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Sono zampilli di morte quelle piccole fiammelle che compaiono all'inizio su uno sfondo di notte e brume, sono vivi già morti tutti i bellissimi e magnetici ospiti del gran party di matrimonio organizzato per Justine, delle due sorelle (l'altra è Claire), la più inquieta e selvaggia, capace di vedere il futuro e di accorgersi dell'immane catastrofe.
Una bellissima liturgia quella di Von Trier, come accadeva nei film di Dreyer, due atti per una tragedia annunciata che ha i colori seppia dell'ambiguittà, i volti irraggiungibili di Charlotte Rampling, un fantasma diabolico e malefico che s'insinua come un cancro post atomico.
Non c'e' salvezza nel mondo immaginifico di Von Trier, c' e' solo un disperante bisogno di barocca sopravvivenza; perfetta l'iperbole della grande casa sull'isola, quasi un rifugio delle nostre piccole meschinità che di fronte alla forza della natura si sgretolano in un finale angosciante e memorabile.
Von Trier filma per metafore: i cavalli che nitriscono inquieti sono l'elemento selvaggio, il bambino che guarda nel telescopio (immagine bellissima e Spielbergiana) è forse l'innocenza o quel che resta dell'innocenza.
Le due sorelle, contrapposte tra ragione e impulso sono in fondo le due facce dell'umanità, fragile, impreparata, sottilmente terrorizzata da un capit mundi cosmico che farà tabula rasa.
Le musiche, wagneriane credo, e l'uso del suono tonitruante contribuiscono a conturbare lo spettatore, avvinghiato alle sue poche certezze, quasi risucchiato da quel pianeta turchese che invade la sala e le nostre povere enaime derelitte. Imperdibile!
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