La storia

1938. Il Duce promulga le leggi razziali. Un'anziana insegnante ebrea, prima di morire, svela in una lettera alla figlia, Ida Ramundo, di averla battezzata per evitarle la persecuzione. Anche lei insegnante, Ida è a Roma, vedova e sola, che cerca di educare il primogenito, lo scanzonato adolescente Nino, quando un giorno viene violentata da un soldato tedesco e rimane incinta. In segreto, grazie ad una levatrice del ghetto partorisce Giuseppe, detto Useppe; Ida e la sua "Storia" viaggiano sullo sfondo delle vicissitudini della guerra nel contesto romano: i bombardamenti di San Lorenzo, l'essere sfollati in periferia, il passaggio di Nino dal fascismo all'antifascismo, le deportazioni naziste del ghetto ebraico e la resa. La fine del conflitto fa emergere i traumi del periodo appena trascorso: Nino passa al contrabbando e Ida si ritrova da sola a prendersi cura di Useppe che soffre di crisi epilettiche sempre più frequenti.

La storia, tratta dall'omonimo romanzo di Elsa Morante, grazie alla produzione di Picomedia, Thalie Images, Rai Fiction e Beta, trova una nuova edizione (la precedente era di Luigi Comencini) di 8 puntate da 50 minuti (circa) con la capace regia di Francesca Archibugi.

Il taglio psicologico e corale ha riscosso lunedì 8 gennaio 2024 un ottimo successo di pubblico (share del 23,5%) conquistando soprattutto i più giovani.

La serie, di cui sono state presentate le prime due puntate alla Festa del Cinema di Roma, ha una ricostruzione storica molto accurata che permette una totale immedesimazione nel clima politico, sociale e culturale della Capitale tra il '38 e il '46. La sceneggiatura scritta, oltre che dalla regista, da nomi quali Ilaria Macchia (Petra), Francesco Piccolo (L'amica geniale) e Giulia Calenda (C'è ancora domani) ha un taglio molto psicologico e sociale che rivela lo sguardo del singolo come della nazione. Lo si ritrova nelle inquadrature e nell'uso dei dialoghi forti e in linea con i personaggi (ad esempio Remo negli anni del dopo guerra afferma: "Consegniamo le armi e apriamo i libri"). E ancora grazie ad un'attenzione alle diverse provenienze culturali del linguaggio: dialetto, gergo e italiano corretto che viene parlato soprattutto da Ida e dalle persone del ghetto.

La scelta del cast permette una visione di insieme, un affresco corale che emerge in tutta la sua complessità. I personaggi, complice l'ottimo livello di recitazione di tutti, sono perfettamente caratterizzati anche attraverso l'abbigliamento e le acconciature. A cominciare dai comprimari tra cui emergono le figure di Giuseppe Cucchiarelli, anche detto il partigiano Mosca, interpretato da Elio Germano, l'oste Remo, uno straordinario Valerio Mastrandrea (con un cameo finale in cui somiglia a Nino Manfredi) e Santina, cartomante per volontà e prostituta in una relazione tossica, a cui dà voce e corpo Asia Argento. Poi i protagonisti: due attori alla loro prima prova che conquistano il pubblico ovvero Mattia Basciani nel ruolo di Useppe con i suoi magnetici e malinconici occhi blu e un giovanissimo Francesco Zenga interprete di Nino armato dalla forza dei suoi venti anni e dotato di un fascino un po' malandrino e un po' deviante. Jasmine Trinca costruisce una Ida fragile e sommessa che emerge completamente, in modo voluto e sapiente, solo negli ultimi due episodi, in cui perdendo progressivamente i suoi punti di riferimento, acquista uno spessore drammatico che getta luce sull'intera recitazione.

Una regia sensibile che, come nelle precedenti opere dell'Archibugi (Il Colibrì, Vivere) tratteggia in modo fine tutti i tipi di relazioni, da quelle più complesse come quelle famigliari a quelle più sporadiche, ma comunque importanti, come le affiliazioni (anche con gli animali domestici) che si creano nella crescita o nelle situazioni di difficoltà.

Il piccolo Useppe inventa poesie, pensa e, assetato di relazioni, soffre profondamente come Ida della solitudine, sua grande vera nemesi e con lui si fa tangibile una rappresentazione accurata e molto realistica del trauma infantile e dell'epilessia come concausa o conseguenza di questo.

Si coglie in tali scelte il rispetto anche per l'opera narrativa da cui la serie è tratta nei suoi intenti più profondi ovvero la capacità della Morante di delineare un'epoca, nonostante le polemiche che al tempo suscitò, ma anche l'imprevedibilità degli eventi della vita e la capacità del singolo di saperli o meno fronteggiare. Pregevole, inoltre, una rappresentazione asciutta e articolata che non vuole essere didascalica e si inserisce nel panorama di un certo recentissimo buon cinema italiano che denuncia descrivendo come in Cento domeniche, Palazzina Laf e C'è ancora domani. Unico neo, proprio perché forse meno in linea con quanto appena descritto, sono le ultimissime inquadrature finali accompagnate dal commento "E la storia continua..". 