La storia vera del viaggio di Aretha Franklin per trovare la sua voce, nel mezzo del turbolento panorama sociale e politico dell'America degli anni '60. Espandi ▽
Il genere cinematografico più fragile, quello che stenta maggiormente a uscire dalla gabbia degli stereotipi, è indubbiamente il biopic musicale. Nella produzione media hollywoodiana i toni sono costantemente esasperati, i punti più importanti della vita professionale e personale dell’artista segnano l’andamento narrativo e ne condizionano il ritmo e la parabola deve inevitabilmente seguire lo schema rivelazione-ascesa-successo-caduta-redenzione, con scene clou che segnano il passaggio da un segmento narrativo al successivo. Il paradosso di questo processo è che un film che dovrebbe basare tutte le sue chance di gradimento sul lato emozionale, spingendo verso la commozione e la compartecipazione, finisce per risultare alieno a ogni empatia proprio in virtù della sua rigidità. A rendere il film qualcosa più di una produzione simil-televisiva è essenzialmente la performance di Jennifer Hudson, talmente impressionante per vigore e dedizione da far dimenticare, a tratti, i difetti evidenti del lavoro di Liesl Tommy.