La vita di Richard Williams, un padre imperterrito che ha contribuito a formare due delle atlete più dotate di tutti i tempi, che hanno cambiato lo sport del tennis per sempre. Espandi ▽
All’inizio degli anni ’90, Richard Williams è un ex atleta che vive a Compton, in California, con la moglie Brandy, le tre figliastre e le sue due figlie naturali: Venus e Serena. Convinto che le sue ragazze diventeranno future campionesse del tennis, le allena tutti i giorni nei campi liberi del loro quartiere malfamato e visita instancabilmente i principali tennis club dello Stato per convincere le alte sfere del tennis a prendere le figlie sotto la loro ala. Il problema con lo sport al cinema – soprattutto quando e se americano – è il solito: la sua assenza. Anche quando è il fulcro del racconto, il motivo per cui eroi ed eroine si dannano l’anima per raggiungere i loro scopi. Il problema, ancora, è che un film di finzione può infischiarsene dell’accuratezza, ma ha l’obbligo di rendere credibile la costruzione dei suoi personaggi e del suo mondo: e in questo, onestamente,
King Richard fallisce in pieno, a meno di non considerare la parola “re” come una lente distorta attraverso cui giudicarlo. La cosa meno accettabile del film è però un’altra ancora, e pure in maniera sorprendente. Ed è la totale assenza, non tanto o non solo del tennis, ma delle sue vere eroine, Venus e Serena. Più che un’occasione persa, il film è un’occasione sbagliata, o peggio non richiesta: un film da non fare, perché non abbastanza distaccato dalle cose e dalle persone che racconta.