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Anatomia dell'ascesa di Sandra Hüller, 5 interpretazioni imperdibili

In una manciata di anni l'attrice tedesca ha raggiunto una statura internazionale. In un ruolo apertamente osceno e allo stesso tempo rigorosamente decente, dal 22 febbraio torna al cinema con La zona d'interesse.
di Marzia Gandolfi

martedì 13 febbraio 2024 - Celebrities

Prima della deflagrazione Vi presento Toni Erdmann (2016), un film senza illusione (ma tanta ironia) sull’eredità, pochi conoscevano Sandra Hüller, attrice segreta che aveva già impresso la memoria dei cinefili con Requiem e soltanto due anni prima attraversato come un fantasma rohmeriano gli ultimi giorni di Heinrich von Kleist (Amour fou). Comprimaria per l’austriaca Jessica Hausner, è Maren Ade a offrirle il ruolo della vita, quello che muove un’ovazione e un interesse internazionale, cambiando per sempre il suo destino e traslocandola in altre filmografie e dentro nuovi paesaggi cinematografici. Ama le sfide Sandra Hüller e i personaggi semplici non le interessano, scegliendo per sé due ruoli che attestano oggi la ricchezza del suo gioco e la statura internazionale acquisita in una manciata di anni. Sposa del comandante del campo di Auschwitz-Birkenau per Jonathan Glazer (La zona d’interesse, dal 22 febbraio al cinema) e consorte accusata dell’omicidio del marito per Justine Triet, l’attrice interpreta due donne agli antipodi e va lontano, molto lontano dalla cittadina della Turingia dove è nata undici anni prima della caduta del Muro di Berlino e dove ha probabilmente appreso quella maniera laconica di stare in scena.

Basta guardarla ne La zona d’interesse, per vedere il punctum che punge lo spettatore fino a ferirlo. La sua performance, a un passo dall’orrore e dentro un film che ritorna sulla questione dell’inviolabilità estetica della Shoah, ha un’assenza rigorosa di tutto quello che consideriamo superfluo. Nel film di Jonathan Glazer è Hedwig Höss, la gelida moglie dell’ufficiale delle SS Rudolf Höss, che comandò il campo di Auschwitz-Birkenau per quattro anni. Solo per il fatto, ahimè, di essere un’attrice tedesca, il ruolo di nazista le era stato offerto numerose volte, come una condanna o una possibile espiazione. E lei aveva sempre declinato. Ma a questo giro non si trattava dell’ennesimo film in uniforme SS, ma di un modo performativamente nuovo di operare, un tour de force formale e teorico per interrogare quello che la settima arte può fare e quello che può essere alla luce di un soggetto tabù, intoccabile e centrale del cinema europeo dal 1945.

Glazer non filma la Shoah ma ce la fa sentire dalla tranquilla vita domestica della famiglia del direttore del campo, ubicata fuori dalle mura di Auschwitz-Birkenau. Ce la fa sentire attraverso una sinfonia di urla indistinte, un clamore infernale, note d’orrore. È una partitura specifica, echi lontani e confusi di respiri, colpi e sferragliamenti, latrati di cani e ordini urlati. È la macchina di morte hitleriana al lavoro, l’industrializzazione del crimine nazista. A non sentirla sono soltanto loro, gli Höss, vivendo una quotidianità inimmaginabile nella zona del titolo, zona eccezionale, ai margini della storia e dove la storia non può più essere immaginata. Come è stato possibile vivere lì? Come è stato possibile sopportarlo? Come tradurre soprattutto per un’attrice quella dinamica di cancellazione onnipresente e minuziosamente pianificata che ha reso possibile la Shoah? Come approcciare un personaggio impossibile da amare?

E impossibile per Sandra Hüller era trovare un punto in comune con Hedwig Höss, un elemento, anche piccolo, da muovere il desiderio di esplorare, di toccare il mostro, di trovare qualcosa di umano. L’impossibilità produce la pura rappresentazione, come se l’attrice potesse mettere a disposizione del personaggio soltanto il corpo, mai l’anima. La prossemica soprattutto, quel suo modo di avanzare, di occupare la perfetta topologia del luogo, di indossare una pelliccia confiscata a una donna ebrea, è senza calore, incapace di passioni, priva di forza creativa. L’attrice abbandona qualsiasi legame affettivo e rappresenta semplicemente qualcuno nella sua bassezza, la più deplorevole. Apertamente oscena e allo stesso tempo rigorosamente decente, abita l’implacabile dispositivo formale di Glazer. È una silhouette greve, è la “cellula geminale del popolo”, che ha lavorato duramente tutta la vita e ha partorito cinque figli, tutti biondi. Addosso, come una cotta di ferro, ha i costumi di Malgorzata Karpiuk, che pesano il passato e cuciono la nostalgia di un passato idealizzato. L’acconciatura elaborata è altrettanto onerosa e posata come una ‘corona’ sulla ‘coscienza nazista’. Dura, dominatrice, maniaca, prima educatrice della nuova generazione, la sua Hedwig si ritira all’interno della sua sfera di influenza, assumendo i tradizionali ruoli femminili di moglie, madre e casalinga.

Tutto nella performance tradisce il ruolo che la natura stessa le ha affidato, quello della procreazione di una stirpe sana, numerosa e ‘razzialmente pura’. Separato dal mondo maschile, dalla Storia, dal campo concentrazionario, il suo sguardo è allineato ideologicamente al marito e alle necessità di ‘regime’. Sandra Hüller spegne gli occhi e indossa come un gioco macabro le impronte delle vittime (una pelliccia, un rossetto, un profumo francese…), tutto quello che il campo di sterminio voleva distruggere o cancellare del tutto. Fa risorgere nei suoi gesti meccanici tutto l’orrore della situazione, la realtà sordida dietro il suo aspetto ordinario, banale. Cerebrale, dissociata e (concedetemi) superbamente indecente, è la supermarionetta teorizzata da Edward Gordon Craig, è pura forma, nessuna emozione, nessun sentimento umano. Nessuna empatia per il suo personaggio, soltanto il peso onnipresente della responsabilità, che l’attrice imprime chimicamente nel film, come se lasciasse realmente indietro una parte di sé. È il senso di colpa a governare i suoi gesti, quel suo passo spogliato di ogni grazia.

Lo studio delle ‘posture’ è una costante nella sua filmografia. Per prendere la misura del suo talento, togliete l’audio ai suoi film e concentratevi sull’estrema precisione della sua posa o delle sue espressioni. La prova del nove è la sua interpretazione enfatica di “The Greatest Love of All” in Vi presento Toni Erdman, che gioca con lo spettatore, con la sua intelligenza e con la sua esperienza di vita e di famiglia. Se nel film di Maren Ade è il corpo nudo e spietato di un liberalismo selvaggio, in quello di Glazer, l’ultimo film lanzmanniano e il primo film post-Lanzmann, rinvia a un passato che non passa e a quello che siamo oggi, a l’energia che spendiamo a non guardare quello che accade a un passo da noi, per non farci turbare, per preservare le nostre vite e il nostro comfort. La grammatica di Sandra Hüller stabilisce la manifestazione espressiva del suo personaggio, una gestualità simbolica, il romanticismo agrario e nostalgico del “Blut und Boden” (sangue e suolo) che coltiva fiori e orrore nel suo giardino. Che si esprima in inglese, in un francese esitante o nella sua lingua madre, nelle sue interpretazioni c’è un condizionamento fisico che proviene evidentemente dalla sua formazione teatrale. Mostro di precisione nello stesso anno si ‘ricalibra’, fa pace con se stessa, mai col suo Paese, e prova a vincere un Oscar per un ruolo altrettanto vertiginoso (Anatomia di una caduta), che pesca nell’immaginario del gioco e nei saldi studi d’arte drammatica.


LEGGI LA RECENSIONE DE LA ZONA D'INTERESSE
In foto una scena di Requiem di Hans-Christian Schmid.

REQUIEM
Ancora poco conosciuta fuori della Germania, Sandra Hüller diventa attrice alla fine dell’adolescenza, un po’ per passione, un po’ per provocazione. Più le persone intorno la dissuadevano, più lei si ostinava, convinta che un giorno avrebbe ottenuto il ruolo di ‘Biancaneve’ che le era sfuggito nella prima giovinezza. Sandra Hüller debutta al cinema nel 2006, ha ventotto anni quando Hans-Christian Schmid la sceglie come protagonista per Requiem, cronaca di una morte avvenuta nel sud della Germania negli anni Settanta. Michaela Klinger, giovane donna epilettica, cresce in una famiglia cattolica e si convince progressivamente di essere posseduta dal Male. I genitori e i sacerdoti faranno il resto. Se Hans-Christian Schmid abbraccia lo spirito del nuovo cinema tedesco, senza indugiare sul potenziale spettacolare del suo soggetto, Sandra Hüller, rodata sulla scena teatrale, compone minuziosamente il profilo di una ragazza affetta da epilessia e persuasa di essere posseduta dal demonio, ottenendo l’Orso d’argento per la migliore attrice e mettendo a punto quel metodo a combustione lenta che diventerà la sua marca di fabbrica.


In foto una scena di Vi presento Toni Erdmann di Maren Ade.

VI PRESENTO TONI ERDMANN
Potente innesco della sua carriera, Vi presento Toni Erdmann ha provocato in molte autrici e in molti autori il desiderio prepotente di scrivere per Sandra Hüller. La sua stravagante interpretazione di una workaholic sull’orlo di una crisi (edipica) di nervi conquista il mondo il tempo di una proiezione gloriosa. Lavorando su un distacco emozionale ambiguo e su un carattere senza humour, l’attrice inciampa meravigliosamente nella commedia di Maren Ade, il tentativo di un padre di ricostruire il rapporto con la figlia, iniettando umorismo e voglia di vivere perduti nella trasmissione dei geni. Il film suggerisce, senza insistere troppo, il conflitto tra due generazioni che non hanno la stessa concezione del mondo. Da una parte il veterano austriaco Peter Simonischek, padre sensibile che piange di nascosto la morte del suo cane, dall’altra Sandra Hüller in tailleur e maestosità dentro un esilarante inventario della filiazione che evoca insieme l’alienazione salariale e il futuro dell’Unione Europea. Il film avanza e la sua performance monta in potenza, innescando con un’irresistibile meccanica burlesca, il secondo movimento del film, quello del gioco puro, della grande fuga, del buon delirio. L’umorismo del film e della sua interpretazione riposano sul senso dell’osservazione, che qui è interamente fisico e riguarda la tensione e la distensione, il contegno e tutto quello che fa perdere il ritmo e balbettare il corpo scenico di Hüller. La pura fisica del capitalismo è catturata fino alla vertigine dall’attrice, tesa nello sforzo di apparire del suo personaggio e minacciata dal regime di buffoneria paterna. Una figlia e un padre, due grandi attori che si incontreranno nel punto più avanzato della rovina di tutti gli altri codici, dell’abbandono di tutti gli abiti, sulle macerie dello ‘spirito di serietà’.


In foto una scena di Sibyl di Justine Triet.

SIBYL
Stordente commedia sulla disfunzione sentimentale, Sibyl segna l’incontro tra Sandra Hüller e Justine Triet, che non riesce a togliersela dalla testa dopo Vi presento Toni Erdmann. Come una prova generale, il film misura due temperamenti intorno alla perfomance di Virginie Efira, che porta il nome lacaniano del titolo. Teatro di doppi e di controfigure, Sibyl intreccia legami profondi tra figure distanti, come la strana e bellissima risonanza tra il bambino nell’armadio e il fantasma nello specchio, tra il film e il film dentro al film, affidato a una regista, Sandra Hüller, la cui ferma determinazione fa eco alla Triet e alla sua eroina. È il richiamo della fiction che guida il film, il suo motore non è il realismo, e tutto si mette a deragliare. A tenere la rotta è il rigore folle di Sandra Hüller, che accarezza il volto di Gaspard Ulliel, un attore o piuttosto l’attore col suo corredo di seduzione infernale e di manipolazione vampiresca. Sandra Hüller, lei, è la ‘regista’ di un film caotico che è lo specchio di tutti i personaggi. Ancora una volta l’attrice è il corpo-luogo di una rivelazione.


In foto una scena di Anatomia di una caduta di Justine Triet.

ANATOMIA DI UNA CADUTA
È pensando a lei che Justine Triet ha immaginato la magnifica eroina di Anatomia di una caduta. Sandra Hüller, memorabile in Sibyl, è indimenticabile nel ruolo di una celebre scrittrice sospettata di omicidio coniugale. Un ruolo eccezionale di donna dominante e libera. Sandra Voyter ha lasciato il comfort di Londra per vivere sulle Alpi e nella terra del marito francese, Samuel. Scrittore frustrato, si accontenta di educare a casa il figlio Daniel, 11 anni, diventato quasi cieco dopo un incidente. Di ritorno da una passeggiata, il bambino trova il padre morto ai piedi del loro chalet. Un’indagine è aperta e Sandra è la sola sospettata. La tesi dell’omicidio e quella del suicidio sono ugualmente percorribili. Il volto dell’attrice, indecifrabile e magnetico, ha la capacità di conservare da qualche parte un segreto che serve a meraviglia il racconto. Diversamente da Glazer, che la filma a figura intera, Triet sceglie il primo piano, è sul suo volto che concentra tutti gli attacchi, specialmente quelli verbali del suo compagno. È il punto di dissezione delle relazioni umani e dei rapporti di forza dentro la coppia, è il luogo politico dove ogni tentativo di democrazia è costantemente interrotto da pulsioni dittatoriali, è, ancora, il punto fisso di una moltitudine di flussi. Tutto ruota intorno a Sandra Hüller, parte da lei e ritorna a lei. È la colpevole ideale, l’ombra del dubbio, l’evidenza che si impone come parte del paesaggio - mentale, sociale, familiare – delle eroine di Triet. Simultaneamente potente e fragile, istintiva e calcolatrice, artista, madre e donna, autonoma e disorientata, l’attrice è una presenza impressionante di intensità e di diversità, è la fonte e il bersaglio di tutti i movimenti. Il risultato della sua composizione è una straordinaria figura femminile, una donna capace di mobilitare molteplici affetti senza conformarsi ai criteri abituali dell’eroina seduttrice, machiavellica o vittima. La sua interpretazione opaca e affilata come uno strumento da taglio rinforza il suo mistero e ottiene una nomination agli Oscar. In tribunale o in platea, tifiamo forte.


In foto una scena di Above Us Only Sky di Jan Schomburg.

ÜBER UNS DAS ALL (ABOVE US ONLY SKY)   
Di nuovo un autore tedesco a dirigerla questa volta in una commedia drammatica sulla sublimazione e la rimozione. Presente in ogni piano, Sandra Hüller è Martha, una donna innamorata di suo marito. Ma Paul muore e Martha scopre che non era l’uomo che pretendeva di essere. Poi incontra Alexander, che ha lo stesso tic dello sposo amato, ed è subito amore. La storia con Alexander comincia dove si era interrotta quella con Paul, come se la passione fosse intercambiabile. Allo spettatore accettare o respingere il postulato, quello che resta alla fine di un amore e all’inizio del prossimo è il volto radioso di Sandra Hüller che recita in trench beige l’urgenza dell’altro. Di un cliché, una donna che concepisce la sua vita soltanto in funzione dell’altro, l’attrice fa un adagio sottile evolvendo dentro il cinema tedesco, immediatamente riconoscibile, col suo rigore, la sua atmosfera clinica, il cielo basso e quella sorta di distanza educata tra i personaggi. La freddezza nordica è corretta dal calore che emana Sandra Hüller, che riempie da sola la dolorosa assenza dell’essere amato.
 


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