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Of Money and Blood, online su MYmovies l'attesissima serie con Vincent Lindon. Dodici ore di puro cinema

Diretta da Xavier Giannoli e tratta dal best-seller di Fabrice Arfi, in streaming su MYmovies ONE la storia vera, assurda e spettacolare della più grande truffa finanziaria del secolo. Immaginatevi un film di Scorsese mescolato a GomorraQuasi amiciTutti gli uomini del presidente: non ci si annoia mai. GUARDA ORA »
di Giovanni Bogani

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Vincent Lindon (65 anni) 15 luglio 1959, Boulogne-Billancourt (Francia) - Cancro. Interpreta Simon Weynachter nel film di Xavier Giannoli, Frédéric Planchon Of Money and Blood.
venerdì 6 dicembre 2024 - mymoviesone

D’argent et de sang. Of Money and Blood. Il denaro e il sangue. Ma anche le vie appiccicose di Manila, gli interni levigati e ipermoderni dei ministeri, una cerimonia di ebrei sefarditi a Belleville, periferia di Parigi. O le spiagge infinite e livide di Deauville, dove sfreccia una fuoriserie da 300mila euro. 

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Non ci si annoia, in questa serie costruita, scolpita, levigata e resa fluida, liscia, quasi liquida da Xavier Giannoli. Liquida come le riprese, come gli slittamenti progressivi da un luogo all’altro, da uno stato d’animo all’altro. Tratta dal libro/inchiesta di un giornalista testardo e ficcanaso che si chiama Fabrice Arfi.

Una serie che, presentata alla 80. Mostra del cinema di Venezia, è ora in esclusiva streaming su MYmovies ONE con i primi due episodi (poi un nuovo episodio ogni venerdì).

Immaginatevi un film di Martin Scorsese mescolato a qualche goccia di Gomorra – La serie, uno spruzzo di Quasi amici e un’ombra (un “rien”, dicono i francesi) di Tutti gli uomini del presidente. Avrete un po’ un’idea di che cosa state per guardare. 

È la storia della “truffa del secolo”. Qualcosa di realmente accaduto, che ha coinvolto cifre inimmaginabili, diversi miliardi di euro. Una truffa complicata: in sintesi, una serie di compravendite all’infinito, a cui i truffatori rubavano l’Iva, la tassa di Stato, che in Francia si chiama Vat. Miliardi di euro finiti nelle tasche di un gruppo di truffatori


In foto Vincent Lindon in una scena della serie Of Money And Blood. L'attore veste i panni del magistrato Simon Weynachter, a capo di un dipartimento incaricato della conduzione delle indagini.

Questa la storia: ma la spiegazione tecnica, in realtà, me la sono dimenticata dopo un minuto. E mi sono tuffato nel mondo che la serie – scritta e diretta con la forza, la precisione, la cura per il dettaglio del grande cinema – mi poneva davanti agli occhi. 

Vincent Lindon è una specie di poliziottone duro e puro, ma con l’anima sgualcita, malinconico e nervoso, mai sereno. Vive da solo, si porta a casa noodles presi al cinese sotto l’angolo, si lava i piatti con mestizia. E ha una figlia tossicodipendente da qualche parte per il mondo, in caduta libera, con l’anima pronta a prendere il volo. 

Lindon è l’investigatore, il capo di un’unità speciale antifrode. Gli appartiene la battuta più bella della serie. Quando dice, serissimo: “È giunto il momento di creare una nuova unita per rintracciare questi criminali. Un’unità sul modello della Guardia di finanza italiana”. Metti in pausa, torni indietro, controlli se hai capito bene. Sì. “…sul modello della Guardia di finanza italiana, capace di tracciare il denaro a livello globale e di smantellare trame finanziarie estremamente complesse”. Capito? Siamo d’esempio nel mondo…

Il primo dei truffatori che incontriamo è un personaggio memorabile: Alain Fitoussi, interpretato da Ramzy Bedia. E qui, sceneggiatori, regista e attore hanno creato un capolavoro. Fitoussi, ebreo tunisino, è volgare, furbo, ignorante, galante, esagerato, imbarazzante, grande improvvisatore in ogni situazione, sa fare benissimo i conti ma è analfabeta, in un hotel a cinque stelle si fa portare un ferro da stiro e si mette a stirare le banconote, perché non gli piacciono stropicciate. E poi va in discoteca in ciabatte. Irresistibile


In foto la coppia formata da Ramzy Bedia (Alain Fitoussi ) e David Ayala (Bouli) in una scena della serie di Xavier Giannoli Of Money And Blood.

La serie parte subito forte. Siamo a Manila, Filippine. Fitoussi si trascina dietro due ragazze che, per qualche migliaio di euro, faranno da prestanome, firmando come titolari di aziende inesistenti. Si presentano nelle banche di Manila, con vestiti che raccontano i confini della desolazione, firmano come “manager” di aziende di import-export, e nessuno chiede loro niente. Intorno, sembra quasi di sentire l’aria appiccicaticcia dei tropici. 

Perché la cosa che più colpisce, in Of Money and Blood, è che è filmato bene. La fotografia cerca sempre di spremere atmosfera dai luoghi, alterna grandangoli estremi e teleobiettivi sui volti, alla Heat di Michael Mann. Gli sguardi della telecamera sui personaggi sono sempre un po’ rubati, un po’ sfuggenti, non c’è mai nessuno che si lasci guardare per più di mezzo secondo, sono tutti in fuga, come se Giannoli e il suo Dp Christophe Beaucarne sapessero che non si può ormai più contemplare il mondo. Che non c’è tempo per guardare gli altri fino a comprenderli. Che bisogna accettare la continua partita con la fretta. 

La fretta. È come se tutta la serie avesse fretta, fosse trascinata da un impulso a non stare mai ferma. C’è una sorta di fluidità perenne, che è tutto il contrario, per esempio, della staticità di quel film-che-assomiglia-a-una-serie che è Horizon di Kevin Costner, con le sue inquadrature perfettine, composte, un po’ scolastiche. Qui no, qui tutto è perennemente in movimento, si vince e si perde, come a un tavolo verde, fate il vostro gioco, rien ne va plus. 

È tutto un gioco d’azzardo, ci dice la serie. Anche quello dei truffatori, con i loro grandi piani che nascono nello sporco di un retrobottega, con la cenere delle sigarette che cade sui fogli. Truffatori che diventano, alla fine, i veri eroi. Perché a cercare di fregare il capitalismo non ci si riesce mai abbastanza.
 


Niels Schneider interpreta Jérôme Attias.

In un’alba intirizzita a Deauville, il truffatore Fitoussi dice al complice Niels Schneider – magnifico anche lui: “Sai cosa mi disse mio padre prima di morire? Il capitalismo è una volpe libera dentro un pollaio. Figliolo, non perdere le piume”. 

Scorsese e Gomorra, dicevamo. C’è un po’ dell’euforia dei film di Scorsese, di quando DiCaprio riesce a fregare tutto il mondo in The Wolf of Wall Street, o di quando Ray Liotta è felice per il suo status, per il suo successo in Quei bravi ragazzi. E c’è un po’ del dolore di Gomorra, nella serie di Giannoli

Da una parte l’eccitazione del successo, delle auto superlusso, la sensazione di averla fatta franca con la vita, di aver giocato d’azzardo col destino e avere vinto. Dall’altra quello stato di guerra permanente, quella notte dell’anima costante che alberga in ogni inquadratura di Gomorra. Più lieve, meno affondato nel coté tragedia greca, rispetto alla serie ispirata da Roberto Saviano. Ma anche i truffatori proletari di Of Money and Blood, per quanto facciano, non saranno mai degli aristocratici, saranno sempre dei dimenticati. 

Basterebbe tutto questo, per amare una serie del genere. E poi c’è il volto di Vincent Lindon, che si trascina inquieto, a brutto muso, nervoso, aggressivo, sempre di malumore, per i quattro angoli della sua inchiesta, che lo porta fino in Israele – memorabile la scena con un trascinante Yvan Attal, sornione, cinico, pieno di carisma. 


In foto una scena della serie Of Money And Blood.

C’è l’umanità di ogni personaggio: anche del truffatore ricco, il trader, il “golden boy” Jérôme, interpretato da Niels Schneider. Uno che ha tutto, una moglie bellissima, una villa, una fuoriserie, e non ha niente, è e rimarrà per sempre figlio. Figlio di un padre potente, che lo disprezza. 

Ah, la truffa. Ogni tanto, da un episodio all’altro, viene rispiegata con nuovi particolari. Ma quando va in scena la spiegazione, ero già così dentro la serie che avrebbero potuto parlare di ioni sodio nell’acqua minerale, di Lettere di transito in possesso di Humphrey Bogart nel film Casablanca, del McGuffin di cui parla Hitchcock o del Sarchiapone, l’animale inesistente di una gag di Walter Chiari, preistoria della televisione. Sarebbe stato uguale. O come dicono i francesi, cela m’était égal

Non me ne importava niente, della spiegazione. E idealmente, me ne andavo a festeggiare con Fitoussi, che balla in ciabatte in discoteca, o che in un lussuoso casinò si toglie la scarpa e la sbatte mille volte sul tavolo, urlando “datemi un Re! un Re!”. Sublime e cafone, come ormai tanti anni fa, nella sede delle Nazioni Unite, sbatteva la scarpa sul tavolo il capo dell’Urss Nikita Kruscev. Ma questa è un’altra storia. 


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