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Quentin doveva essere un bambino vivace, uno di quei piccoli mocciosi che si divertivano a lanciare lo yo yo finché il filo non si strappava e in gioventu' magari un goffo ragazzaccio, con le scarpe sempre piene di fango che traballavano convulse ai drive in.Un tipo un po eccessivo se si pensa alle sue trame dilatate, storie in cui si mischia il sacro al profano, dove non manca la bellissima Shoshanna (già il nome sembra un lecca lecca anni 50), giovane ragazzina ebrea risparmiata dal'algido e spietato colonnello Landa, insuperabile nella sua tattica di usare il latte come macchina della verità.
Storie di lupi cattivi ma anche di eroi scomparsi, gente come Aldo Rayne, mosso da certi zigomi aguzzi che ricordano il grande Marlon, eroi gaglioffi ma con una loro dignità, disposti pure a parlare messinese se in gioco c'e' la vita di baffino Hitler.
Rutilanti, minacciosi, protervi, si consumano 143 minuti di cinema/fumetto, tra attese interminabili, che il buon Sergio Leone aveva insegnato con tutta la pazienza possibile al giovane Clint Eastwood, carneficine improvvise, deflagrazioni, trucchi, maschere e trabocchetti, in un carnevale dell'idiozia frenetico e appassionato .
Quentin cresciuto sembra dare alla macchina da presa il compito più pretenzioso; uccidere la storia, farne poltiglia, come ha sempre tentato di fare attraverso i suoi capitoli, sintomi di una frantumazione che qui sembra raggiungere l'apice.
Roger Corman dalla tomba chiederebbe il bis, perché i suoi film avevano la stessa perversa follia, creavano un vortice in cui l'uomo veniva risucchiato dagli eventi e tutto diventava faceto, sacrale e immediatamente apocrifo: Quentin adulto ha pure il coraggio di fare il romantico, pensa agli anni 30, a quel gran genio di Pabst e a quelle atmosfere cosi' fumose che infarinano un po tutto in un avvolgente scherzo! Fa bene a impaginarli cosi' i bastardi senza gloria, perché è vero che a guardarli bene sono 4 imbecilli, ma che fighi!
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