus Nanni

Da Prati al Vaticano, un trasloco durato 35 anni.
di Ilaria Ravarino

Nanni Moretti, regista e inteprete di Habemus Papam, batte divertito le mani in una scena del film.
Nanni Moretti (Giovanni Moretti) (70 anni) 19 agosto 1953, Brunico (Italia) - Leone. Regista del film Habemus Papam.

martedì 12 aprile 2011 - Incontri

Uno sceneggiatore è come uno che deve calcolare le spese per arrivare precisamente a fine mese: tutto quello che pensa, poi va realizzato e pagato. È stata quindi una sorta di incoscienza scrivere in testa ad alcune scene per il film di Moretti, invece di un vago interno-soggiorno, uno spaventoso interno-Capella Sistina».
Francesco Piccolo, con Federica Pontremoli sceneggiatore dell’attesissimo Habemus Papam di Nanni Moretti, è tra i pochi a spiccicare parola. Intorno all’undicesimo lungometraggio del regista romano c’è la consueta cortina di silenzio, pochissime indiscrezioni, un sobrio sito ufficiale che dispensa informazioni a singhiozzo. Il trailer. Le musiche. Un abbozzo di backstage. E la prima, preziosa pagina di sceneggiatura che nell’intestazione recita: Piazza San Pietro - esterno giorno. Girato in una Roma monumentale che ricorda il Vaticano, parzialmente ricostruita attraverso un patchwork di palazzi storici e residenze signorili del centro, Habemus Papam arriva a cinque anni di distanza da Il Caimano e segna una svolta significativa nella geografia sentimentale di un regista storicamente ed emotivamente attaccato a una Roma assai diversa da quella papalina-chic di Via Giulia e dintorni. «Non è stata una cosa semplice trovare le location del film – ha detto la Pontremoli - perché il Vaticano non ha concesso nessuno dei suoi spazi, neppure il Palazzo della Cancelleria che aveva dato a qualche fiction tv. Ma dato che Habemus Papam è una coproduzione con la Francia, le riprese si sono svolte tra Palazzo Farnese, che è l’ambasciata francese, e l’Accademia di Francia a Villa Medici. La cosa più incredibile però è stata la ricostruzione della Cappella Sistina a Cinecittà, all’80% della grandezza reale: io stessa quando sono andata sul set sono rimasta impressionata dalla somiglianza. Anche tutta questa attenzione alla verosimiglianza e alla ricostruzione è una novità nella filmografia di Moretti».
E così, a pochi giorni di distanza dall’uscita in sala, gli unici a lasciarsi scappare qualche suggestione sul film sono i luoghi stessi in cui Moretti ha girato: la sede del conclave a Cinecittà, Palazzo Barberini a due passi da Via Veneto, Villa Medici con vista sulla Piazza di Spagna da cartolina e Palazzo Farnese, così pericolosamente vicino a quella campo de’ Fiori «dove non mi sono mai sentito a mio agio – ha detto spesso Moretti - non so perché». Luoghi inesplorati dalla cine-biografia morettiana, più centrali che mai e lontani anni luce dalle sachertorte nelle vetrine di Monteverde, dall’architettura delle gelaterie di Prati, dal grigiore urbano di Spinaceto «che non è poi così male». Per traslocare in centro, dal quartiere Prati di Io sono un autarchico al Vaticano di Habemus Papam, Moretti ha impiegato 35 anni. A cavallo di una Vespa, a voler ripercorrere tutta la strada in mezzo, ci vogliono appena dieci minuti.

Quartiere Prati, la memoria
«Finito il liceo ho sentito istintivamente che il cinema era il mezzo giusto per comunicare, questo almeno in teoria perché i miei genitori non avevano niente a che fare con quell’ambiente. Poi, dopo l’università, ho cominciato a girare. E fin dai primi Super8 mi è venuto naturale raccontare i miei luoghi, il mio ambiente sociale, generazionale e politico per prenderlo in giro» (Nanni Moretti, intervista a Radio Tre).
Nato a Brunico ma cresciuto nel quartiere Prati, la zona storicamente destrorsa e borghese del Tribunale e della Rai, Moretti ha trascorso la sua giovinezza in un appartamento in via Tommaso d’Aquino, bella strada alberata a poco più di un chilometro dalle mura della Città Vaticana. Inevitabile presenza in tutti i suoi primi film, il quartiere e i suoi dintorni compare con piazza dei Quiriti in Ecce bombo, fa capolino in Sogni d’Oro nel razionalista palazzo delle Poste di viale Mazzini e appare in Io sono un autarchico nella austera compostezza ottocentesca di via Appennini. Iscritto al Liceo Lucrezio Caro al Villaggio Olimpico, poco lontano dal ponte fascista di Corso Francia immortalato in Caro Diario e dall’Auditorium de Il Caimano, Moretti è uno dei pochissimi cantori della Roma Nord pre-Renzo Piano: quella delle palazzine della speculazione che appaiono in lontananza sull’orizzonte dei pratoni di Tor di Quinto (Ecce bombo), dei rispettabili palazzoni di via Valnerina nel quartiere Africano (Aprile), o delle linee liberty della gelateria Fassi di Corso d’Italia (Bianca).
La mappatura dei luoghi del cuore qui comprende anche un negozio, «la Rinascente di Piazza Fiume dove andavo a comprarmi qualcosa ai tempi del liceo, e dove torno anche adesso», l’immancabile bar, Il Gran Caffè Antonini con i tramezzini all’ostrica di cui (dicono le malelingue) il regista sia ghiotto, e una piscina: quella della SS Lazio di via Pasubio, affacciata sul Tevere, dove ancora oggi ci si ricorda del giovane Moretti come di «una bella promessa – si legge nell’albo d’oro – diventata un regista cult». Amore ricambiato con un film intero, Palombella Rossa, che rispolvera i giorni delle sue vittorie da sportivo.

Trastevere, Testaccio, San Saba: la testa
Nella Roma intorno al Tevere Moretti arriva presto, nel corso del 1975, e da quel momento non la lascerà più. È qui che nasce il suo mito, qui dove il celebre Filmstudio, cineclub attivo dal 1967, programma i suoi cortometraggi Pâté de bourgeois (1973) e La sconfitta (1973), il mediometraggio Come parli frate? (1974), e infine, nel dicembre 1976, il lungo Io sono un autarchico, clamoroso successo per una sala da cento posti con tre proiezioni giornaliere. Qui, stretta fra Trastevere e Testaccio, Moretti apre nel 1991 la sua sala cinematografica, il Nuovo Sacher (l’ex Arena Cinema Nuovo de La messa è finita), poco distante dagli uffici della casa di produzione Sacher Film, fondata nel 1987, in via della Piramide Cestia con bella vista sulla Chiesa di San Saba. «Questa, nella mia vita, è una zona di passaggio» dice lui: il cinema, qui, Moretti lo pensa e raramente lo fa. Poche le tracce del suo passaggio su grande schermo: l’eleganza di via Sant’ Alessio all’Aventino (Bianca), l’utopia socialista anni ‘20 della Garbatella (Caro Diario), il Circo Massimo (Palombella Rossa). E una tavola calda dove ordinare lasagne, a pochi passi dall’ufficio, tenuta rigorosamente segreta ai cronisti.

Monteverde: il cuore (e la gola)
Monteverde è per Moretti il luogo della pace dei sensi. Qui, a meno di 8 chilometri dalla Città del Vaticano, c’è casa, in una traversa di Via Dandolo. Qui c’è l’officina che restaurò la Vespa di Caro Diario (e che ancora oggi se ne fa vanto pubblicitario), qui sorge la pasticceria in cui affogare l’amarezza con una fetta di sachertorte, panna rigorosamente a parte, nel piattino, seduti sugli sgabelli del locale più frequentato dai fan del regista. «Io i posti, i ristoranti, i bar, i negozi li scelgo non per come si mangia o perché sono rinomati, no: mi devo sentire a mio agio. Per me conta la familiarità, il calore, la situazione del suono, dei rumori. Quando trovo quello che mi piace, mi entusiasmo e vado soltanto lì. Tendo a frequentare sempre gli stessi posti, anche con i cinema lo stesso».
Qui ci sono i suoi tre bar preferiti, Villa Sciarra dove accompagna il figlio a far passeggiare il cane Tempesta, e qui la gente è abituata a vederlo per strada, pochi lo fermano per autografi o fotografie. Qui, sempre qui, gran parte del set di Bianca e le più belle immagini di Caro Diario: «Il mio quartiere è Monteverde Vecchio. Un quartiere di anziani, come me. Come ero già nell’82 quando ci sono andato ad abitare».

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