Il quarantenne con la faccia da bambino (tra le sue opere un documentario autobiografico dal titolo I've been 12 forever) e una pessima pronuncia inglese, è passato dall'amore per la musica, ereditato dal padre (è stato per anni - fino allo scioglimento, nel 1992 - batterista della band francese Oui Oui, per cui ha realizzato diversi video), a quello per il cinema. E la strada che collega le note alle immagini non poteva che condurlo all'esplorazione della risorsa del videoclip, moderno terreno di sperimentazione nei rapporti tra musica e immagine.
Il genio dei videoclip musicali
Con lui, Jonze, ma anche con Cunningham e Corbijn il videoclip è diventato vera e propria forma d'arte, oltre che ottimo mezzo a basso costo per esercitare liberamente la propria fantasia e palestra per sperimentare nuove forme espressive.
Gondry, noto anche per diversi spot pubblicitari realizzati per Levi's, Smirnoff, Adidas, Nike, Air France, Gap e Polaroid, si fa dunque apprezzare inizialmente per le trovate geniali dei videoclip realizzati per Daft Punk (la danza circolare degli scheletri di Around the World), Beck (in Deadweight il cantante si ritrova a lavorare in riva al mare, a rilassarsi su una sedia a sdraio nel bel mezzo di un ufficio, o a farsi portare in giro dalla propria ombra), Chemical Brothers (il treno in corsa di Star Guitar), o ancora per la moltiplicazione di Kylie Minogue nell'ipnotico piano sequenza di Come into my world e la moltiplicazione di strumenti musicali in The Hardest Button to Button dei White Stripes (con cui collabora spesso e volentieri). Altra frequente partnership è quella con Björk, che Gondry ha trasformato in una terrorista innamorata per Army of me, in un'evanescente presenza computerizzata nel lungo piano sequenza di Joga, omaggio alla terra islandese patria della cantante; e ancora in un videogioco per Hyperballad. La sua genialità consiste nel mettere in scena nei pochi minuti di un brano musicale ciò che lo stesso brano evoca, e di farlo in maniera originale pur ricorrendo spesso a idee ingenue, quasi fanciullesche. Quest'animo da eterno bambino gli consente dunque di realizzare le sue trovate geniali con budget molto ridotti, ricorrendo spesso e volentieri a effetti (poco) speciali, volutamente kitsch, artigianali e quasi "fatti in casa".
Il grande schermo
Il suo debutto nel mondo del grande schermo è a fianco di Charlie Kaufman nella trasposizione della sua sceneggiatura Human Nature (2001). Il soggetto irrealistico di questo eccentrico film ribadisce la vena visionaria di Gondry (e di Kaufman): si tratta di una commedia con una struttura narrativa cadenzata dai racconti alternati dei tre protagonisti, e incentrata sul rapporto tra uomo e natura, sull'indole selvaggia che contraddistingue l'essere umano e sul suo difficile addomesticamento alla civiltà. Ma è a tre anni di distanza da Human Nature che arriva il vero riconoscimento, suggellato anche da un Oscar per la migliore sceneggiatura originale (a Kaufman): con Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004), tradotto in italiano con l'inadeguato titolo da commedia sentimentale Se mi lasci ti cancello, film che ci catapulta in un fantasioso e complesso labirinto emotivo in cui è inevitabile e piacevole smarrirsi.
Il film, cervellotico e intellettuale come i suoi creatori, è anche un viaggio emotivo struggente, capace di commuovere parlando d'amore e di rapporti interpersonali fuori da ogni banale convenzione o stereotipo. Fatto di ricordi sfuggenti e sbiaditi, l'ipnotico e tortuoso percorso nella mente di Joel (un timido e impacciato Jim Carrey), innamorato deluso dalla sua Clementine (un'esuberante Kate Winslet dai capelli variopinti) e deciso a dimenticarla attraverso un improbabile trattamento di cancellazione dei ricordi, ci mette davanti alla necessità di ricostruire, di andare avanti sulle basi di un passato che è impossibile dimenticare.
La scalata al successo
Dopo il meritato riconoscimento ottenuto con Se mi lasci ti cancello, Gondry ha nuovamente entusiasmato pubblico e critica al Festival del Cinema di Berlino del 2006 grazie all'originale L'arte del sogno (2006), una nuova storia d'amore, scritta questa volta senza l'amico Kaufman. E così il regista torna a raccontare il suo tema prediletto, l'amore e le relazioni interpersonali, con il consueto tono surreale e onirico che caratterizza le sue stravaganti creazioni.
Specchio della complessità e dell'evanescenza di certe dinamiche relazionali, L'arte del sogno è l'incontro tra due soggettività incerte, prive di punti di riferimento e incapaci di segnare un confine preciso tra esperienza concreta e esperienza onirica. L'eccentricità di questa storia, così bizzarra ma allo stesso tempo moderna e sincera, rende Gondry - ormai affrancato dall'apporto di Kaufman - uno degli autori più interessanti del panorama cinematografico contemporaneo. Seguono poi altri interressanti progetti. Uno di questi è Be Kind Rewind - Gli acchiappafilm (2007), in cui Jack Black è uno spazzino portatore sano di un potentissimo campo elettromagnetico che rende inutilizzabili tutte le videocassette della videoteca del suo migliore amico. I due si troveranno così a dover realizzare i remake di tutti i film più gettonati dai clienti.
La pellicola che decreta però il vero salto di qualità è probabilmente The Green Hornet (2008), in cui Britt Reid (Seth Rogen), l'erede di una potente famiglia a capo di uno dei giornali più importanti della città, decide, grazie all'aiuto del suo talentuoso coetaneo Kato (Jay Chou), di combattere la malavita di Los Angeles. Dopo il romantico Mood Indigo - La schiuma dei giorni (2013), con Audrey Tautou e Romain Duris, racconta la storia di formazione fresca e leggera di Microbo e Gasolina, passando poi per la commedia Il libro delle soluzioni (2023).